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Antonio Bramanti

Antonio Bramanti

Iscritto all’Albo degli Avvocati di Firenze. Ha conseguito un LLM in International Financial Law presso il King’s College London. Attualmente collabora con Deloitte Legal, dove svolge attività di assistenza e consulenza legale nell’ambito di operazioni di fusioni e acquisizioni, corporate finance, private equity, nonché su tematiche attinenti alla corporate governance e alla contrattualistica d’impresa.

31 Maggio 2024

Azione sociale di responsabilità, infedeltà patrimoniale e sviamento di clientela

L’azione sociale di responsabilità ex art. 2476, co. 1, c.c., ha natura contrattuale; conseguentemente, quanto al riparto dell’onere della prova, il creditore che agisce in giudizio, sia per l’adempimento del contratto, sia per la risoluzione e il risarcimento del danno, deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, su cui incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’adempimento. In particolare, spetta alla società attrice allegare l’inadempimento, ovvero indicare il singolo atto gestorio che si pone in violazione dei doveri degli amministratori posti dalla legge o dallo statuto e il danno derivante da tale inadempimento, mentre è onere dei convenuti contrastare lo specifico addebito, fornendo la prova dell’esatto adempimento. La valutazione in sede giudiziale della convenienza delle scelte gestionali è riservata in linea generale alla discrezionalità dell’amministratore (c.d. business judgment rule), essendo il sindacato del merito di tali scelte limitato ai casi di palese irragionevolezza delle stesse, desumibile dal fatto che l’amministratore non abbia usato le necessarie cautele e assunto le informazioni rilevanti. Si tratta, peraltro, di una valutazione da condurre necessariamente ex ante, non potendosi affermare l’irragionevolezza di una decisione dell’amministratore per il solo fatto che essa si sia rivelata ex post economicamente svantaggiosa per la società. L’art. 2634 c.c. sanziona penalmente gli amministratori che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale. Con specifico riferimento alla situazione di conflitto di interessi, onde ritenere configurata la predetta fattispecie, si richiede che vi sia un antagonismo di interessi effettivo, attuale e oggettivamente valutabile, tra l’agente e la società, a causa del quale il primo, nell’operazione economica che deve essere deliberata, si trova obiettivamente in una posizione antitetica rispetto a quella dell’ente, tale da pregiudicarne gli interessi patrimoniali. Il tentativo di sviare la clientela rientra nel normale gioco della concorrenza; un dato comportamento può essere considerato illecito allorché lo sviamento sia provocato, direttamente o indirettamente, con un mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale. L’illiceità della condotta non dev’essere ricercata episodicamente, ma va desunta dalla qualificazione tendenziale dell’insieme della manovra posta in essere per danneggiare il concorrente, o per approfittare sistematicamente del suo avviamento sul mercato. Pertanto, mentre è contraria alle norme di correttezza imprenditoriale l’acquisizione sistematica, da parte di un ex dipendente che abbia intrapreso un’autonoma attività imprenditoriale, di clienti del precedente datore di lavoro il cui avviamento costituisca, soprattutto nella fase iniziale, il terreno dell’attività elettiva della nuova impresa (più facilmente praticabile proprio in virtù delle conoscenze riservate precedentemente acquisite), deve ritenersi fisiologico il fatto che il nuovo imprenditore, nella sua opera di proposizione e promozione sul mercato della sua nuova attività, acquisisca o tenti di acquisire anche alcuni clienti già in rapporti con l’impresa alle cui dipendenze aveva prestato lavoro. La fisiologia del passaggio, ove ecceda la normale tollerabilità, necessita di indagini e istruttoria al fine di verificare se sia stato posto in essere un piano di attività preordinato e sviluppato proprio al fine di determinare un massiccio esodo. [ Continua ]
25 Maggio 2024

