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Andrea D'Amico

Andrea D'Amico

Avvocato del Foro di Roma. Si occupa principalmente di diritto civile e commerciale, diritto industriale e della proprietà intellettuale, contrattualistica d’impresa, diritto bancario, data protection

7 Maggio 2023

Diritto all’equo premio del costitutore di nuova varietà vegetale

A parte l’ammissibilità, in via di principio, di forme o comunque di voci o componenti retributive legate al risultato, sia l’invenzione di servizio che l’invenzione di azienda - rispettivamente previste nel primo e nel secondo comma dell'art. 23 del r.d. n. 1127 del 1939 (oggi art. 64 commi 1 e 2 c.p.i.) - presuppongono lo svolgimento, da parte del dipendente, di un’attività lavorativa di ricerca volta all'invenzione, mentre l’elemento distintivo tra le due ipotesi risiede principalmente nella presenza o meno di un'esplicita previsione contrattuale di una speciale retribuzione costituente corrispettivo dell'attività inventiva, in difetto della quale (ed il relativo onere probatorio incombe sul datore di lavoro) compete al dipendente autore dell'invenzione l'attribuzione dell'equo premio previsto dal suddetto articolo. Spetta al giudice del merito - con accertamento "ex ante" e non "ex post", senza che assuma rilievo la maggiore o minore probabilità che dall'attività lavorativa possa scaturire l'invenzione - valutare se le parti abbiano voluto pattuire una retribuzione quale corrispettivo dell'obbligo del dipendente di svolgere una attività inventiva. In tema di invenzioni in azienda previste dall’art. 24 del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127 (cosiddette occasionali), trasfuso con modifiche nell'art. 64, comma 3, del d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (codice della proprietà industriale), il diritto del lavoratore ad un corrispettivo per l'invenzione sorge solo qualora il datore di lavoro manifesti, nel termine ivi indicato, la propria volontà di volerne profittare mediante una dichiarazione negoziale recettizia, che deve indicare l'oggetto ed il corrispettivo offerto, cui segua l'accettazione del lavoratore, non potendosi considerare sufficiente l'eventuale uso di fatto dell'invenzione da parte del primo. [ Continua ]
5 Ottobre 2022

Contegno del licenziatario alla scadenza della licenza e responsabilità per l’illecita successiva circolazione di opera dell’ingegno

Il licenziatario che, scaduta la licenza, non abbia venduto o commercializzato opere del licenziante e/o autorizzato terzi a diffonderle, essendosi, all’opposto, diligentemente adoperato per porre fuori dal mercato dette opere, non può ritenersi responsabile di alcuna relativa illecita distribuzione. La “grave difficoltà” di provare il danno dà ingresso al giudizio equitativo; occorre, tuttavia, che si tratti di impossibilità o difficoltà di prova sull’ammontare e non sull’esistenza del danno; in altre parole, occorre che l’evento lesivo sia certo ma sia incerta la sua estensione o l’estensione dei suoi effetti economici negativi. La valutazione equitativa del danno non deve sopperire all’inerzia del danneggiato, nel senso che, se il danneggiato, pur avendone la possibilità, omette di provare elementi utili per la determinazione del danno, il giudice deve tener conto solo degli elementi provati e di quegli elementi che per la loro notorietà non hanno bisogno di prova. [ Continua ]
11 Settembre 2022

Marchio di fatto con notorietà non puramente locale e trasferimento dell’attestato di registrazione di un identico segno successivamente registrato

La registrazione del segno ha in sé la potenzialità del suo utilizzo a prescindere dalle motivazioni personali o riserve mentali di chi ha ottenuto la registrazione; pertanto la mancata utilizzazione dello stesso è del tutto irrilevante ai fini di causa (nel caso di specie il Tribunale non ha accolto la difesa del convenuto che, tra le altre cose, aveva affermato di non avere intenzione di fare uso del marchio asseritamente contraffacente). Deve ritenersi la notorietà non puramente locale del marchio di fatto allorché esso, sia pure con dati di vendita più o meno significativi, al momento della domanda di registrazione del marchio in contestazione fosse distribuito in una pluralità di Regioni. [ Continua ]
1 Ottobre 2022

