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Sulla qualificazione dei versamenti effettuati dai soci e sui requisiti per la postergazione del finanziamento soci ex art. 2467 c.c.
Il credito del socio, in presenza di un finanziamento concesso nelle condizioni di eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto...

Il credito del socio, in presenza di un finanziamento concesso nelle condizioni di eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto o laddove sarebbe stato ragionevole un conferimento, subisce una postergazione legale, la quale non opera una riqualificazione del prestito da finanziamento a conferimento con esclusione del diritto al rimborso, ma incide sull'ordine di soddisfazione dei crediti. La postergazione prevista dall'art. 2467 c.c. finisce per operare come una condizione legale integrativa del regolamento negoziale circa il rimborso, la quale statuisce l'inesigibilità del credito in presenza di una delle situazioni previste dal secondo comma della disposizione, con un impedimento (solo temporaneo) alla restituzione della somma mutuata. Ai fini dell’applicabilità dell’art. 2467 c.c., vale il momento della concessione del finanziamento e non rileva il deterioramento della situazione patrimoniale della società successivo al finanziamento. È però rilevante anche il momento della restituzione del finanziamento per verificare se la situazione di dissesto è definitivamente cessata.

I versamenti in conto capitale non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della società e possono essere chiesti dai soci in restituzione solo per effetto dello scioglimento della stessa e solo nei limiti dell’eventuale residuo attivo risultante dal bilancio di liquidazione.

Il passaggio a riserva dei finanziamenti implica la rinunzia da parte del socio alla restituzione del suddetto finanziamento ed è espressione della volontà del socio di patrimonializzare la società. Mediante la rinuncia si realizza una mutazione del titolo giuridico, ossia una novazione oggettiva. Pertanto, è richiesta una dichiarazione del socio, avente natura novativa, successivamente ratificata dalla società, con cui si trasformi il credito da finanziamento in versamento da destinare nella riserva “versamenti in conto capitale”.

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Finanziamenti soci e pagamenti preferenziali effettuati in condizione di crisi
La fattispecie del finanziamento di natura postergata ai sensi dell’art. 2467 c.c. necessita dei seguenti presupposti: sotto il profilo soggettivo,...

La fattispecie del finanziamento di natura postergata ai sensi dell'art. 2467 c.c. necessita dei seguenti presupposti: sotto il profilo soggettivo, che il finanziamento sia effettuato dai soci, i quali si presume siano a conoscenza dello stato di squilibrio patrimoniale della società; sotto il profilo oggettivo, che i finanziamenti siano concessi in un momento in cui, attesa la situazione di squilibrio patrimoniale e finanziaria, sarebbe ragionevole un conferimento.

La ratio di tale istituto consiste infatti nell’esigenza di tutelare la massa dei creditori dalla condotta dei soci, i quali, non conferendo capitale ma operando finanziamenti, traslano in tale guisa il rischio di impresa sugli altri creditori, proseguendo così l’attività sociale in danno di questi ultimi e producendo, pertanto, una alterazione dei loro interessi nei confronti della società.

È necessario, inoltre, che al momento della richiesta del rimborso persista lo squilibrio finanziario e/o patrimoniale da parte del socio finanziatore, rispetto al quale gli amministratori sono tenuti ad eccepire la condizione di inesigibilità del credito derivante dalla postergazione, in presenza di altri creditori insoddisfatti. Pertanto, la società è tenuta a rifiutare al socio il rimborso del finanziamento, in presenza della indicata situazione, ove esistente al momento della concessione del finanziamento, ed a quello della richiesta di rimborso, che è compito dell'organo gestorio riscontrare mediante la previa adozione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, in grado di rilevare la situazione di crisi. Il credito postergato è, infatti, inesigibile, e pertanto insuscettibile di rimborso al socio, fintanto che non siano prima soddisfatti i creditori sociali. La postergazione opera già durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apra un concorso formale con gli altri creditori sociali, integrando una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento, sino a quando non sia superata la situazione prevista dalla norma.

Va altresì precisato che: il credito qualificato come postergato conserva tale caratteristica anche se ceduto, secondo le regole generali (art. 1263 c.c.);  il rimedio esaminato si estende anche ai finanziamenti atipici; infine, sotto il profilo probatorio, è onere della parte che rileva il carattere postergato dei finanziamenti dimostrare la ricorrenza delle condizioni previste dall’art. 2467 c.c.