Presupposti della concessione abusiva di credito

La concessione abusiva di credito sussiste allorquando il finanziatore conceda, o continui a concedere, incautamente credito in favore dell’imprenditore che versi in stato d’insolvenza o comunque di crisi conclamata. Con riguardo ai profili civili risarcitori, dalle condotte di abusivo ricorso e di abusiva concessione del credito possono derivare danni alla società amministrata o finanziata: in particolare, il danno tipicamente ricollegato a tali condotte è, sul piano economico, la diminuita consistenza del patrimonio sociale e, sul piano contabile, l’aggravamento delle perdite favorite dalla continuazione dell’attività d’impresa. Ai fini della configurabilità della responsabilità del soggetto finanziatore, il curatore ha l’onere di dedurre e provare: (i) la condotta violativa delle regole che disciplinano l’attività bancaria, caratterizzata da dolo o colpa, intesa come imprudenza, negligenza, violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline, ai sensi dell’art. 43 c.p.; (ii) il danno-evento, dato dalla prosecuzione dell’attività d’impresa in perdita; (iii) il danno-conseguenza, rappresentato dall’aumento del dissesto; (iv) il rapporto di causalità fra tali danni e la condotta tenuta. Nel caso di pagamenti preferenziali, il danno cagionato si configura come un danno da mancata falcidia del credito pagato per intero ovvero da maggiore falcidia dei crediti ammessi; esso è dunque pari alla differenza tra quanto il creditore ha acquisito a titolo di pagamento e quanto avrebbe acquisito in moneta fallimentare, tale essendo l’ammontare della somma che, in mancanza di pagamento, sarebbe stata ripartita, secondo le relative regole, tra tutti gli altri creditori. In tema di azione revocatoria, la conoscenza in capo all’altra parte dello stato di insolvenza di cui all’art. 67, co. 2, l. fall. (i.e., il requisito soggettivo) deve essere effettiva e non meramente potenziale, assumendo rilievo la concreta situazione psicologica della parte nel momento dell’atto impugnato e non pure la semplice conoscibilità oggettiva e astratta delle condizioni economiche della controparte. La relativa prova è a carico della procedura che agisce, la quale può assolvere a tale onere anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti ex artt. 2727 e 2729 c.c., posto che la legge non pone limiti in merito. Lo stato d’insolvenza consiste in una situazione di impotenza economica che si realizza allorquando l’imprenditore non è più in grado di adempiere regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni, in quanto sono venute meno le necessarie condizioni di liquidità e di credito. La sussistenza dello stato d’insolvenza non è esclusa dalla circostanza che l’attivo superi il passivo e dall’assenza di conclamati inadempimenti esteriormente apprezzabili. L’insolvenza si esprime, secondo una tipicità desumibile dai dati dell’esperienza economica, nell’incapacità di produrre beni con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze di impresa (prima fra tutte l’estinzione dei debiti), nonché nell’impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose decurtazioni del patrimonio. Ai fini dell’accertamento dell’avvenuta percezione da parte dell’accipiens dei sintomi conoscibili dello stato di insolvenza deve tenersi conto delle qualità e delle specifiche conoscenze tecniche del creditore, delle sue qualità personali e professionali, nonché delle condizioni in cui si è trovato concretamente a operare, così da far ritenere che egli, facendo uso della normale prudenza e avvedutezza, non potesse non percepire i sintomi rivelatori della situazione di decozione del debitore. La misura della diligenza richiesta va parametrata alla categoria di appartenenza del terzo e all’onere di informazione tipico del settore di operatività. L’esenzione dalla revocatoria prevista all’art. 67, co. 3, lett. b, l. fall. prescinde dalla natura solutoria o ripristinatoria della rimessa e quindi dal fatto che la stessa afferisca a un conto scoperto o solo passivo, ma impone al giudice del merito di accertare la revocabilità della rimessa stessa avuto riguardo, oltre che alla consistenza, alla durevolezza di essa. Tale accertamento non può essere surrogato dalla semplice quantificazione della differenza tra l’ammontare massimo raggiunto dalle pretese della banca nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato di insolvenza e l’ammontare residuo delle stesse alla data in cui si è aperto il concorso. Occorre accertare, caso per caso, che il versamento sia stato riassorbito da successive operazioni di addebito con un riutilizzo della somma rispondente alle finalità cui assolve il servizio di cassa che il conto corrente bancario è idoneo a svolgere per sua stessa natura. Il duplice riferimento alla durevolezza e alla consistenza può anche essere inteso come riferimento a una riduzione dell’esposizione che permanga durevole, cioè che sia di importo e di durata tale da attestare come il rientro non sia fisiologico alla vita di un conto attivo per la vita della società, cioè caratterizzato da continue movimentazioni, ma sia divenuto di fatto funzionale a soddisfare il credito della banca che si riduca stabilmente con rientri consistenti anche se non necessariamente definitivi, non potendo, invece, operare la previsione nella differente ipotesi, ad esempio, di un conto corrente congelato. [ Continua ]
31 Gennaio 2024

Onere della prova nell’azione di risoluzione del contratto di cessione di quote sociali

Secondo gli ordinari criteri di riparto della prova, è onere del debitore convenuto fornire la prova del fatto estintivo del diritto azionato, ovvero dell’avvenuto adempimento, potendo il creditore, sia che agisca per l’adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento del danno, dare la sola prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad allegare l’inadempimento di controparte. [ Continua ]
21 Febbraio 2024

Responsabilità ex art. 2497, co. 2, c.c.: presupposti, natura e regime prescrizionale

