La clausola contenuta in un patto parasociale che abilita un socio a provocare l’acquisto delle proprie partecipazioni da parte dell’altro socio (c.d. opzione put), in caso di inadempimento di quest’ultimo all’obbligo di acquisto, consente al primo di agire ai sensi dell’art. 2932 c.c. al fine di ottenere una pronuncia costitutiva degli effetti del contratto non concluso. Al di là del nomen iuris di “opzione”, occorre valutare se le parti, nella strutturazione della clausola, abbiano voluto regolare un’opzione vera e propria o un generico obbligo di contrarre al ricorrere di determinati eventi. A tal fine, l’impiego di locuzioni quali “provocare ed obbligare”, “si impegna ad acquistare”, nonché la determinazione di una penale in caso di inadempimento, depongono tutte a favore dell’effetto meramente obbligatorio della clausola che, in quanto tale, risulta coerente con il mezzo di tutela apprestato dall’art. 2932 c.c.
L’eventuale violazione dell’art. 2479, co. 2, n. 5 c.c., nel più ampio contesto dei c.d. diritti primordiali dei soci deve essere valutata in relazione all’oggetto sociale e all’attività economica svolta dalla società, tenendo conto altresì dell’impatto che certe tipologie di operazioni determinano sui diritti dei soci. Deve perciò escludersi che la cessione di partecipazioni implichi, per ciò solo ed in assenza delle predette valutazioni, una sostanziale modificazione dell’atto costitutivo e dei diritti dei soci; deve inoltre escludersi che la violazione dell’art. 2479, co. 2, n. 5 c.c. possa essere contestata da un terzo estraneo alla società, stante l’assenza in capo ad esso di ogni interesse giuridico a far rilevare la violazione.
Con riferimento alla determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali qualora non sia stabilita nello statuto, è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, attesa: la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa, discendente dall'essere la disciplina del funzionamento delle società dettata, anche, nell'interesse pubblico al regolare svolgimento dell'attività economica, oltre che dalla previsione come delitto della percezione di compensi non previamente deliberati dall'assemblea (art. 2630, co. 2 c.c., abrogato dall'art. 1 del d.lgs. n. 61 del 2002); la distinta previsione delle delibera di approvazione del bilancio e di quella di determinazione dei compensi (art. 2364, n. 1 e 3 c.c.); la mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilità di gestione, nel caso di approvazione del bilancio (art. 2434 c.c.); il diretto contrasto delle delibere tacite ed implicite con le regole di formazione della volontà della società (art. 2393, co. 2 c.c.). Conseguentemente, l'approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non è idonea a configurare la specifica delibera richiesta dall'art. 2389 c.c., salvo che un'assemblea convocata solo per l'approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori.
In tema di società a responsabilità limitata, il termine per l’impugnazione delle delibere relative ad operazioni sul capitale, qualunque sia il vizio fatto valere (nullità o annullabilità) è di novanta giorni dalla trascrizione nel libro delle decisioni dei soci, nonché, in forza del rinvio operato dall’art. 2479-ter c.c., ultimo comma, all’art. 2379-ter c.c., 1 comma, quello di centottanta giorni decorrente dall’iscrizione della stessa nel registro delle imprese, laddove sia stata adempiuta solo questa formalità e non l’altra.
Qualora non siano state osservate le disposizioni in tema di ritualità della convocazione assembleare deve postularsi che la deliberazione di approvazione del bilancio sia stata invalidamente assunta e vada annullata, in quanto lesiva del diritto del socio impugnante di acquisire approfondita cognizione del progetto di bilancio e del sostrato economico-finanziario a supporto della appostazione delle molteplici voci contabili.
La conoscenza dell’avviso di convocazione dell’assemblea dei soci di società a responsabilità limitata risulta presunta ex art. 1335 c.c. quando il documento contenente l’atto sia pervenuto al luogo che, per collegamento ordinario o normale frequenza, risulti in concreto nella sfera di dominio e controllo del socio, sì da apparire idoneo a consentire ricezione e conoscenza dell'atto.
In mancanza di impugnazione di falso, l’attestazione di restituzione dell’avviso di spedizione al mittente per irreperibilità del destinatario (che non è equiparabile a mancata notificazione) non vale a privare di ritualità l’avviso effettuato.
Salvo che l'atto costitutivo della società non contenga una disciplina diversa, deve presumersi che l'assemblea dei soci sia validamente costituita ogni qual volta i relativi avvisi di convocazione siano stati spediti agli aventi diritto almeno otto giorni prima dell'adunanza (o nel diverso termine eventualmente in proposito indicato dall'atto costitutivo), ma tale presunzione può essere vinta nel caso in cui il destinatario dimostri che, per causa a lui non imputabile, egli non abbia affatto ricevuto l'avviso di convocazione o lo abbia ricevuto così tardi da non consentirgli di prendere parte all'adunanza, in base a circostanze di fatto il cui accertamento e la cui valutazione in concreto sono riservati alla cognizione del giudice di merito.
Anche nelle s.r.l. l'indicazione della data dell'assemblea, così come prevista per le s.p.a. dall'art. 2379, co.3, c.c., quale disposizione applicabile in via estensiva alle s.r.l., costituisce presupposto minimo ed indefettibile del contenuto dell'avviso di convocazione.
