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Arturo Noviello

Arturo Noviello

Laureato a Napoli. Iscritto all'Ordine degli Avvocati di Milano. Master in Diritto e Impresa e in Diritto della Proprietà Intellettuale. Avvocato presso Fieldfisher. Specializzato in contenziosi e arbitrati in materia civile, commerciale e societaria.

2 Aprile 2022

Opposizione dei creditori alla trasformazione eterogenea

L’opposizione dei creditori alla trasformazione ex art. 2500 novies c.c., in deroga alla previsione generale di cui all’art. 2500 comma 3 c.c., differisce gli effetti della trasformazione eterogenea al decorrere dei 60 giorni dall’ultimo degli adempimenti pubblicitari richiesti. Pertanto, la delibera di trasformazione è sottoposta alla condizione sospensiva della mancata opposizione da parte dei creditori. L’effetto sospensivo originato dalla presentazione dell’opposizione dei creditori non si produce laddove consti il consenso dei creditori o il pagamento dei creditori che non hanno dato il consenso. La ratio del rimedio dell’opposizione dei creditori deve essere interpretata alla luce della natura prettamente modificativa della trasformazione, che non realizza alcun effetto novativo né di successione tra enti. Se quindi la trasformazione per il principio di continuità dei rapporti giuridici come enucleato nell’art. 2498 c.c. consente la continuazione dell’originaria attività dell’ente, con il medesimo patrimonio, ne consegue che il pregiudizio dedotto dal ceto creditorio va provato sulla base di un concreto pericolo di pregiudizio delle proprie ragioni sulla base di circostanze specifiche adeguatamente comprovate, non potendosi genericamente dolere dell’adozione di un modello societario più debole sotto il profilo della conservazione del patrimonio oppure per la perdita di un regime di responsabilità più vantaggioso per i creditori. Il fondamento dell’opposizione ex art. 2500 novies c.c. deve quindi essere ravvisato nella esigenza di conservazione della consistenza della garanzia patrimoniale generica costituita dal patrimonio della società trasformanda.  Non vi è dubbio che il creditore possa lamentare una riduzione delle legittime aspettative di soddisfazione delle sue ragioni a causa del mutamento delle regole di governo e amministrazione o di salvaguardia del patrimonio della forma organizzativa di arrivo rispetto a quella rivestita dall’ente al momento della concessione del credito. Il riconoscimento della trasformazione eterogenea come modificazione del contratto sociale consistente nel passaggio da un tipo ad un altro sancisce il definitivo superamento del limite dell’omogeneità causale ostativo alla trasformazione di enti non societari, liberalizzando il cd. mutamento “di scopo o di ente” idoneo a consentire ad organizzazioni che non hanno causa societaria a trasformarsi in società e viceversa. La peculiarità della novella legislativa è stata quella di legittimare l’ampliamento della regola della continuità dei rapporti giuridici oltre il campo strettamente societario, superando consolidate posizioni dottrinali e giurisprudenziali sul punto. Se allora la trasformazione realizza unicamente un mutamento della componente strutturale della fattispecie (societaria o meno) che può determinare anche un cambiamento dello scopo (da mutualistico a lucrativo, o da lucrativo a non lucrativo, a seconda dei casi), il pregiudizio patrimoniale dedotto dai creditori opponenti non può essere incentrato nel mero mutamento della disciplina conseguente alla trasformazione, dovendosi accertare se effettivamente la modifica delle regole di governo incida sulla garanzia patrimoniale del debitore. Infatti, fermo restando che l’opposizione ha natura contenziosa dando origine, come nel caso in esame, ad un processo di cognizione nel quale occorre valutare la fondatezza dell’atto oppositivo, la legittimazione all’opposizione deve essere riconosciuta in caso di pericolo di pregiudizio, che deve essere motivato e valutato nel caso concreto, senza bisogno di provare che dalla trasformazione conseguirà un danno effettivo al creditore. Il secondo comma dell’art. 2500 novies c.c., infine, con l’esplicito richiamo all’ultimo comma dell’art. 2445 c.c. come riformato, prevede che il tribunale possa rimuovere l’impedimento alla piena efficacia della trasformazione qualora ritenga che non sia fondato il “pericolo di pregiudizio” o rilevi che sia stata prestata idonea garanzia.   [ Continua ]