Rapporto di parasubordinazione e disciplina dell’invenzione dei dipendenti

La categoria dei rapporti di parasubordinazione di cui all’art. 409 n. 3 c.p.c. ha rilievo ai soli fini processuali, il che comporta che non sono estesi a essi tutti gli istituti sostanziali propri del rapporto di lavoro subordinato, salvo i casi di diversa previsione espressa di legge, con la conseguenza che, non essendoci una previsione normativa che disponga l’applicazione dell’art. 64 c.p.i. ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, per l’attività prestata come “co.co.co.” l’equo premio non può essere riconosciuto. L’attività posta in essere come amministratore non può essere ricondotta al rapporto di parasubordinazione e non è assoggettabile alle disposizioni dell’art. 64 c.p.i.. La corresponsione al lavoratore di una retribuzione accresciuta rispetto alla categoria di appartenenza è uno dei possibili indici della riferibilità della retribuzione all’attività inventiva, che può essere desunta anche altrimenti, per esempio dalla centralità della prestazione di inventore nel testo contrattuale e dalla posizione del lavoratore di socio della società, che per tale via beneficia ulteriormente della redditività dell’invenzione. [ Continua ]
30 Settembre 2022

Questioni di diritto antitrust con riferimento ai servizi portuali

Nell’accertamento dell’abuso di posizione dominante, il giudice deve ricercare la concorrenza “virtuale”, ossia quella che sarebbe rimasta se la posizione dominante non fosse stata esercitata nel modo che si pretende abusivo. Sebbene gli articoli 2 e 3 della legge n. 287/90 non richiedano esplicitamente che venga individuato un mercato rilevante nella valutazione concorrenziale di un'intesa o di un presunto abuso di posizione dominante, l'esigenza di individuare un mercato rilevante si pone con riferimento alla richiesta capacità di un'intesa di alterare "in maniera consistente il gioco della concorrenza" e, nel caso di presunta violazione dell'articolo 3, al fine di accertare l'esistenza di una posizione dominante e le eventuali caratteristiche abusive di un dato comportamento. L'individuazione del mercato rilevante va intesa non come fine a sé stante, ma come una delle fasi funzionali alla valutazione concorrenziale di un atto o di un comportamento. Ad essa pertanto va attribuito non un valore "assoluto", bensì un valore relativo; ad esempio, utilizzare definizioni molto restrittive dei mercati non distorce necessariamente i risultati dell'analisi se negli stadi successivi del processo di valutazione si tiene adeguatamente conto delle possibilità di spostamento della clientela su altri prodotti o su una più ampia area geografica. Il mercato rilevante può essere definito come il più piccolo contesto (insieme di prodotti, area geografica) nel cui ambito è possibile, tenendo conto delle esistenti opportunità di sostituzione, la creazione di un significativo grado di potere di mercato. In termini economici il potere di mercato è la capacità di un'impresa di alzare profittevolmente il proprio prezzo al di sopra del prezzo concorrenziale. Il bene tutelato dagli artt. 102 TFUE e 3 l. 287/90 è la tutela dell’efficace processo concorrenziale e non la semplice tutela dei concorrenti, il che può significare che usciranno dal mercato i concorrenti che presentano ai consumatori un’offerta meno interessante in termini di prezzo, varietà, qualità e innovazione, ma l’obiettivo è impedire che le imprese dominanti ostacolino lo svolgimento della concorrenza effettiva precludendo il mercato ai loro concorrenti in modo anticoncorrenziale, con conseguenti effetti negativi per il benessere dei consumatori, sia in forma di prezzi più elevati di quelli altrimenti vigenti, sia in altra forma, ad esempio limitando la qualità o riducendo la scelta dei consumatori. Un abuso escludente ha due componenti: una è la condotta che ostacola o impedisce l’effettivo ingresso dei concorrenti attuali o potenziali alle forniture o ai mercati e l’altro è l’impatto anticoncorrenziale, attuale o probabile (aumento dei prezzi o peggioramento di qualità, varietà, innovazione) a danno dei clienti. [ Continua ]
11 Maggio 2022

Sul carattere distintivo della componente verbale del marchio (il marchio “ECOPELLET”)

La dicitura “PELLET” non può essere oggetto di privativa come marchio destinato a contraddistinguere prodotti che da questa parola sono descritti secondo il linguaggio comune e nel settore commerciale, essendo a tal fine priva di carattere distintivo. Il prefisso “ECO” risulta completamente privo di capacità distintiva, avendo la funzione di descrivere una qualità del prodotto (nel caso di specie il Tribunale ha ritenuto privi di carattere distintivo – dichiarandoli pertanto nulli – taluni marchi recanti la dicitura “ECOPELLET” unita ad elementi grafici non dominanti). L’associazione anche fonetica del prefisso “ECO” alla parola “PELLET” non conferisce alcun senso di novità complessiva alla dicitura letta nel suo insieme, mantenendo intatti i significati propri delle sue componenti la cui associazione non evoca nella mente del consumatore ulteriori significati completamente differenti, limitandosi a richiamare, invece, l’idea di un PELLET ECOLOGICO, sì da confermare la natura chiaramente descrittiva della parte denominativa di siffatti marchi. [ Continua ]
21 Novembre 2021

