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Edoardo Beghelli

Edoardo Beghelli

Cultore della materia in Diritto Commerciale presso l'Università di Bologna; Avvocato in Bologna presso lo Studio Legale Associato Demuro Russo.

14 Maggio 2023

L’impatto della pandemia sul contratto preliminare di cessione di quote: l’integrazione del contratto, la presupposizione e l’eccessiva onerosità sopravvenuta

La pandemia può ritenersi costituire un evento imprevedibile e ingovernabile che, andando a cadere sulla esecuzione di contratti di durata o a esecuzione differita, anche quando non giunga a rendere in concreto definitivamente impossibile una prestazione ancora da eseguire, può comunque rovesciare il terreno fattuale e l’assetto giuridico-economico su cui si è eretta la pattuizione negoziale. Lo strumento risolutorio di cui all’art. 1467 c.c. risulta inadeguato a dare risposta alle esigenze delle parti e occorre, pertanto, indagare sulla possibilità di intervenire sul contenuto del contratto, che, salvi i casi previsti dalla legge o dalle parti stesse, le vincola irrevocabilmente (art. 1372 c.c.). Va individuo nel disposto dell’art. 1374 c.c. lo strumento utile a permettere la conservazione del contratto, a condizioni mutate, rispettando il bilanciamento degli interessi delle parti in linea con i loro originari intenti, ma alla luce delle mutate condizioni. In particolare, poiché ex art. 1374 c.c. il contratto obbliga le parti, oltre che a quanto espressamente previsto nel contratto, anche alle prestazioni che sono dovute secondo buona fede, fra queste deve includersi anche il prestarsi, ove l’equilibrio del sinallagma originariamente trasfuso nel contratto sia aggredito e stravolto dalla pandemia o dalle sue conseguenze, ad una rinegoziazione effettiva delle clausole, la quale possa portare ad una congrua modificazione del contratto: sì che la parte che si sottragga ad una tale rinegoziazione deve dirsi inadempiente. Ciò non comporta comunque l’obbligo di perfezionare una modificazione del contratto, ma solo quello di tentare in buona fede di riequilibrarlo in una onesta trattativa. Il giudice, qualora gli venisse richiesto ex art. 2932 c.c., può intervenire a determinare il riequilibrio del contratto, ma solo in limiti ben determinati. Il giudice, infatti, non è mai chiamato ad esercitare una supervisione o correzione della volontà delle parti che hanno stipulato il contratto, ma può giungere alla ridefinizione del sinallagma solo ancorandosi al regolamento negoziale stesso e avendo come fondamento centrale della sua valutazione il contenuto della trattativa che le parti avevano condotto prima che il processo di rinegoziazione si interrompesse. In materia di contratti, si ha presupposizione quando una determinata situazione di fatto o di diritto – comune ad entrambi i contraenti ed avente carattere certo e obiettivo – sia stata elevata dai contraenti stessi a presupposto condizionante il negozio, in modo tale da assurgere a fondamento, pur in mancanza di un espresso riferimento, dell’esistenza ed efficacia del contratto. La materia della presupposizione attiene dunque in primo luogo alla esistenza ed efficacia del contratto, anche se non è escluso che fatti presupposti comuni e obiettivi possano rilevare nella valutazione ex art. 1374 c.c. e, dunque, nella valutazione di inadempimento, quando il presupposto comune sia tale da chiarire l’ambito delle prestazioni dovute secondo il contratto. Poiché il bene di cui si tratta è un bene il cui valore si stima non solo nel presente ma anche e soprattutto in prospettiva futura, la pretesa di ottenere la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta di un contratto preliminare di cessione di quote, che poggi sulla allegazione delle difficoltà incontrate dalla società bersaglio, richiede una allegazione che sia specifica e conduca alla prova che la società bersaglio versi, per effetti di fatti sopravvenuti e imprevedibili, non già in una situazione di contingente contrazione di fatturati, o altra difficoltà, ma in una situazione che prevedibilmente inibisca le proiezioni verso il futuro che erano formulabili quando l’accordo di acquisto fu concluso. [ Continua ]
11 Dicembre 2023

Distinzione tra cessione di quote sociali e cessione di azienda

Il negozio di cessione di quote sociali non può essere riqualificato quale contratto di cessione di azienda che obblighi il cedente a rispondere dei debiti sociali ai sensi dell’art. 2560 c.c. Infatti, quale che sia l’attività svolta da una società commerciale e quale la consistenza del suo patrimonio, il trasferimento da un soggetto ad un altro di una quota di partecipazione non è mai qualificabile come trasferimento della proprietà o del godimento di un’azienda, che è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa ai sensi dell’art. 2555 c.c. Tale equiparazione non può essere neppure operata mediante il richiamo alla disciplina fiscale (cfr. art. 20 d.p.r. 131/86, TUR, come modificato dalla l. 205/2017 e dalla l. 145/2018) che, ai fini dell’imposta di registro, richiama l’intrinseca natura e gli effetti giuridici prodotti dall’atto. A fini fiscali, si è dunque ritenuto che potessero essere riqualificati, quali cessione di azienda, due distinti negozi, di conferimento di azienda in una società di nuova costituzione e di successiva cessione delle partecipazioni della società stessa. Tale prospettazione qui non è corretta tenuto conto che: (i) la cessione totalitaria di partecipazione non ha la stessa natura e non produce gli stessi effetti della cessione di azienda (ad esempio, la prima attribuisce al cessionario un diritto personale di partecipazione alla vita societaria e non un diritto reale sul patrimonio sociale distinto dalla persona dei soci); (ii) i successivi interventi legislativi (art. 1, co. 87, l. 205/2017 e art. 1, co. 1084, l. 145/2018), confermati da due sentenze della Corte Costituzionale n. 158/2020 e 39/2021, impongono di esaminare, anche a fini fiscali, individualmente ogni singolo atto. [ Continua ]
11 Dicembre 2023