Il danno da indebito pagamento del credito postergato si identifica con la differenza tra quanto il creditore ha ricevuto e quanto lo stesso, adottando un giudizio controfattuale, avrebbe ricevuto se si fosse rispettata la graduazione dei crediti. Il  pagamento preferenziale effettuato in una situazione di dissesto costituisce un pregiudizio non solo per il singolo creditore ma anche per l’intero patrimonio sociale che, a seguito del pagamento illegittimo, risulta ridotto in misura superiore rispetto a quanto sarebbe accaduto se il pagamento fosse stato effettuato. Il pagamento preferenziale in una situazione di dissesto può comportare una riduzione del patrimonio sociale in misura anche di molto superiore a quella che si determinerebbe nel rispetto del principio del pari concorso dei creditori. Infatti, la destinazione del patrimonio sociale alla garanzia dei creditori va considerata nella prospettiva della prevedibile procedura concorsuale, che espone i creditori alla falcidia fallimentare. Del resto, anche dal punto di vista strettamente contabile, il pagamento di un creditore in misura superiore a quella che otterrebbe in sede concorsuale comporta per la massa dei creditori una minore disponibilità patrimoniale cagionata appunto dall’inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale in funzione di garanzia dei creditori.

Quando la società versa in stato di insufficienza patrimoniale irreversibile, il pagamento di debiti sociali senza il rispetto delle cause legittime di prelazione, quindi in violazione della par condicio creditorum, costituisce un fatto generativo di responsabilità degli amministratori verso i creditori, salvo che sia giustificato dal compimento di operazioni conservative dell’integrità e del valore del patrimonio sociale, a garanzia dei creditori medesimi.

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Responsabilità dell’amministratore per violazione del principio di postergazione ex articolo 2467 c.c.
Nel contesto di un’azione di responsabilità esercitata contro l’amministratore unico e derivante dalla presunta violazione del principio di postergazione dei...

Nel contesto di un'azione di responsabilità esercitata contro l'amministratore unico e derivante dalla presunta violazione del principio di postergazione dei finanziamenti dei soci ex articolo 2467 c.c., l'ammissione della figura dell'amministratore di fatto non priva della responsabilità l'amministratore di diritto cui siano riconducibili specifiche condotte fonte di responsabilità, come il rimborso di finanziamenti soci, inquadrabili come vere e proprio distrazioni. Infatti, nonostante le condotte di malagestio siano condotte proprie dell'amministratore di fatto, la posizione dell'amministratore di diritto resta tale per cui, senza il suo assenso e cooperazione, nessuno degli atti dell'amministratore di fatto, implicante contatti con terzi, potrebbe avere alcun effetto, e ciò in forza della formalità della rappresentanza societaria.

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L’intenzionalità nella responsabilità del socio ex art. 2476, co. 8, c.c. e i presupposti della postergazione dei finanziamenti soci
L’art. 2476, co. 8, c.c. configura un concorso di responsabilità del socio, che si è ingerito nell’atto di gestione della...

L’art. 2476, co. 8, c.c. configura un concorso di responsabilità del socio, che si è ingerito nell’atto di gestione della società, con l’amministratore che ha posto in essere l’operazione foriera di danno. La disposizione in esame richiede che il comportamento del socio sia connotato da intenzionalità, cosicché chi intenda dimostrare la responsabilità del socio ex art. 2476, co. 8, c.c. è onerato di fornire la prova, se non della volontà del socio co-gestore di cagionare specifiche lesioni patrimoniali, perlomeno, della piena consapevolezza di questi della contrarietà dell’atto di gestione alle norme di legge o dell’atto costitutivo o ai principi di corretta amministrazione.