L’attività di direzione e coordinamento, di per sé legittima, assume, ai sensi dell’art. 2497 c.c., i connotati dell’antigiuridicità quando sia esercitata da parte della società controllante nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui, dunque estraneo a quello della società soggetta alla sua direzione/coordinamento, e in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società sottoposte ad essa. Il secondo comma della norma prevede, inoltre, una responsabilità solidale in capo a chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, a chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio. La predetta disposizione normativa e, in particolare, quella di cui al secondo comma, prevede un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, inquadrata nello schema di cui all’art. 2043 c.c., riconducibile alla violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale dell’attività di direzione e coordinamento della società controllata da parte della controllante. Gli amministratori della società controllante rispondono in solido, in via aquiliana, per la lesione all’integrità del patrimonio della società controllata conseguente a condotte che costituiscono violazione dei suddetti principi o per aver concorso con gli amministratori della società controllata al depauperamento del suo patrimonio sociale. Il mero esercizio dell’attività di direzione e coordinamento non comporta che la controllante possa essere chiamata a rispondere delle obbligazioni di una controllata nei confronti dei fornitori della stessa o dell’inadempimento delle medesime. In altri termini, non può configurarsi una responsabilità della capogruppo per obbligazioni fisiologicamente assunte dalla controllata e rimaste inadempiute nella normale dinamica dello svolgimento dell’attività d’impresa. Con riguardo al computo del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, il dies a quo va individuato nel momento in cui il pregiudizio agli interessi sociali sia conoscibile da parte dei soci della società eterodiretta. Ne deriva che il decorso della prescrizione va ancorato non al momento in cui sono stati posti in essere i singoli atti attraverso cui si è realizzata l’illecita condotta di direzione e coordinamento, bensì valorizzando il frangente in cui il danno si è manifestato attraverso la completa evidenziazione dello scenario fattuale che ne costituiva la causa. [ Continua ]
14 Dicembre 2023

Esclusione del socio dalla società cooperativa: conseguenze dello scioglimento del rapporto mutualistico

In tema di società cooperative, l’esclusione del socio dalla società comporta lo scioglimento del rapporto mutualistico e, se del caso, lo scioglimento del rapporto di assegnazione in godimento dell’alloggio. In tale ipotesi, il socio escluso è tenuto al rilascio dell’immobile, nonché al pagamento in favore della cooperativa: (i) dei canoni di godimento insoluti; (ii) dell’indennità di occupazione sine titulo dell’alloggio nel periodo successivo alla risoluzione del rapporto e fino all’effettivo rilascio dell’immobile; (iii) delle spese di gestione dell’alloggio. Il credito per canoni contrattuali scaduti è un credito pecuniario di valuta soggetto al principio nominalistico ex art 1277 c.c., che produce interessi al tasso di legge dalla scadenza di ogni rata non pagata al saldo effettivo. Tale regime degli interessi è applicabile anche al credito per indennità di occupazione. [ Continua ]

Diritto di controllo del socio nelle s.r.l.: limiti e modalità di esercizio

Ai sensi dell’art. 2476, co. 2, c.c., il socio non amministratore di s.r.l. è titolare ex lege di un diritto soggettivo a svolgere l’ispezione delle scritture contabili e dei documenti amministrativi della società partecipata, diritto che integra il contratto di società e a cui corrisponde specularmente l’obbligo della società di consentire tale attività. Tale obbligo deve essere adempiuto, ex art. 1176, co. 2, c.c., con la diligenza professionale richiesta dalla natura societaria del rapporto di controllo del socio. Il diritto del socio ha come contenuto l’informazione “sullo svolgimento degli affari sociali” e la “consultazione” dei libri sociali e dei documenti amministrativi dove essi si trovano e, dunque, lo svolgimento dell’attività ispettiva, all’esito della quale il socio può estrarre, a proprie spese, copia dei documenti ritenuti utili e rilevanti. Il socio non ha invece diritto di confezionare e detenere una contabilità e una documentazione amministrativa parallela a quella formata, tenuta e conservata dalla società. In particolare, il socio non ha il diritto a vedersi inviata documentazione a semplice richiesta e a prescindere dallo svolgimento dell’attività ispettiva e tuttavia, per converso, la società ben può, con ciò riconoscendo la legittimità della richiesta, inviare al socio copia di documenti che questo richieda, facendo così venir meno l'interesse all’ispezione. Il diritto di ispezione del socio deve essere esercitato nei limiti della buona fede, la quale deve permeare tanto l’esercizio dei diritti quanto l’adempimento degli obblighi derivanti dal contratto sociale; al superamento di tali limiti, l’esercizio del diritto trasmoda nell’abuso. La circostanza che il socio sia stato in passato amministratore della società non comporta la compressione del diritto di ispezione amministrativa e contabile. [ Continua ]
11 Marzo 2024