Il rapporto mutualistico nelle società cooperative

In ipotesi di cooperativa, la risoluzione del rapporto sociale determina il venir meno del rapporto mutualistico di assegnazione dell'alloggio sociale. Tale conclusione discende dalla relazione di dipendenza tra il rapporto sociale e il rapporto secondario conseguente che il legislatore ha inteso prefigurare visto il disposto dell’art. 2533 c.c. [ Continua ]
27 Novembre 2021

Utili societari versati sul conto corrente personale

In ipotesi di società di natura familiare, composta da due coniugi e amministrata da uno di essi, l'amministratore che versa gli utili della società sul proprio conto corrente, su cui il coniuge ha delega ad operare, non commette alcun atto distrattivo in danno dell'altro socio. Tale circostanza, infatti, può ritenersi compatibile con l'esistenza di un accordo in forza del quale le somme derivanti dagli utili della società siano impiegate per le spese comuni della famiglia.   [ Continua ]
3 Ottobre 2021

Principi in tema di corretta gestione societaria e criteri per la valutazione della responsabilità degli amministratori

L’obbligazione degli amministratori verso la società è obbligazione di mezzi sicché essi, in difetto di elementi che mettano in dubbio la correttezza del procedimento seguito per pervenire alla decisione assunta, anche se questa ex post si è rivelata dannosa per la società, non saranno ritenuti responsabili del pregiudizio, salvo si dimostri l’assoluta ed evidente irrazionalità economica ex ante della scelta effettuata. Al contrario, se la scelta è stata effettuata senza la preventiva corretta informazione, ovvero se essa deve ritenersi ex ante irrazionale od arbitraria, allora l’amministratore potrà essere ritenuto responsabile del risultato dannoso che ne è conseguito, poggiando il giudizio di responsabilità sulla colpa che ha caratterizzato la condotta nel pervenire alla scelta, ovvero sull’assoluta erroneità ex ante della scelta medesima. La valutazione di responsabilità non può fondarsi su criteri di opportunità o convenienza della scelta gestoria perché se così si procedesse si sostituirebbe ex post un apprezzamento soggettivo a quello dell’amministratore che è l’organo competente a compiere le scelte gestorie. L’insuccesso economico per la società della scelta dell’amministratore non è di per sé fonte di responsabilità per l’organo che si muove, se adotta la diligenza richiesta dall’art 2392 c.c., nell’ambito di un’area dove è titolare di un potere discrezionale vincolato dal fine di conseguire l’oggetto sociale. La valutazione che sta alla base del giudizio di responsabilità va condotta dunque sull’adeguatezza del procedimento decisionale seguito, la diligenza va rapportata alla condotta che ha portato l’amministratore ad un certo tipo di scelta e non al merito della scelta che costituisce, salvo il limite del conflitto di interesse o della assoluta irrazionalità manifesta, l’ambito di competenza proprio dell’amministratore nel conseguire l’oggetto sociale. Il merito della scelta e il risultato potranno costituire la base della valutazione rimessa agli azionisti sulla revoca o la conferma in carica dell’amministratore, valutazione quest’ultima che potrà essere condotta su presupposti del tutto autonomi da quelli che sostengono il giudizio di responsabilità civile dell’amministratore, considerando che i soci, al contrario degli amministratori che devono agire secondo discrezionalità tecnica per l’attuazione al meglio dell’oggetto sociale, possono liberamente e conformemente ai loro interessi anche personali esercitare i diritti sociali, in particolare il diritto di voto, salvo il limite dell’abuso. La responsabilità solidale degli amministratori va imputata non a titolo oggettivo ma a titolo di colpa; la colpa dell’amministratore senza deleghe può consistere o nell’inadeguata conoscenza del fatto altrui, dovendo in ogni caso gli amministratori vigilare sull’andamento della gestione, o nel non essersi diligentemente e utilmente attivato al fine di evitare l’evento o eliminarne e attenuarne le conseguenze dannose, aspetti entrambi ricompresi nel concetto di essere “immuni da colpa” di cui all’art 2392 comma 3 c.c. (Cass n. 2038/2018). L’amministratore immune da colpa è tenuto ad annotare il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio dandone notizia immediata per iscritto al collegio sindacale. L’annotazione del dissenso si inserisce tra le condotte che l’amministratore deve compiere per escludere la sua responsabilità solidale. L’astensione alla decisione consiliare sull’operazione dannosa è tutt’altro dal dissenso e nel sistema è equiparata piuttosto al voto favorevole tanto che l’art 2388 comma 3 c.c. non legittima l’amministratore che si è astenuto alla impugnazione della delibera del consiglio di amministrazione che sia stata presa non in conformità della legge o dello statuto, mentre sono legittimati gli amministratori dissenzienti ed assenti. [ Continua ]
19 Febbraio 2023