Occorre interpretare in modo unitario il secondo comma dell’art. 2467 c.c., nel senso che entrambi i presupposti ivi enucleati vanni ricondotti a situazioni di crisi che pongano la società a rischio di insolvenza, idonee a fondare una sorta di concorso potenziale tra tutti i creditori della società. Tali situazioni di crisi possono manifestarsi sia in fase di start-up se la società è sottocapitalizzata (proprio perché i soci hanno preferito finanziarla, anziché conferire capitale di rischio) e quindi v’è il pericolo che il rischio di impresa sia trasferito sui terzi creditori; sia in seguito, quando a fronte di perdite i soci, anziché conferire capitale come sarebbe “ragionevole”, effettuino finanziamenti, aumentando l’indebitamento e concorrendo, quindi, con i creditori terzi (su cui verrebbe trasferito il rischio di impresa in situazione di crisi), proseguendo l’attività sociale in danno di questi ultimi, che, ragionevolmente in una tale situazione non sarebbero disponibili ad erogare finanziamenti.

Il requisito del periculum in mora per la concessione di un sequestro conservativo richiede la prova di un fondato timore di perdere le garanzie del proprio credito. Requisito desumibile, alternativamente, sia da elementi oggettivi, riguardanti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all’entità del credito, sia da elementi soggettivi, rappresentati invece da comportamenti del debitore che lascino presumere che, al fine di sottrarsi all’adempimento, egli possa porre in essere atti dispositivi idonei a provocare l’eventuale depauperamento del suo patrimonio. Il periculum in mora può essere riconosciuto esistente innanzitutto quando sussista una condizione oggettiva di inadeguata consistenza del patrimonio del debitore stesso in rapporto all’entità del credito.

Alla prescrizione dell’azione di responsabilità dei creditori sociali verso gli amministratori si applica l’art. 2949, co. 2, c.c. e il termine quinquennale decorre dal momento in cui si è verificata l’insufficienza del patrimonio sociale, che deve essere oggettivamente conoscibile dai creditori. Vige una presunzione iuris tantum per cui lo stato di incapienza diventa conoscibile al momento della dichiarazione di fallimento; chi intende vincere la presunzione è tenuto a dimostrare che l’insufficienza patrimoniale si è manifestata in un momento anteriore e che tale stato di insufficienza patrimoniale era divenuto oggettivamente conoscibile ai terzi con l’uso dell’ordinaria diligenza. Ed invero, la nozione di insufficienza patrimoniale si ricollega alla garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c., costituita dal patrimonio della società, ed essa rappresenta un mero fatto contabile, che si verifica quando il patrimonio della società presenti una eccedenza delle passività sulle attività, ovverosia in una situazione in cui l’attivo sociale, raffrontato ai debiti della società, è insufficiente al loro soddisfacimento. L’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei creditori può risultare da qualsiasi fatto oggettivamente conoscibile all’esterno e pertanto anche dai dati e dalle informazioni desumibili dal bilancio. Tale situazione non coincide con la perdita integrale del capitale sociale, dal momento che quest’ultima evenienza può verificarsi anche quando vi è un pareggio tra attivo e passivo e, quindi, tutti i creditori potrebbero trovare di che soddisfarsi nel patrimonio della società. D’altra parte, l’insufficienza patrimoniale è una condizione più grave e definitiva della mera insolvenza, come incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, potendosi una società trovare nell’impossibilità di far fronte ai propri debiti ancorché il patrimonio sia integro, ovvero, all’opposto, presentare un’eccedenza del passivo sull’attivo, pur permanendo nelle condizioni di liquidità e di credito richieste per continuare ad operare.

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Regime dei finanziamenti soci nella legislazione emergenziale da Covid-19
L’art. 8 del d.l. n. 23/2020, disciplina emergenziale introdotta per fronteggiare la crisi derivante dalla pandemia da Covid 19, ha...

L’art. 8 del d.l. n. 23/2020, disciplina emergenziale introdotta per fronteggiare la crisi derivante dalla pandemia da Covid 19, ha disposto che ai finanziamenti effettuati a favore delle società dalla data di entrata in vigore del decreto, ossia il 9 aprile 2020, e sino alla data del 31 dicembre 2020 non si applicano gli artt. 2467 e 2497 quinquies c.c., con la conseguenza che non sono postergati i crediti da finanziamento erogati entro il 31 dicembre 2020 in situazioni di eccessivo squilibrio tra indebitamento e patrimonio netto ovvero in cui sarebbe stato ragionevole effettuare un conferimento.