L’azione individuale del socio e del terzo richiede un danno diretto e non meramente riflesso

L’inadempimento contrattuale di una società di capitali non implica automaticamente la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell’altro contraente ai sensi dell’art. 2395 c.c., atteso che tale responsabilità, di natura extracontrattuale, richiede la prova di una condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito dal terzo contraente. L’azione individuale del socio nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisce solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l’art. 2395 c.c. esige che il singolo socio sia stato danneggiato direttamente dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società; la mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscono danno diretto del singolo socio, poiché gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all’eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale, la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell’amministratore. L’inattività dell’assemblea, la perdita del capitale sociale e l’inadempimento contrattuale posto in essere dall’amministratore non integrano, di per sé, i presupposti della disposizione, in quanto la prima inerisce al mero funzionamento degli organi sociali e non comporta necessariamente un danno alla società o al socio, mentre il capitale è un bene della società e non dei soci, i quali dalle perdite subiscono soltanto un danno riflesso a causa della diminuzione di valore della propria partecipazione e, infine, il mancato rimborso della somma presa a mutuo dalla società può comportare la responsabilità dell’amministratore soltanto quando derivi da un illecito colposo o doloso dell’organo dell’inadempimento del mutuo. Per potersi fondatamente esperire l’azione individuale ex art. 2395 c.c. è necessario che il danno patito non sia conseguente a un generale depauperamento del patrimonio sociale ma sia singolarmente apprezzato con riferimento al pregiudizio del singolo creditore. Successivamente alla dichiarazione di fallimento della società, l’azione dei creditori sociali di cui all’art. 2476, co. 6, c.c. diviene azione di massa; essa, fino a che la procedura è in corso, è esercitabile esclusivamente dal curatore fallimentare e non dai singoli creditori (art. 2394 bis c.c.; 146 l.fall., 255, lett. b), c.c.i.i.). [ Continua ]
5 Dicembre 2023

Azione individuale del socio di società di persone nei confronti dell’amministratore per danni diretti

In tema di società di persone, accanto all’azione di responsabilità contro i propri amministratori promossa dalla società ex art. 2260 c.c., è ammissibile la proposizione di un’azione individuale di responsabilità nei confronti dell’organo gestorio da parte dei singoli soci per danni arrecati in via diretta e immediata al loro patrimonio: e ciò in applicazione analogica dell’art. 2395 c.c. rispetto a condotte colpose o dolose degli amministratori. In particolare, è esperibile l’azione contro l’amministratore che si appropria degli utili. [ Continua ]
12 Aprile 2024

L’azione sociale di responsabilità è compromettibile in arbitri

La controversia promossa dalla società nei confronti degli amministratori per ottenere il risarcimento del danno derivante dalle loro condotte di mala gestio verte su un diritto patrimoniale disponibile, tant’è che può essere oggetto di rinuncia o transazione da parte della società, ai sensi dell’art. 2393, co. 6, c.c., sia pure con le limitazioni poste a tutela dell’iniziativa dei soci di minoranza. Tale facoltà è espressamente riconosciuta anche ai soci di minoranza che agiscano in legittimazione sostitutiva ai sensi dell’art. 2393 bis c.c., il quale prevede espressamente, al sesto comma, che i soci che hanno agito possono rinunciare all’azione o transigerla a vantaggio della società. Le limitazioni al potere di transazione e rinuncia all’azione di responsabilità da parte dell’assemblea dei soci sono poste al fine di evitare la possibile vanificazione dell’azione risarcitoria proposta dai soci di minoranza a favore della società da parte dei soci di maggioranza, di cui normalmente gli amministratori sono espressione, nel preminente interesse della società alla reintegrazione del suo patrimonio compromesso dalla mala gestio. Si tratta, dunque, di limitazioni interne all’assemblea che non sono poste a tutela dell’interesse di terzi estranei alla compagine sociale. Conseguentemente, trattandosi di diritti disponibili, le relative controversie sono compromettibili in arbitri. [ Continua ]
17 Aprile 2024

Contratto preliminare di cessione di partecipazioni sociali e presupposizione

La presupposizione ricorre quando una determinata situazione di fatto o di diritto, comune a entrambi i contraenti e avente carattere obiettivo (essendo il suo verificarsi indipendente dalla loro volontà e attività) e certo, sia stata elevata dai contraenti stessi a presupposto condizionante il negozio, in modo da assurgere a fondamento, pur in mancanza di un espresso riferimento, dell’esistenza ed efficacia del contratto. [ Continua ]