Contraffazione di brevetto per equivalenti e c.d. triple identity test

Le regole per l’interpretazione del brevetto, dunque per l’individuazione del suo oggetto e cioè della specifica invenzione per la quale viene richiesta protezione, sono dettate dall’art. 52 c.p.i.. Ai sensi del comma 1 del predetto articolo è fissato il principio di centralità delle rivendicazioni, intesi quale misura del brevetto sotto il profilo della delimitazione dell’area dell’esclusiva. Suddetta centralità ha riguardo non soltanto alla fase dell’accertamento della contraffazione, ma, ancor prima, al momento di valutazione dei requisiti di brevettabilità, in primo luogo in punto di attività inventiva, tenuto conto che esclusivamente caratteristiche rivendicate possono essere apprezzate al fine di stabilire la sussistenza o meno del c.d. scarto inventivo, dato dalle differenze tra il brevetto e la c.d. arte nota. Ai sensi del comma 2 del citato art. 52, il contenuto delle rivendicazioni va letto e interpretato (in ogni caso e non soltanto a fronte di oscurità o ambiguità delle rivendicazioni medesime) alla luce della descrizione e dei disegni (nonché della conoscenza generale del tecnico del settore). La descrizione serve a fornire al tecnico del settore le informazioni necessarie per l’attuazione dell’invenzione; è alla luce di tali informazioni e del linguaggio complessivamente considerato negli atti brevettuali che va definito il significato letterale delle rivendicazioni. In questo quadro assume particolare rilevanza la regola di cui al comma 3-bis dell’art. 52, secondo cui “la disposizione del comma 2 deve essere intesa in modo da garantire nel contempo un’equa protezione al titolare ed una ragionevole sicurezza giuridica ai terzi”. Si ha contraffazione ogniqualvolta venga attuata, nei suoi elementi essenziali e caratterizzanti, l’idea inventiva coperta dalla privativa, con la conseguenza che la contraffazione non è esclusa quando all’invenzione brevettata si apportino modifiche che ne costituiscano un miglioramento, un adattamento o un perfezionamento, che non incidono sugli aspetti essenziali del trovato. La sostituzione degli elementi dell’invenzione non esclude la contraffazione quando i nuovi elementi siano equivalenti, intendendo per tali gli elementi che risultino tali all’esito del c.d. triple identity test e cioè: i) perseguano in sostanza la medesima funzione; ii) in un modo sostanzialmente identico; iii) al fine di conseguire il medesimo risultato. Detto in altri termini, una variante all’invenzione oggetto di privativa dovrebbe ritenersi compresa nell’ambito di protezione della stessa, in quanto equivalente, qualora sia ovvio per il tecnico del settore che utilizzando tale variante si raggiunga sostanzialmente il medesimo risultato raggiunto attraverso l’elemento esplicitamente rivendicato. Il giudizio di equivalenza muove dai singoli elementi rispettivamente dell’invenzione brevettata e della realizzazione sospettata di contraffazione (cd. element by element approach) piuttosto che dall’invenzione intesa nel suo complesso. Il confronto tra gli elementi va dunque compiuto partendo dalla formulazione delle rivendicazioni e interpretandone il contenuto, individuando i singoli elementi rivendicati, analizzando l’oggetto accusato di violare il brevetto e confrontando gli elementi costitutivi di esso con quelli rivendicati per verificarne la corrispondenza letterale o per equivalenti; le rigidità presenti in tale metodo devono però essere superate effettuando in ogni caso un confronto tra il risultato inventivo e l’oggetto che si afferma contraffatto. La valutazione di equivalenza si conclude positivamente anche quando la realizzazione per varianti ottiene un risultato più efficace ma pur sempre riconducibile al contenuto delle rivendicazioni. La pubblicazione della sentenza di condanna a norma dell’art. 126 c.p.i. è un rimedio a vocazione sia preventiva – in quanto diretto a prevenire ulteriori pregiudizi portando a conoscenza degli operatori di mercato la probabile contraffazione della privativa – sia riparatoria – in quanto diretto a risarcire in forma specifica il pregiudizio patito dalla controparte – la cui concessione è rimessa caso per caso alla discrezione del giudice, tenuto conto, quale criterio preminente, degli interessi contrapposti delle parti. La pronuncia di condanna generica al risarcimento del danno da fatto illecito integra un accertamento di potenziale idoneità lesiva del fatto e non anche l’accertamento del fatto effettivo, la cui prova è riservata alla successiva fase di liquidazione, con la conseguenza che il giudicato formatosi su detta pronuncia non osta a che sul giudizio instaurato sulla liquidazione venga negato il fondamento della domanda risarcitoria, alla stregua della contestazione che il danno non si sia in effetti verificato. [ Continua ]
17 Giugno 2022