Quando ad agire per responsabilità dell’organo gestorio è la liquidazione giudiziale, la procedura fa valere cumulativamente sia l’azione sociale di responsabilità, avente natura pacificamente contrattuale, sia l’azione dei creditori, avente natura extracontrattuale, con tutte le conseguenze che ne discendono dal punto di vista dell’onere dell’allegazione e della prova. Così, in riferimento alle condotte di carattere distrattivo, quali espressione dell’inadempimento contrattuale dell’obbligo che l’amministratore ha nei confronti della società di preservarne il patrimonio, incombe in capo alla procedura l’onere di allegare le condotte distrattive medesime, ovvero l’inadempimento imputato all’organo gestorio, nonché l’onere di allegare e provare il danno sopportato dalla società ed il nesso causale tra la condotta illecita e detto danno, incombendo di converso in capo all’amministratore l’onere di provare di avere adempiuto ai propri obblighi conservativi, il che equivale ad affermare l’onere di provare che gli atti dispositivi del patrimonio della società siano giustificati nell’interesse dell’ente, e ciò secondo il paradigma proprio dell’art. 1218 cc.

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Responsabilità dell’amministratore per il rimborso di un finanziamento postergato
Il credito del socio, in presenza di un finanziamento concesso nelle condizioni di eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto...

Il credito del socio, in presenza di un finanziamento concesso nelle condizioni di eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto o laddove sarebbe stato ragionevole un conferimento, subisce una postergazione legale, la quale non opera una riqualificazione del prestito da finanziamento a conferimento con esclusione del diritto al rimborso, ma incide sull’ordine di soddisfazione dei crediti. La postergazione prevista dalla norma finisce, così, per operare come una condizione legale integrativa del regolamento negoziale circa il rimborso, la quale statuisce l’inesigibilità del credito in presenza di una delle situazioni previste dal secondo comma dell’art. 2467 c.c., con un impedimento (solo temporaneo) alla restituzione della somma mutuata. Ne deriva l’ulteriore conseguenza che l’organo amministrativo deve rifiutare il rimborso del prestito, sino a quando non siano venute meno le predette condizioni. Ai fini dell’applicabilità dell’art. 2467 c.c., vale il momento della concessione del finanziamento e non rileva il deterioramento della situazione patrimoniale della società successivo al finanziamento. Il momento della restituzione del finanziamento è invece decisivo per verificare se la situazione di dissesto è definitivamente cessata

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Azione di responsabilità verso gli amministratori esercitata dal fallimento e riparto dell’onere della prova
L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale e, dunque, quanto al riparto dell’onere della prova, colui che agisce in giudizio...

L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale e, dunque, quanto al riparto dell’onere della prova, colui che agisce in giudizio deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, su cui incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’adempimento. In applicazione di tale principio nelle azioni di responsabilità ex art. 146 l.fall. spetta al fallimento allegare l’inadempimento, ovvero indicare il singolo atto gestorio che si pone in violazione dei doveri degli amministratori e dei sindaci posti dalla legge o dallo statuto, e il danno derivante da tale inadempimento, mentre è onere dei convenuti contrastare lo specifico addebito, fornendo la prova dell’esatto adempimento.

In caso di azione di responsabilità fondata sul mancato versamento di oneri fiscali e contributivi obbligatori da parte dell’amministratore, il danno coincide con il maggior debito maturato a causa del ritardato o omesso pagamento di contributi, in termini di sanzioni, oneri di riscossione e interessi; non anche con l’ammontare dei contributi evasi. Sanzioni, oneri e interessi che non avrebbero gravato sulla società se l’amministratore avesse provveduto al tempestivo pagamento, ovvero, in caso di impossibilità per carenza di liquidità, avesse attivato i rimedi previsti dalla legge in caso di crisi o di insolvenza dell’impresa.

Il pagamento del credito postergato ex art. 2467 c.c. costituisce una violazione dei doveri inerenti alla carica di amministratore. Nondimeno, tale pagamento, risolvendosi in un pagamento di un credito inesigibile, da un lato, non perde il suo effetto estintivo del debito sociale e, dall’altro, finisce per porsi sullo stesso piano di un pagamento preferenziale, al quale del resto è accomunato: dall’essergli annesso un effetto estintivo del debito; dall’essere compiuto con lesione della garanzia di cui i creditori godono sul patrimonio della società debitrice e dunque, infine, della par condicio creditorum.

