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Clara De Chirico

Clara De Chirico

Dottoranda

Laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Trento, con tesi in diritto commerciale in materia di remunerazione gestoria nelle S.p.A. Attualmente svolgo un dottorato in cotutela di tesi presso l'Università di Macerata e l'Università di Ottawa, Canada. La mia ricerca mira a rafforzare la tutela giuridica delle comunità locali soggette a impatti negativi dall'operato delle grandi imprese.

20 Aprile 2024

Covid-19 e utilizzo della clausola simul stabunt simul cadent

Le dimissioni rassegnate dai consiglieri diversi dall’attrice non possono dirsi abusive per il solo fatto di essere motivate dalla necessità di far decadere l’intero C.d.a. rimettendo il mandato all’assemblea dei soci, qualora tale decisione si ponga, più che nell’ottica di eludere gli obblighi risarcitori scaturenti dalla revoca senza giusta causa dell’attrice, quale decisione funzionale a dotare la società di un C.d.a. più coeso ed armonico e, dunque, più idoneo a fronteggiare l’emergenza sanitaria in essere. [ Continua ]
28 Febbraio 2024

Responsabilità degli amministratori per inadempimento contrattuale della società gestita

L'inadempimento contrattuale di una società di capitali non implica automaticamente la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell'altro contraente ai sensi dell'art. 2395 c.c., atteso che tale responsabilità, di natura extracontrattuale, richiede la prova di una condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito dal terzo contraente. Ciò si evince, fra l'altro, dall'utilizzazione, nel testo della norma, dell'avverbio "direttamente", il quale esclude che l'inadempimento e la pessima amministrazione del patrimonio sociale siano sufficienti a dare ingresso all'azione di responsabilità. [ Continua ]
2 Novembre 2023

Revoca dell’amministrazione senza giusta causa

Se potenzialmente qualsiasi situazione sopravvenuta, anche estranea all’operato degli amministratori, è suscettibile di elidere e far venir meno il patto fiduciario tra soci e consiglio di amministrazione, le cause della rottura del pactum devono comunque poter essere chiaramente dedotte dalla delibera assembleare di revoca dell’amministratore. La facoltà di revocare a propria discrezione gli amministratori trova infatti un limite nel presupposto della giusta causa, le cui ragioni devono essere, quindi, esposte nella delibera. L’indicazione delle ragioni nella delibera è imposta dalla circostanza che la revoca è atto dell’assemblea e in seno ad essa le ragioni della revoca trovano la loro ponderazione e valutazione. Occorre l’enunciazione esplicita a verbale in ordine alle ragioni di revoca, che devono presentare i caratteri di effettività ed essere ivi riportate in modo adeguatamente specifico; mentre la deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori non è ammessa, restando esse ormai quelle indicate nella deliberazione. Nel caso di revoca dell’incarico di amministratore senza giusta causa, il danno consiste nel lucro cessante, cioè nel compenso non percepito per il periodo in cui l’amministratore avrebbe conservato il suo ufficio, se non fosse intervenuta la revoca. [ Continua ]
7 Giugno 2024

Annullamento di un contratto di locazione per conflitto di interessi

Perché un contratto venga annullato per conflitto di interessi tra il rappresentante e il rappresentato è necessario che il conflitto risulti in concreto e che il contratto sia pregiudizievole per gli interessi del rappresentato. [ Continua ]
2 Aprile 2024

Sostituzione della delibera nulla per irregolare convocazione del socio di s.r.l.

Ha legittimazione ad agire in giudizio per l’accertamento dell’invalidità della delibera assembleare per irregolare convocazione il socio che, benché al momento dell’introduzione del giudizio risultasse aver perso la qualifica di socio, sia stato nelle more reintegrato nella compagine sociale in forza di provvedimenti cautelari di sospensione delle precedenti delibere di esclusione. L’avvenuta sostituzione, in pendenza di giudizio, della delibera impugnata con altra delibera adottata in conformità della legge comporta la cessazione della materia del contendere ai sensi dell’art. 2377 co. 8 c.c., a sua volta richiamato dall’art. 2479 ter c.c. in tema di società a responsabilità limitata. A tal riguardo, non assume rilevanza il fatto che l’invalidità dedotta dal ricorrente sia riconducibile alla fattispecie della nullità. Invero, costituisce ius receptum il principio di diritto secondo il quale la sanatoria dei vizi, contemplata dall’art. 2377 c.c., opera anche in caso di nullità della delibera; specie ove la nullità dipenda da vizi che, seppur radicali, afferiscono a profili di natura formale, quali quelli inerenti alla convocazione dei soci. Né può parlarsi di assoluta inesistenza della delibera impugnata, trattandosi di atto collegiale che, seppur affetto dal vizio di convocazione dell’attore, è in ogni caso univocamente riferibile all’assemblea dei soci della convenuta ed al contempo espressivo della volontà collegiale manifestata dai partecipanti mediante l’esercizio dei rispettivi diritti di voto. Tuttavia, il vizio di convocazione del socio attore rileva sul piano della regolamentazione delle spese di lite, poiché dimostra l’originaria fondatezza della domanda attorea. Tale vizio non può ritenersi sanato dal fatto che il voto del socio irregolarmente convocato sarebbe stato comunque ininfluente ai fini del raggiungimento del quorum deliberativo. Al riguardo va osservato che in tema di società a responsabilità limitata, la deliberazione dell’assemblea assunta senza la convocazione di uno dei soci è da ritenersi nulla poiché l’omessa convocazione comporta la mancanza, in concreto, di un elemento essenziale dello schema legale della deliberazione assembleare che determina l’inesistenza giuridica di quest’ultima. [ Continua ]
20 Luglio 2024