Legittimazione passiva nel giudizio di impugnazione di delibera di società di capitali

La domanda avente a oggetto l’impugnativa della delibera di una società di capitali può essere proposta nei confronti della società e non già nei confronti dei soci, i quali non sono titolari del dovere di subire un giudizio in ordine al rapporto dedotto. Il socio di una società per azioni non è legittimato a resistere all’azione d’impugnazione di una delibera assembleare, spettando la legittimazione passiva alla sola società e dovendo, per specifica disposizione di legge, il socio non impugnante e non parte in causa, sottostare all’eventuale annullamento della deliberazione. Tant’è che l’intervento del socio per resistere all’impugnazione di delibera da altri proposta viene qualificato come intervento adesivo dipendente e da questa posizione processuale non deriva il diritto all’autonoma impugnazione della sentenza, così come è precluso al socio il rimedio dell’opposizione di terzo ordinaria. Gli effetti della sentenza di annullamento sono, infatti, per il socio, riflessi e non diretti. [ Continua ]

Distribuzione degli utili nelle srl

Il diritto individuale del singolo socio a conseguire l’utile di bilancio sorge soltanto se e nella misura in cui la maggioranza assembleare ne disponga l’erogazione ai soci, mentre, prima di tale momento, vi è una semplice aspettativa, potendo l’assemblea sociale impiegare diversamente gli utili o anche rinviarne la distribuzione all’interesse della società; quindi non è configurabile un diritto del socio agli utili senza una preventiva deliberazione assembleare, come previsto per le società per azioni (art. 2433 c.c.) e per le società a responsabilità limitata (ora art. 2478 bis c.c.). Poiché gli utili sono frutti civili che, in deroga alla regola generale degli artt. 820, ult. co. e 821, ult. co., c.c., non maturano giorno per giorno, ma vengono giuridicamente a esistere solo nel momento in cui l’assemblea ne accerti l’esistenza e ne deliberi l’an e il quantum distribuibile, salvo patto contrario, gli utili accertati e distribuiti in un momento successivo alla cessione della quota spettano interamente al nuovo socio e non pro rata anche a colui che era socio nel corso dell’esercizio al quale gli stessi si riferiscono. [ Continua ]

Finanziamenti effettuati dai soci a favore della società

L’art. 2467 c.c. affronta la questione dei finanziamenti effettuati dai soci a favore della società, che formalmente si presentano come capitale di credito, ma nella sostanza economica costituiscono parte del capitale proprio. Nel caso in cui i soci, anziché conferire capitale, dispongano un “prestito soci” a favore della s.r.l. (ossia effettuino un semplice finanziamento), il rischio dell’impresa viene trasferito agli altri creditori. Tuttavia, così facendo – ossia evitando il ricorso a versamenti di capitale o, comunque, a fondo perduto - il socio intende, innanzitutto, garantirsi la restituzione di quanto erogato alla società, addossando invece agli altri creditori il rischio di un’eventuale insolvenza della società. Proprio in considerazione di ciò, l’art. 2467 c.c. stabilisce che il rimborso dei finanziamenti soci a favore della s.r.l. è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori qualora si tratti di finanziamenti concessi in un momento in cui risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento. Il fondamento della postergazione ex art. 2467 c.c. è proprio quello di sanzionare i soci che, erogando il finanziamento, hanno eluso il rischio del conferimento di capitale, determinando, in questo modo, un danno agli altri creditori sociali. Il rischio collegato all’aumento degli apporti da parte dei soci a titolo di capitale di debito è che la società si venga a trovare in una situazione di sottocapitalizzazione. La sottocapitalizzazione nominale va tenuta distinta dalla c.d. sottocapitalizzazione materiale: infatti, mentre la prima si caratterizza per l’insufficienza del capitale di rischio e per la copertura del fabbisogno finanziario mediante la assunzione di debiti, nella seconda, invece, la società risulta essere materialmente priva di mezzi adeguati, sia sotto forma di capitale sia sotto forma di somme ottenute a titolo di debito. È estensibile ad altri tipi di società di capitali il disposto di cui all'art. 2467 c.c. [ Continua ]

