L'art 2358 c.c., nella misura in cui vieta la stipulazione di determinate operazioni di assistenza finanziaria a tutela del preminente interesse alla tutela dell'integrità e dell'effettività del patrimonio netto nonchè di quello dei creditori, può considerarsi come norma imperativa. Tale carattere è rimasto anche dopo le modifiche che, nel 2008, hanno indotto alcune deroghe al divieto, dovendo ritenersi che, quando il collocamento di azioni avvenga, contro il divieto, nel mancato rispetto di modalità e limiti previsti dalla legge, la sanzione sia quella della nullità in quanto solo il rispetto di tali requisiti e limiti permette di superare il divieto.
La disciplina dell'art. 2358 c.c. è applicabile anche alle società cooperative: tale disposizione supera, infatti, il vaglio di compatibilità di cui all'art. 2519 c.c..
L'art. 2358 c.c. può ritenersi applicabile anche alle banche popolari costituite in forma di società cooperativa in ragione dell'abrogazione dell'art. 9, d.lgs. n. 105/1948 e del disposto dell'art. 150-bis TUB.
In tema di azione di responsabilità contro gli amministratori di società cooperativa – applicandosi alle cooperative, per quanto non espressamente previsto, le disposizioni sulle società per azioni (ex art. 2519, comma 1, c.c.) – l’art. 2392 c.c. impone agli amministratori di adempiere i doveri loro imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e delle loro specifiche competenze e prevede che essi siano solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri. Trattasi di responsabilità di natura contrattuale che impone a chi agisce in responsabilità di provare l’inadempimento, il danno ed il nesso eziologico; per contro, incombe sugli amministratori l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti.
La circostanza che un consigliere sia privo di specifiche deleghe non esime il medesimo, quale componente del CdA, dall’esercitare la propria carica con la diligenza richiesta, nonché dal vigilare ed attivarsi al fine di preservare l’integrità del patrimonio sociale, ponendo rimedio alle eventuali illegittimità rilevate.
L'art. 2467 c.c. non può essere applicato, in via analogica, alla società cooperativa a responsabilità limitata non solo perché l'art. 2519, co. 1 c.c. individua la disciplina integrativa di tale tipologia di società nelle norme previste per la s.p.a., ma anche perché è da escludersi la ricorrenza dell'eadem ratio legittimante l'estensione analogica al cospetto di una società a causa mutualistica, connotata per definizione da una base partecipativa ampia, dalla variabilità del capitale, dalla parità di peso del voto tra i soci e dal tetto massimo della partecipazione sociale, principi tutti volti a contenere l'influenza del singolo socio sulle scelte gestionali.
L'art. 2358 c.c., come modificato dal d.lgs. n. 142 del 2008, pur consentendo il prestito per l'acquisto di azioni proprie in presenza di specifiche condizioni (quali l'autorizzazione dell'assemblea straordinaria e la predisposizione di una relazione illustrativa da parte degli amministratori), prevede ancora un divieto generale di tali operazioni di assistenza finanziaria - volto a tutelare l'interesse di soci e creditori alla conservazione del patrimonio sociale - la cui violazione, trattandosi di norma imperativa di grado elevato, comporta la nullità ex art. 1418 c.c. non solo del finanziamento, ma anche dell'atto di acquisto, ove ne sia dimostrato, anche mediante presunzioni, il collegamento funzionale da chi intenda far valere la nullità dell'operazione nel suo complesso.
L’art. 2358 c.c. è applicabile alle società cooperative. Esso è dettato per le società per azioni, alla disciplina delle quali, per quanto compatibile, rimanda l’art. 2519 c.c. per integrare la disciplina di legge delle società cooperative. Si tratta di norma dettata a tutela del capitale sociale, nell’interesse della società, oltre che dei soci, e anche dei creditori, che fanno parte di quel più ampio pubblico al quale la pubblicazione nel registro delle imprese rende accessibile la delibera. Tale interesse è centrale anche nelle società cooperative. La loro natura mutualistica comporta infatti che il loro scopo sia fornire beni e servizi ai soci (ed eventualmente a non soci) a condizioni più vantaggiose rispetto a quelle di mercato. Tale scopo si realizza però mediante una struttura imprenditoriale, più o meno complessa, che deve operare secondo criteri di economicità, razionalità e quindi in primo luogo con salvaguardia del capitale mediante il quale solamente lo scopo mutualistico può realizzarsi. Alla costituzione di un solido capitale sociale - che andrà poi mantenuto - sono poste a presidio norme che impongono la formazione di riserve (art. 2545 quater c.c. in generale; per le banche popolari, art. 32, co. 1, t.u.b.). Pertanto, certamente una disciplina che vieta (o meglio in concreto limita) le operazioni che possono mettere a repentaglio il capitale non è certo incompatibile con la società cooperativa. Lo scopo mutualistico da solo non basta a giustificare la messa in atto di operazioni in sé pericolose, tali da mettere a rischio l’equilibrio economico della struttura sociale.