(In)validità della cessione di brevetto per vizi del consenso

Nel giudizio sulla validità della cessione di brevetto industriale per vizi del consenso, va rilevato dapprima che l’atto di cessione di un brevetto non richiede la forma scritta ad substantiam, che è prevista solo per la trascrizione presso l'Ufficio centrale dei brevetti. Al riguardo, la giurisprudenza riconosce la possibilità di provare l’avvenuta cessione dei diritti patrimoniali del brevetto anche tramite presunzioni semplici. Pertanto, non ha pregio la tesi per cui il conferimento del brevetto dall’inventore a un terzo avrebbe dovuto richiedere la stipula di un atto pubblico redatto da un notaio. L’uso della lingua inglese non può in alcun modo integrare un artifizio o un raggiro in quanto chi si appresta a sottoscrivere un contratto ben potrebbe pretendere dal proponente la versione del documento contrattuale in lingua italiana o rivolgersi ad un interprete per la traduzione del testo. Ai fini della validità della cessione rileva anche l’eventuale manifestazione di intenti sottoscritta tra le parti precedentemente alla cessione, da cui emerga la volontà di trasferire il brevetto, ma ne sia esclusa la vincolatività delle pattuizioni in essa contenute, se il successivo comportamento delle parti abbia confermato la volontà di dare attuazione a tale regolamento negoziale. [ Continua ]
15 Luglio 2024

Scissione parziale e responsabilità di amministratori e sindaci per atti distrattivi

Nel giudizio di accertamento della responsabilità degli amministratori e sindaci per atti distrattivi, l’attuazione di una scissione parziale implicante una cessione in favore di altra società di un patrimonio netto attivo non costituisce, di per sé, espressione di una condotta distrattiva in danno della società scissa. In tal senso depone il dettato normativo offerto dall’art. 2506-quater, co. 3 c.c. È dunque lo stesso legislatore ad ipotizzare, disciplinandola normativamente, l’eventualità di un conferimento in favore della società beneficiaria di un attivo patrimoniale di importo superiore alle passività contestualmente attribuite. Ed invero, il giudizio di illiceità in sé dell’operazione presuppone non una mera comparazione tra i valori dell’attivo e del passivo trasferiti, quanto piuttosto una valutazione in concreto che, tenendo conto della effettiva situazione debitoria in cui operava la società al momento della scissione, consenta di connotare l’operazione – in sé astrattamente lecita – come volutamente depauperatoria del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale. L’accoglimento della domanda richiede pertanto una prova della dolosa preordinazione di tale operazione straordinaria a fini distrattivi. D'altro canto, merita sicuramente accoglimento la domanda tesa al ristoro delle ulteriori voci di danno subite dalla società che siano conseguenza, diretta o indiretta, dell’operazione straordinaria di scissione che, benché non intrinsecamente distrattiva, si poneva come funzionale al perseguimento di interessi personali dei soli soci amministratori ed in aperto contrasto con le esigenze aziendali ed organizzative della predetta società. Unitamente agli amministratori dovranno rispondere, in solido e per le rispettive quote di pertinenza, anche i sindaci che abbiano omesso di attivare gli strumenti di controllo loro riconosciuti dall’ordinamento – primo fra tutti il ricorso ex art. 2409 c.c. teso ad ottenere un accertamento giudiziale di gravi irregolarità gestorie potenzialmente lesive per la società – durante l’intero periodo preso in considerazione, essendo gli illeciti gestori compiuti dall’organo amministrativo senz’altro riscontrabili dai sindaci e, al contempo, prevenibili o censurabili in caso di tempestiva attivazione da parte di questi ultimi. [ Continua ]
10 Gennaio 2024

Natura della responsabilità da investimento e da prospetto del revisore. Il danno da mancato disinvestimento