Legittimazione attiva del fallimento all’esercizio dell’azione nei confronti dei revisori

L’art. 146 legge fallimentare disciplina le azioni di responsabilità esperibili dalla Curatela e, al secondo comma, lettera a) stabilisce che “sono esercitate dal curatore, previa autorizzazione del Giudice Delegato, sentito il Comitato dei creditori, le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori”. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il Curatore Fallimentare può esercitare tutte quelle azioni che fanno capo alla stessa società fallita, o che sono qualificabili come azioni di massa, perché così il legislatore le ha espressamente qualificate in quanto destinate ad incrementare la massa dei beni sui quali i creditori ammessi al passivo possono soddisfare le proprie ragioni secondo le regole del concorso. L’esercizio dell’azione di responsabilità per tutti i soggetti indicati dalla norma fallimentare prescinde dunque dalla specifica natura delle due azioni – l’azione sociale ex art.2393 c.c. di natura contrattuale che presuppone un danno alla società e l’azione spettante ai creditori ex art. 2394 c.c. di natura extracontrattuale che presuppone l’insufficienza patrimoniale – e consente l’unificazione degli scopi di queste ultime al fine di acquisire all’attivo fallimentare ciò che in ipotesi è andato sottratto o perso per fatto imputabile a tutti gli organi sociali. L’art. 146 l.f. è norma di natura processuale e meramente ricognitiva della legittimazione del Curatore ad esercitare le azioni di responsabilità civilistiche, presentando una formulazione ampia rispetto ai soggetti passivi destinatari della predetta azione. Inoltre trattasi di disposizione a carattere “normativo”, in quanto necessita di essere letta non atomisticamente, ma alla luce delle disposizioni codicistiche di natura sostanziale. Alla luce della giurisprudenza sul punto e in sintonia con la ratio della disposizione in esame, l’ampia nozione di organi di controllo non può essere circoscritta solamente ai componenti dell’organo sindacale ma, tenuto conto della attività espletata, può ragionevolmente essere estesa anche ai revisori, in quanto soggetti deputati al controllo contabile della società. Tale interpretazione “estensiva” trova ulteriore conferma nel regime di responsabilità a cui sono assoggettati i revisori ai sensi dell’art. 2409-sexies, applicabile ratione temporis. Tale disposizione prevede che “i soggetti incaricati del controllo contabile sono sottoposti alle disposizioni dell’art. 2407 e sono responsabili nei confronti della società, dei soci e dei terzi per i danni derivanti dall’inadempimento ai loro doveri. Nel caso di società di revisione i soggetti che hanno effettuato il controllo contabile sono responsabili in solido con la società medesima”. E’ proprio il richiamo integrale all’art. 2407 c.c. e, significativamente, al suo terzo comma, nonché l’espresso riferimento ai “terzi”, da leggersi quali “creditori sociali”, a radicare la legittimazione della Curatela ad agire anche a tutela dei diritti patrimoniali dei creditori. Pertanto, alla luce dell’art. 146 l.f. – norma che riassume in sé e legittima la Curatela ad agire tanto a tutela della società quanto della massa creditoria - e sulla base della giurisprudenza maturata sul tema, si può ragionevolmente affermare che al Curatore spettano tutte le azioni di responsabilità esperibili nei confronti dei soggetti che a vario titolo abbiano operato all’interno della società. [ Continua ]