La tutela dei beni immateriali tra corpus mysticum e mechanicum e numerus clausus

I beni immateriali giuridicamente rilevanti sono solo quelli previsti dall’ordinamento, costituendo essi quindi un numero chiuso [sulla scorta del presente principio di diritto il Tribunale, reputando che il cd. “documento unico di valutazione dei rischi” o “Duvri” di cui all’art. 26 del d.lgs. 81/2008 non sia riconducibile, come tale, tra i beni immateriali contemplati dal c.p.i., ha rigettato le domande dell’attrice, la quale aveva lamentato l’illecito utilizzo, da parte della convenuta, del cd. “corpus mysticum” del proprio Duvri]. [ Continua ]
31 Dicembre 2021

Il carattere più o meno forte del segno distintivo

L’art. 122 c.p.i. non esclude la proponibilità della mera eccezione di nullità del marchio (sulla scorta del presente principio di diritto il Tribunale ha ritenuto ammissibile, per il nostro ordinamento, l'eccezione di nullità proposta dal convenuto in contraffazione al solo fine di paralizzare la domanda avversaria e non anche allo scopo di ottenere la declaratoria di nullità del marchio asseritamente contraffatto; ciò diversamente da quanto previsto in materia di marchio comunitario dal Reg. CE 207/2009 - oramai superato per effetto del Reg. UE 1001/2017 - il cui art. 99 poneva limiti alla proponibilità delle domande di nullità in forma diversa da quella della domanda riconvenzionale). Il marchio costituito dalle parole “Regina Margherita” riferito alla attività di ristorazione napoletana, ed in particolare alla pizzeria, viene ad avere carattere descrittivo del prodotto somministrato, la pizza, nella particolare ricetta di grandissima diffusione che riporta i colori della bandiera: rosso il pomodoro, bianca la mozzarella e verde il basilico; per l’effetto tale marchio, in riferimento alla classe 43, è un marchio che può acquisire carattere distintivo ed essere validamente registrato solo in ragione degli elementi figurativi che si aggiungono o connotano le parole in sé, mancando nella denominazione “Regina Margherita”, di per sé considerata, il carattere distintivo necessario. Il carattere più o meno forte del segno distintivo rileva, ai fini della tutela, perché consente margini diversi di interferenza lecita agli altri segni: un segno composto da elementi fortemente distintivi, che quindi nel mercato vale a richiamare fortemente il prodotto e il produttore cui è associato, non potrà verosimilmente essere riprodotto neppure in parte senza che vi sia contraffazione, mentre un segno che connotato da un aspetto almeno parzialmente descrittivo potrà convivere nel mercato con segni oggettivamente interferenti ogni qualvolta l’interferenza riguardi gli aspetti descrittivi e non riguardi la porzione distintiva. Al fine di dimostrare l’assunzione, da parte di un segno distintivo, di un secondary meaning non basta che l’imprenditore dimostri di avere fatto pubblicità, e utilizzato il segno, nella rete, sui social, diffondendolo vastamente, ma occorre dimostrare che l’uso del segno ha conseguito un effetto specifico, cosicché gli elementi che lo compongono, pur mantenendo il loro significato per così dire naturalistico, hanno acquisito una ulteriore valenza, richiamando nella percezione dei consumatori, il produttore o il prodotto a cui quel segno è abitualmente associato. La concessione in licenza del marchio costituisce una forma di uso posta in essere dal titolare del diritto; si tratta infatti di una condotta positiva, a cui consegue anche un ritorno economico, e che consente che il segno sia utilizzato nel mercato. Non vi è dubbio che il criterio della royalty corrisponda al minimo liquidabile, atteso che non include alcun aspetto sanzionatorio, imponendo, in definitiva, a chi ha improntato la propria condotta all’agire illecito, il solo prezzo di acquisto del bene (marchio) di cui ha usufruito. [ Continua ]