Il legislatore, attraverso l’art. 94, co. 8, T.U.F., nell’individuare i soggetti responsabili per i danni subiti dall’investitore che abbia avuto un ragionevole affidamento sulla veridicità e completezza delle informazioni contenute nel prospetto, vi annovera anche “le persone responsabili delle informazioni contenute nel prospetto”. Rientrano nei soggetti sopra indicati anche i revisori, in quanto soggetti deputati al controllo e alla supervisione sulle informazioni trasmesse, con la conseguente sussistenza in capo alla convenuta della propria legittimazione passiva. Ai sensi dell’art. 15 d. lgs. 39/2010, i revisori legali e la società di revisione legale rispondono, in solido tra loro e con gli amministratori, nei confronti della società che ha conferito l’incarico di revisione legale, dei suoi soci e dei terzi per i danni derivanti dall’inadempimento dei loro doveri. La norma delinea nei confronti dei soci e dei terzi estranei al contratto di revisione la concorrente responsabilità di natura aquiliana della società di revisione per i danni cagionati alla loro sfera giuridica dall’inosservanza dei doveri che regolano l’attività di revisione; e ciò in modo tale da assicurare l’affidabilità delle informazioni dirette al pubblico, sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società contenute nei bilanci sottoposti al suo giudizio. In presenza di un prospetto di offerta pubblica di sottoscrizione di azioni societarie che contenga informazioni fuorvianti in ordine alla situazione patrimoniale della società, l'emittente al quale le errate informazioni siano imputabili, anche solo a titolo di colpa, risponde verso chi ha sottoscritto le azioni del danno subito per aver acquistato titoli di valore inferiore a quello che il prospetto avrebbe lasciato supporre, dovendosi presumere, in difetto di prova contraria, che la non veridicità del prospetto medesimo abbia influenzato le scelte d'investimento del sottoscrittore. La configurabilità di una responsabilità da contatto sociale tra il revisore e i terzi investitori è esclusa qualora tra loro manchi una qualunque specifica relazione fattuale anteriore all’evento dannoso, come tale generatrice di affidamento e dunque di obbligazioni. In simili casi, la responsabilità del revisore per il danno da investimento e disinvestimento va pertanto ricondotta solo nell’alveo della responsabilità aquiliana. L’attività di revisione: (i) è preordinata a svolgere un controllo in relazione alla regolarità formale e sostanziale delle operazioni contabili effettuate sui fatti di gestione e sul bilancio da parte della società revisionata, rilasciandone all’esito la relativa attestazione. Dunque, la sua attività è costituita da un complesso di verifiche allo scopo di esprimere un giudizio indipendente e veritiero sull’attendibilità della documentazione contabile e di bilancio del soggetto oggetto di verifica. Tale opera è volta, in esecuzione di un rapporto di carattere privatistico, a realizzare l’interesse pubblico della protezione dei mercati; (ii) è delineata dall’art. 14, d.lgs. n. 39/2010 che ne regolamenta gli obblighi, tra i quali rientra la verifica, strumentale alla prestazione principale del revisore, della regolare tenuta della contabilità della società soggetta a revisione, nonché la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabile; (iii) comporta verso i singoli risparmiatori ed investitori responsabilità di natura extracontrattuale ex art. 2043 e 2409 sexies c.c., essendo ricompresa, in virtù degli orientamenti maggioritari, nell’alveo della responsabilità da informazione non corretta sul mercato, rispondendo ad una necessità di controllo avvertita dall’intera società attraverso la tutela dell’ordinata conduzione del mercato; (iv) il soggetto che si ritiene danneggiato dalla condotta del revisore deve allegare di essersi determinato ad effettuare l’investimento nella società a ciò indotto dalla relazione del revisore che ha espresso parere favorevole di bilanci non veritieri e da altre informazioni fuorvianti veicolate prima della conclusione dell’operazione; la vittima è tenuta a provare la specificità di tali circostanze, nonché l’idoneità di esse a trarlo in inganno. In particolare, il riferimento all’incidenza diretta del danno sul patrimonio del terzo danneggiato - quale tratto distintivo della responsabilità ex art 2395 c.c. - importa un esame rigoroso del nesso di causale, secondo un principio di causalità ancorato al criterio del “più probabile che non”. Chi si duole dei dati contabili e di bilancio in quanto confortati dal revisore è tenuto ad allegare e poi a dimostrare anche l’idoneità dei medesimi a trarre in inganno la sua fiducia: onde deve fornire la dimostrazione del nesso causale fra l’illecito contabile degli amministratori ed il danno patito in modo diretto e in conseguenza dell’illecito commesso. Sono, dunque, elementi della fattispecie di responsabilità civile del revisore verso i terzi: l’inadempienza degli obblighi propri del revisore legale; l’esistenza del danno; il nesso causa-effetto tra quest’ultimo e il presunto comportamento illecito del professionista incaricato. Il danno da mancato disinvestimento costituisce un pregiudizio derivante dalla perdita della chance di vendita del pacchetto azionario a prezzo conveniente, prima del tracollo del valore dei titoli. Non è logicamente concepibile la chance di vendita di un titolo illiquido, né la tutela della chance di vendere le azioni al prezzo gonfiato da un vulnus informativo del mercato che presupporrebbe un inimmaginabile diritto dell’attore all’informazione privilegiata. [ Continua ]