Compenso degli amministratori e impugnativa di bilancio

Relativamente al compenso degli amministratori, la disciplina codicistica si limita a dettare le modalità da seguire per fissare i compensi degli amministratori che sono determinati dall’assemblea (art. 2364, comma 1, n. 3 c.c.) e tendenzialmente all’atto della nomina (art. 2389 c.c.), ma non dice alcunché con riferimento ai parametri da seguire circa la determinazione nel quantum. Pertanto, nel nostro ordinamento, la determinazione di compensi “congrui” o “ragionevoli” non forma in re ipsa oggetto di un espresso obbligo di legge, né è possibile rinvenire nell’attuale assetto normativo i criteri in base ai quali detta adeguatezza può in concreto essere accertata (fatti salvi alcuni specifici regolamenti per alcune tipologie di società, come per quelle operanti nel settore delle assicurazioni, ove si tiene conto delle linee guida dettate dal Regolamento IVASS n. 38 del 3 luglio 2018). Dunque il sindacato giudiziale sulla congruità del quantum inevitabilmente, si sostanzia in una valutazione che è diretta non ad accertare, in sostituzione delle scelte istituzionalmente spettanti all’assemblea dei soci, la convenienza o l’opportunità della deliberazione per l'interesse della società, bensì ad identificare, nell’ambito di un giudizio di carattere relazionale, teso a verificare la pertinenza, la proporzionalità e la congruenza della scelta, un eventuale motivo di illegittimità desumibile dalla irragionevolezza della misura del compenso stabilita in favore dell’amministratore. E' inammissibile per carenza di interesse l’impugnativa del bilancio in cui sono iscritti i compensi deliberati in favore degli amministratori, quando la delibera di determinazione dei compensi è già stata impugnata. Diretta conseguenza è che coloro che hanno fatto valere determinate pretese d’invalidità di una delibera non solo non hanno l’onere di impugnare la successiva delibera di approvazione del bilancio che ne recepisce la determinazione sostanziale, sino alla definitività della sentenza, ma non hanno nemmeno il diritto di farlo, proprio perché la pretesa all’adempimento di quanto imposto dal citato art. 2377 c. c. diventa concreta ed attuale nel momento in cui le denunciate invalidità sono state definitivamente accertate in sede giudiziale. [ Continua ]

L’amministrazione prefettizia

La c.d. “amministrazione prefettizia” – prevista dall’art. 32 d.l. 90/14, rubricato “misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell’ambito della prevenzione della corruzione”, così come modificato dalla legge di conversione 114/2014 – è una misura “ad contractum” che, in presenza di fatti illeciti attribuibili a un’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico che avrebbero precluso tale aggiudicazione o ne imporrebbero la revoca, ritenendo preminente l’interesse pubblico alla prosecuzione dei lavori – attraverso il trasferimento di poteri di cui si è detto ai commissari prefettizi e l’accantonamento dell’utile di impresa derivante dalla commessa pubblica “determinato anche in via presuntiva dagli amministratori” – dà vita ad una “gestione separata” dell’impresa, che assicuri la conclusione dei lavori, evitando tuttavia che l’impresa medesima ne tragga alcun vantaggio. Il comma 10 dell’art. 32 prevede che la misura si applichi anche nel caso in cui sia stata emessa dal Prefetto un’informazione antimafia interdittiva e (tuttavia) sussista l’urgente necessità di assicurare il completamento dell’esecuzione del contratto, ovvero la sua prosecuzione sia necessaria a garantire la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali, nonché per la salvaguardia dei livelli occupazionali o dell’integrità dei bilanci pubblici, ancorché in presenza dei presupposti di cui all’art. 94, co. 3, d. Lgs. 159/2011. I poteri di gestione del contratto pubblico e di disposizione dei relativi utili sono destinati a tornare nelle mani degli amministratori solo in caso di revoca e cessazione degli effetti della misura che, secondo la previsione del medesimo comma 10, si verifica “in caso di passaggio in giudicato di sentenza di annullamento dell’informazione antimafia interdittiva, di ordinanza che dispone, in via definitiva l’accoglimento dell’istanza cautelare eventualmente proposta ovvero di aggiornamento dell’esito della predetta informazione ai sensi dell’art. 91 co. 5 d. Lgs. 159/11”. L’art. 32 co. 3 dl 90/14 prevede che “per la durata della straordinaria e temporanea gestione dell’impresa sono attribuiti agli amministratori tutti i poteri e le funzioni degli organi di amministrazione dell'impresa ed è sospeso l’esercizio dei poteri di disposizione e gestione dei titolari dell'impresa. Nel caso di impresa costituita in forma societaria, i poteri dell'assemblea sono sospesi per l'intera durata della misura”. Tale sospensione deve intendersi riferita ai poteri di gestione e disposizione dell’impresa, “limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto o della concessione”, non potendosi prescindere da una lettura sistematica della norma che, al comma 1 lett. b del medesimo articolo, in caso di applicazione della misura, prevede l’attribuzione dei predetti poteri ai commissari di nomina prefettizia, sottraendoli simmetricamente a chi avrebbe continuato a esercitarli ove la misura non fosse intervenuta. [ Continua ]