La sostituzione del socio da parte di un terzo non socio all’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio non è di per sé causa di annullabilità della relativa delibera, in quanto tale specifica sanzione è espressamente dettata per il caso di partecipazione all’assemblea di soggetti diversi dai legittimati in presenza dei presupposti dell’art. 2377, co. 5, n. 1, c.c. (richiamato per le s.r.l. dall’art. 2479 ter, ult.co., c.c.) e dunque solo ove tale partecipazione risulti determinante per la regolare costituzione dell'assemblea, anche considerando la deformalizzazione delle modalità di svolgimento dell’assemblea nelle s.r.l., come previsto dall’art. 2479 c.c.
La concessione del sequestro conservativo, misura cautelare di carattere patrimoniale finalizzata a tutelare la fruttuosità dell'eventuale espropriazione forzata, è subordinata alla sussistenza, accertata sulla base di un'indagine meramente sommaria, del fumus boni iuris, vale a dire di una situazione che consenta di ritenere probabile la fondatezza della pretesa creditoria, e del periculum in mora, cioè del fondato timore di perdita della garanzia del credito vantato. Tuttavia, quanto al primo dei suddetti requisiti, il credito in relazione al quale viene domandato il sequestro, anche se non liquido o esigibile deve ad ogni modo essere attuale, ossia non meramente ipotetico od eventuale. Né si può sostenere, in ragione della sommarietà della delibazione, che non si possa e non si debba tener conto dell’andamento della causa di merito sottostante cui è necessariamente correlata la tutela.
Il mandato a costituire una società di persone con intestazione fiduciaria ad alcune persone a vario titolo coinvolte nella società ‘madre’ sconta il limite di cui all’art. 2479 c.c. Infatti, deve ritenersi riservata alla competenza dei soci la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci.
Il negozio concluso dal falsus procurator, o da chi abbia sorpassato i limiti delle facoltà conferitegli dal dominus, integra una fattispecie soggettivamente complessa a formazione successiva, la quale si perfeziona con la ratifica del dominus. Inteso come negozio in itinere o in stato di pendenza, ma suscettibile di essere perfezionato in un secondo tempo, mediante la ratifica dello pseudo rappresentato, un tale negozio non è nullo e neppure annullabile, dal momento che ciò che è nullo è privo di ogni potenzialità di perfezionamento, mentre il negozio annullabile spiega i suoi effetti sin dall'inizio e li mantiene finché non intervenga l'eventuale pronuncia di annullamento, che valga a rimuovere quegli effetti. Il negozio posto in essere da chi sia privo del potere rappresentativo è un negozio perfetto, ma privo di efficacia. Peraltro, tale inefficacia (temporanea) del contratto, proprio perché non si verte in ipotesi di nullità, non è rilevabile d'ufficio, ma soltanto su eccezione di parte, mentre legittimato a sollevare tale eccezione, cioè a dolersi dell'operato di colui che abbia stipulato il contratto come rappresentante senza averne i poteri, è unicamente lo pseudo rappresentato, non anche l'altro contraente, al quale compete eventualmente solo il risarcimento del danno per avere confidato senza colpa sulla efficacia del contratto.
Il legislatore ha enfatizzato nelle s.r.l. una maggiore rilevanza personale dei rapporti tra i soci, tanto da rendere il metodo assembleare necessario solo per alcune particolari situazioni specifiche. I soci di s.r.l. possono infatti prevedere l’adozione di diversi modelli decisionali, salva l’insopprimibile esigenza che le decisioni vengano comunque espresse in atti scritti, soprattutto per assicurare la tempestiva informazione in merito. Per essere validamente posta in essere, la decisione dei soci necessita di una apposita clausola statutaria, la quale deve prevedere che i soci possano adottare le “decisioni” mediante consultazione scritta o consenso iscritto, ai sensi di quanto previsto dall’art. 2479, comma 3, c.c.
Quanto alla legittimazione all’esercizio del diritto di voto in assemblea da parte di colui che abbia sottoscritto un contratto preliminare di acquisto delle quote di una s.r.l., va considerato, da un lato, che l’art. 2479 c.c. dispone che il diritto di voto spetta esclusivamente ai soci e, dall’altro, che l’art. 2470 c.c. stabilisce che il trasferimento della quota è opponibile alla società, e conferisce, quindi, al nuovo socio il diritto di voto in assemblea, solo dopo che sia stato concluso, con la forma d’atto pubblico, il contratto definitivo di cessione della quota e l’atto sia stato depositato presso l’Ufficio del Registro delle Imprese. Solo in casi eccezionali, espressamente disciplinati dalla legge, il diritto di voto può essere esercitato da un soggetto diverso dal socio (ad es., le ipotesi di pegno, usufrutto o sequestro della quota, ex art. 2352 c.c., richiamato dall’art. 2471 bis c.c.).
Ai sensi dell’art. 2373 c.c. il conflitto d’interessi è causa di annullamento solo quando il socio sia portatore di un interesse che si pone in conflitto con quello della società, e la delibera possa arrecarle un danno.
Anche nel caso in cui si sia verificata un’ipotesi di irregolarità della convocazione assembleare, questa resta sanata – ai sensi dell’art. 2479 bis, co. 5, c.c. – dal fatto che all’assemblea abbia poi partecipato la totalità del capitale sociale, unitamente all’organo amministrativo e all’organo di controllo, e che nessuno dei presenti si sia opposto alla trattazione della questione.
La revoca dell’amministratore di società a responsabilità limitata, quand’anche adottata in assenza di giusta causa, è da ritenersi in ogni caso valida, fermo restando il diritto dell’amministratore ingiustamente revocato di ottenere il risarcimento dei danni eventualmente patiti.