In tema di operazioni sulle proprie azioni, l’art. 2358 c.c. è dettato per le società per azioni, alla disciplina delle quali rimanda l’art. 2519 c.c. per integrare la disciplina di legge delle società cooperative, nel cui ambito sono incluse le banche popolari, una delle due forme con cui secondo l’art. 28 TUB le società cooperative possono esercitare l’attività bancaria.
Non si ravvisa alcunché di incompatibile con la disciplina delle cooperative nei disposti relativi ai limiti, presupposti e ai modi della deliberazione di concedere finanziamento per l’acquisto delle azioni della società, previsti dall’art. 2358 c.c. commi 3, 4, 5, 6 e con l’obbligo ivi previsto di iscrivere una riserva indisponibile corrispondente. Poiché tutte le condizioni dettate dalla norma concorrono a elidere i rischi insiti nel finanziamento dell’acquisto di proprie azioni, tutte indistintamente devono sussistere parimenti perché il divieto del comma 1 dell’art. 2358 c.c. sia superato: sia quelle di forma e di competenza, sia quelle relative ai presupposti, sia quelle relative alla pubblicità. Appare, pertanto, in primo luogo rilevante la necessità che l’operazione di assistenza finanziaria sia programmata unitariamente e resa pubblica.
Va inoltre escluso che la disciplina civilistica, posta a tutela del capitale sociale, sia in qualche modo esclusa dal fatto che le società cooperative sono sottoposte a forme di vigilanza (per le Banche, da parte di Consob, banca d’Italia e, dal 2014, in forza del reg. UE 575/2013, anche dalla BCE) in mancanza di norme che in tal senso dispongano.
Con specifico riferimento alle banche popolari, l’art. 150-bis TUB autorizza ad escludere che il legislatore abbia inteso permettere alle banche popolari di finanziare l’acquisto di proprie azioni al di fuori di qualsiasi forma; e in secondo luogo a concludere, in particolare, che si sia inteso applicabile, ad esse, l’art. 2358 c.c.
Con riferimento all’esclusione dei soci di cooperative, ove l’atto costitutivo dell’ente contenga formule generali ed elastiche, destinate ad essere riempite di volta in volta di contenuto in relazione a ciascun singolo caso, occorre valutare se la condotta contestata al socio sia stata talmente grave da provocarne l’espulsione dalla compagine sociale, dovendo al riguardo il giudice operare una valutazione di proporzionalità tra le conseguenze del comportamento imputato al socio e la radicalità del provvedimento espulsivo.
La cessazione della materia del contendere, quale evento preclusivo della pronuncia giudiziale, può configurarsi solo quando, nel corso del processo, sopravvenga una situazione che elimini completamente e in tutti i suoi aspetti la posizione di contrasto tra le parti, facendo in tal modo venir meno del tutto la necessità di una decisione sulla domanda quale originariamente proposta in giudizio ed escludendo così sotto ogni profilo l’interesse delle parti ad ottenere l’accertamento, positivo o negativo, del diritto, o di alcuno dei diritti inizialmente dedotti in causa. La cessazione della materia del contendere non preclude la decisione sulle spese di lite, che deve avvenire facendo ricorso alla regola della soccombenza virtuale.
È precluso ai cc.dd. confidi minori di cui all’art. 155, co. 4, TUB il rilascio di garanzie in favore del pubblico. La funzione dei confidi minori, infatti, è quella di assicurare alle imprese associate delle garanzie collettive per l’accesso al credito tramite la costituzione di un fondo consortile a cui contribuiscono tutti i soci. Detto fondo è funzionale sia alla costituzione delle garanzie, sia a coprire le perdite derivanti da crediti assistiti da garanzia mutualistica nell’ambito soggettivo dei soci; di conseguenza, la concessione di garanzie a soggetti non soci determina un rischio e una eventuale perdita a carico della cooperativa indebiti. Pertanto, è fondata e va accolta l’azione esercitata dal curatore fallimentare nei confronti dell’amministratore che abbia sottoscritto, in nome e per conto della cooperativa, garanzie a favore di terzi non soci della stessa cooperativa.
Nel caso di deliberazione adottata dall’assemblea di una società, qualora nel relativo verbale sia dato atto della partecipazione di un determinato soggetto, incombe su colui il quale contesta la validità o, addirittura, l’inesistenza di quella assemblea, provare la propria mancata partecipazione alla stessa.
Il mancato pagamento dei debiti fiscali e previdenziali configura una grave inosservanza dei doveri imposti dalla legge all’amministratore, foriera per la società dello specifico danno patrimoniale derivante dall’applicazione delle sanzioni previste dalla legge per l’inadempimento e, in particolare, dalla necessità del pagamento degli interessi di mora e delle spese di riscossione. Il mancato assolvimento degli obblighi di pagamento in questione gravanti sul patrimonio sociale espone l’amministratore a responsabilità per mala gestio verso la società in relazione al pregiudizio economico consistente nell’aggravamento della posizione debitoria fiscale causalmente derivante dall’inadempimento, a meno che non provi di essersi trovato nell’impossibilità a lui non imputabile di provvedere al pagamento.
