La clausola di residualità di cui all’incipit dell’art. 700 c.p.c. (“fuori dei casi regolati dalla precedenti sezioni di questo capo”) non poteva al momento della proposizione del ricorso originario e non può tuttora ritenersi assolta atteso che i beni della vita di cui si discute e che si intendono cautelare sono proprio l’attuale titolarità delle quote della reclamante nonché la gestione della società attualmente in corso da parte degli alienanti e sedicenti soci: vale a dire, tradotto in termini processuali, esattamente la controversia sulla proprietà (titolarità) o sul possesso (esercizio dei poteri anche amministrativi) del bene-quota (notoriamente bene mobile immateriale suscettivo di essere appreso, sequestrato, pignorato ed espropriato) che l’art. 670, n. 1 c.p.c. individua come presupposto per il sequestro e la temporanea gestione ad opera di un custode (se del caso, la stessa parte ricorrente o un soggetto da essa individuato, cfr. art 676, co. 2°, c.p.c.) della res disputata. Ciò posto, è del tutto indifferente che la controversia di merito si traduca processualmente nella richiesta di una pronuncia di accertamento o costitutiva o di condanna, nessuna distinzione effettuando al riguardo l’art. 670, n. 1 c.p.c..