In applicazione dei principi del riparto dell’onere della prova nelle azioni di responsabilità, a fronte dell’allegazione da parte del fallimento dell’inadempimento dell’amministratore consistente negli atti distrattivi del patrimonio sociale, è preciso onere dell’amministratore convenuto fornire la prova del fatto estintivo dell’obbligazione, ovvero del proprio esatto adempimento, consistente nella allegazione delle ragioni, coerenti con gli scopi sociali, a supporto dei pagamenti specificatamente contestati.

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Qualificazione delle erogazioni disposte dal socio a favore della società
Nell’ambito delle erogazioni a favore della società disposte dai soci, è necessario distinguere tra gli apporti fuori capitale e i...

Nell’ambito delle erogazioni a favore della società disposte dai soci, è necessario distinguere tra gli apporti fuori capitale e i finanziamenti. Gli apporti fuori capitale sono versamenti effettuati causa societatis e senza obbligo di rimborso; sono in grado di garantire anche un rafforzamento patrimoniale e, dunque, non danno luogo a crediti esigibili, se non per effetto dello scioglimento della società. I finanziamenti soci, al contrario, configurano veri e propri prestiti, da cui deriva un obbligo di rimborso a carico della società; sono contabilmente inseriti tra i “debiti verso altri finanziatori”, nel passivo del conto economico, e sono assimilabili in tutto, fatta eccezione per la regola della postergazione di cui all’art. 2467 c.c., a finanziamenti erogati da terzi.

Talvolta, infatti, i soci, pur senza procedere ad un aumento del capitale sociale, versano alla società somme a titolo di conferimento, denominate a volte come “versamenti in conto capitale”, a volte come versamenti “a copertura delle perdite” e ciò al fine di sopperire alle esigenze della società ovvero di costituire un fondo destinato a ripianare eventuali perdite, evitando così di incorrere nella disciplina della riduzione obbligatoria del capitale. Tali apporti, pur caratterizzandosi dalla mancanza di un obbligo di restituzione a carico della società, non possono essere equiparati ai conferimenti di capitale per inosservanza del relativo procedimento di aumento; essi incrementano il patrimonio della società senza modificarne il capitale sociale e restano perciò sottratti alla disciplina dei conferimenti. Possono, ad esempio, essere effettuati solo da alcuni soci; non essere proporzionali alle quote di partecipazione al capitale e, se si tratta di apporti diversi dal danaro, non incontrano le limitazioni previste per i conferimenti in natura.

La qualificazione, in termini di apporto di capitale ovvero di finanziamento soci, dipende dall’esame della volontà negoziale delle parti, dovendo trarsi la relativa prova, di cui è onerato il socio attore in restituzione, non tanto dalla denominazione dell’erogazione contenuta nelle scritture contabili della società, quanto dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi. In questa prospettiva, l’accoglimento della domanda con la quale il socio di una società di capitali chiede la condanna della società a restituirgli le somme in precedenza alla medesima versate richiede la prova – da fornirsi da parte del socio che invoca la restituzione del finanziamento – che detto versamento sia stato eseguito per un titolo che giustifichi la pretesa di restituzione: prova che deve essere tratta non tanto dalla denominazione con la quale il versamento è stato registrato nelle scritture contabili della società, quanto, soprattutto, dal modo in cui concretamente è stato attuato il rapporto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi.

Il momento perfezionativo del negozio di mutuo (contratto reale ad efficacia obbligatoria) coincide, di regola, con la traditio – con la consegna, cioè, del denaro, o di altra cosa fungibile, al mutuatario, che ne acquista la proprietà –, ovvero con il conseguimento della disponibilità giuridica della res da parte di quest’ultimo, per effetto della creazione, da parte del mutuante, di un autonomo titolo di disponibilità, tale da determinare l’uscita della somma dal proprio patrimonio e l’acquisizione della medesima al patrimonio della controparte, a prescindere da ogni successiva manifestazione di volontà del mutuante. Il c.d. contratto di finanziamento (o mutuo di scopo, legale o convenzionale) è, per converso, fattispecie negoziale consensuale, onerosa ed atipica, che assolve essenzialmente funzione creditizia, con la conseguenza che, specie nella ipotesi di finanziamento legale (nel quale sono già individuati i soggetti erogatori ed i beneficiari del finanziamento), la consegna della somma da corrispondere, normalmente per stati di avanzamento, e con contestuale controllo della progressiva realizzazione dello scopo, rappresenta l’esecuzione dell’obbligazione principale, anziché (come nel mutuo) l’elemento costitutivo del contratto, onde l’appartenenza della intera somma, salvo i ratei già materialmente riconosciuti e corrisposti, è riferibile non al soggetto finanziato ma all’ente finanziatore.