Ove la transazione stipulata tra il creditore ed uno dei condebitori solidali abbia avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che l’ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideate di debito; se, invece, il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto.
Rientrano nella competenza del giudice del concorso, e sono dunque improponibili o improseguibili avanti al giudice ordinario, tutte le domande verso la liquidazione coatta amministrativa dell’impresa bancaria che sono funzionali all’accertamento di un credito verso l’impresa in liquidazione. La competenza di tale giudice riguarda, quindi, non solo le domande di condanna e di accertamento di crediti, ma anche tutte le domande che sono comunque funzionali ad incidere sul patrimonio del fallimento, compresi gli accertamenti che costituiscono la premessa di una pretesa nei confronti della massa o che sono diretti a porre in essere il presupposto di una domanda di condanna. Rimangono invece escluse dalle regole dell’accertamento concorsuale e della formazione dello stato passivo tutte le domande di accertamento o costitutive che non siano dirette a far valere crediti risarcitori o restitutori, ma a conseguire la liberazione da un obbligo assunto verso l’impresa sottoposta a procedura concorsuale. Di conseguenza, sono procedibili o proseguibili davanti al giudice ordinario tutte le domande che non sono funzionali all’accertamento di crediti da vantare verso la procedura, quali ad esempio, quelle volte ad accertare l’insussistenza di crediti vantati dall’impresa in bonis e proprie della procedura, anche laddove l’insussistenza del credito dipenda dalla nullità, annullabilità ovvero risoluzione del contratto, sempre che dette pretese siano funzionali all’accertamento negativo del credito vantato dalla procedura medesima.
A fronte di contratti autonomi, affinché possa opinarsi dell’esistenza di un collegamento che attribuisca rilevanza ad una causa concreta esterna ad essi, è sempre necessario che detto collegamento sia propriamente negoziale, ossia risulti voluto e condiviso dalle parti secondo le pattuizioni concretamente intervenute tra di esse. Tale prova può essere data, oltre che in via diretta, anche in ragione di accertamento presuntivo, sulla scorta di indizi gravi, precisi e concordanti. [Nel caso in cui si tratti di un contratto di finanziamento finalizzato all’acquisto di azioni della banca, costituiscono indizi idonei a raggiungere tale prova la vicinanza temporale tra la concessione del finanziamento e l’acquisto delle azioni, nonché il fatto che precedentemente al finanziamento l’acquirente non disponesse di depositi sufficienti per l’acquisto azionario].
La norma dell’art. 2358 c.c. ha carattere imperativo, dal momento che il divieto di assistenza finanziaria è volto ad impedire operazioni che possano determinare un’erosione anche potenziale del capitale sociale, nell’interesse dei creditori e della società. In particolare, l’imperatività del divieto di assistenza finanziaria si scorge nel fatto che il legislatore ha voluto escludere il rischio della non effettività, totale o parziale, del conferimento dei nuovi soci al tempo dell’aumento del capitale, con ricaduta sul patrimonio netto, stante il rischio di inadempimento del socio entrante, inadempimento che sarà riferito all’obbligazione del rimborso del finanziamento e non a quella del conferimento, già adempiuta con i mezzi finanziari a disposizione della società.
La nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418, co. 1, c.c. discende non solo dalla violazione di norme imperative che si riferiscono alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti, ma anche di quelle che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni, oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto. Di conseguenza, nel caso in cui il collocamento di azioni avvenga in violazione delle condizioni previste dall’art. 2358 c.c., la sanzione comminabile sarà quella della nullità.
L’abrogazione dell’art. 9 d.lgs. n. 105/1948 e il disposto dell’art. 150 bis TUB portano a ritenere che la disciplina del divieto di assistenza finanziaria è applicabile anche alle banche costituite in forma cooperativa.
La delibera di nomina dell’amministratore è atto negoziale proprio dei soci, la cui natura giuridica è riconducibile ad una proposta contrattuale. La successiva manifestazione di volontà del soggetto designato, in senso positivo oppure negativo, è solo un posterius, non in grado di inficiare la validità della decisione dell’assemblea, ciò esclude che l’accettazione della nomina da parte del soggetto individuato o, addirittura, la sua presenza all’assemblea siano elementi necessari ai fini della validità della delibera, essendo a tal fine sufficiente che il voto favorevole dei soci superi il quorum previsto dalla legge o dallo statuto. L'accettazione non è un requisito di efficacia della delibera di nomina, in quanto dichiarazione unilaterale di volontà diretta alla conclusione del contratto di amministrazione produce, invero, i suoi effetti indipendentemente dall’accettazione della controparte contrattuale. L’amministratore nominato, non accettando la nomina assembleare, impedisce semplicemente la conclusione del contratto, ma non priva la manifestazione di volontà dell’assemblea sociale versata nel relativo verbale della sua efficacia.