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Presupposti per la concessione del sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c.
Per la concessione sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c. è richiesta la coesistenza dei due requisiti del fumus boni juris...

Per la concessione sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c. è richiesta la coesistenza dei due requisiti del fumus boni juris e del periculum in mora, intesi, il primo, come dimostrazione della verosimile esistenza del credito per cui si agisce, essendo infatti sufficiente, in base ad un giudizio necessariamente sommario e prognostico, la probabile fondatezza della pretesa creditoria e, il secondo, come timore di perdere la garanzia costituita dal patrimonio del debitore.

In particolare, per la sussistenza del requisito del periculum in mora occorre: da un lato, che la garanzia del credito tutelato si sia assottigliata oppure sia in procinto di assottigliarsi quali-quantitativamente rispetto al momento in cui il credito è sorto, a causa di condotte dispositive del debitore o dell’aggressione che dei suoi beni abbiano fatto o stiano per fare altri creditori; dall’altro, che il timore di perdere la garanzia del proprio credito si basi su elementi oggettivi, rappresentati dalla capacità patrimoniale del debitore in relazione all’entità del credito, oppure soggettivi, rappresentati dal comportamento del debitore che lasci fondatamente temere atti di depauperamento del patrimonio, non essendo comunque sufficiente a tal fine un mero giudizio di incapienza in sé del patrimonio del debitore né il mero sospetto circa la sua intenzione di sottrarre alla garanzia tutti o alcuni dei suoi beni.

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Presupposti della postergazione del finanziamento dei soci ex art. 2647 c.c.
Qualora i finanziamenti da parte dei soci a favore della società non siano stati eseguiti in condizioni di patrimonializzazione insufficiente...

Qualora i finanziamenti da parte dei soci a favore della società non siano stati eseguiti in condizioni di patrimonializzazione insufficiente ma in un periodo nel quale i bilanci evidenziavano la produzione di utili di esercizio, ancorchè le restituzioni siano state effettuate nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, non sussistono i presupposti della violazione dell’art. 2467 c.c. ma semmai gli estremi di un pagamento preferenziale, in relazione al quale l’ammontare del danno non può essere individuato nell’intero importo oggetto di restituzione, bensì nell’entità della falcidia fallimentare.

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Responsabilità dell’amministratore e il danno cagionato dall’anticipato rimborso di crediti postergati
L’azione di responsabilità verso gli amministratori promossa dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. si prescrive in 5 anni...

L’azione di responsabilità verso gli amministratori promossa dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. si prescrive in 5 anni dal momento della percepibilità dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti. Per l’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento. Peraltro, l’azione ex art. 146 l. fall. del curatore fallimentare unisce in sé le azioni di responsabilità degli amministratori verso la società (art. 2393 c.c.) e verso i creditori sociali (art. 2934 c.c.). Quando il curatore agisce nei confronti del liquidatore (o amministratore) in carica prima della costituzione dell’organo fallimentare: (i) il termine quinquennale di prescrizione dell’azione sociale di responsabilità (art. 2393 c.c.) decorre dalla cessazione del liquidatore (o amministratore) dalla carica, avvenuta al momento della pronuncia della sentenza dichiarativa del fallimento; (ii) il termine quinquennale di prescrizione dell’azione dei creditori sociali (art. 2394 c.c.) decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti. L’onere di provare che l’insufficienza del patrimonio sociale si è manifestata ed è divenuta conoscibile prima della dichiarazione di fallimento grava sul liquidatore (o amministratore) che eccepisce la prescrizione dell’azione. Tuttavia, la mera constatazione che da un bilancio precedente la dichiarazione di fallimento fosse rilevabile l’elevata esposizione debitoria della società non implica, di per sé, né che la stessa fosse insolvente, né che il patrimonio fosse insufficiente a soddisfare i creditori sociali.

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