Cessazione della materia del contendere e compensazione delle spese

La declaratoria di cessazione della materia del contendere costituisce un'ipotesi di estinzione del processo che si ha quando si verifica una situazione tale da eliminare le ragioni di contrasto, ad esempio in caso di sopravvenuto accordo negoziale fra le parti.  In caso di transazione tra le parti, non si verifica una carenza sopravvenuta dell'interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., atteso che le parti, al contrario, insistono per ottenere una decisione sulla controversia, sebbene con la mera dichiarazione che essa è definita dall'accordo negoziale. Nell’ipotesi di cessazione della materia del contendere, il governo delle spese non va statuito in base al principio della soccombenza virtuale, ma occorre provvedere alla compensazione integrale sia nel caso di mancata espressa richiesta della rifusione a favore delle parti (in tal caso, il silenzio serbato dalle parti sul punto spese si deve intendere come invito alla Corte a disporre la compensazione), sia nel caso in cui le parti abbiano espressamente richiesto la compensazione. [ Continua ]
28 Aprile 2023

Competenza sulle azioni derivanti dal fallimento

L’art. 83, comma 3 seconda parte TUB, parallelamente all’art. 24 l. fall., riguarda le azioni derivanti dal fallimento. Spettano alla competenza del Tribunale fallimentare o più in generale della procedura le domande di condanna (art. 52 fall. e 83, comma 3 prima parte TUB) e quelle domande che comunque incidono sul patrimonio del fallito, compresi gli accertamenti che costituiscono premessa di una pretesa nei confronti della massa. Per tali domande devono intendersi sicuramente quelle che sono volte ad incidere effettivamente sulla massa, sottraendo ad essa valori e beni; ma anche quelle domande di accertamento che non mostrano altro scopo che quello di porsi come premesse per pretese contro la massa. Spazi di riserva al giudice ordinario si leggono invece in generale nelle pronunce che trattano di domande demolitorie o di accertamento che abbiano come scopo solo tale accertamento. Naturalmente, posto che la domanda deve essere comunque sorretta da un interesse, sarà lo scopo ultimo dell’accertamento, o della pronuncia costitutiva demolitoria richiesti, a determinare la procedibilità o meno della domanda avanti il giudice ordinario. [ Continua ]
11 Dicembre 2023

Competenza delle sezioni specializzate

La causa avente ad oggetto la cessione di un credito sotteso a un contratto di compravendita immobiliare e alle relative obbligazioni accessorie, rispetto alle quali è estraneo ogni rapporto di diritto societario non è di competenza della sezione specializzata in materia d’impresa. [ Continua ]
22 Novembre 2023

La responsabilità del liquidatore

Sui liquidatori grava una responsabilità sociale illimitata, parificata in tutto a quella degli amministratori, in relazione alla natura dell’incarico rivestito, da valutarsi in rapporto al dovere del liquidatore di agire in modo conservativo, utile alla liquidazione, sì da evitare la dispersione del patrimonio sociale, oramai destinato alla liquidazione, e dunque al pagamento dei debiti sociali e alla distribuzione dell’attivo, ove presente, a favore dei soci, come precisato nel art. 2489, co. 1, c.c. Difatti i creditori, fino a che la società non sia stata cancellata, anche se in ipotesi quest’ultima versi in stato di scioglimento, fanno affidamento sul patrimonio della società, il quale costituisce la garanzia patrimoniale generica su cui possono rivalersi e di cui possono chiedere persino la reintegrazione ex art. 2394 c.c., sia agli amministratori che ai liquidatori. La responsabilità del liquidatore, una volta che ha provveduto a cancellare la società, permane direttamente nei confronti del singolo creditore rimasto eventualmente insoddisfatto, ove il mancato pagamento del credito sia derivato da sua colpa, in considerazione della violazione di obblighi inerenti alla natura dell’incarico che il liquidatore ricopre nella fase in cui la società è sciolta e non può più dinamicamente operare nell’esercizio dell’impresa, con assunzione di rischi ed oneri assimilabili a quelli degli amministratori che agiscono in una situazione di scioglimento non dichiarato, ex art. 2485 c.c. Il creditore rimasto insoddisfatto dall’attività liquidatoria, per far valere la responsabilità del liquidatore, dovrà dedurre il mancato soddisfacimento di un diritto di credito provato come esistente, liquido ed esigibile al tempo dell’apertura della fase di liquidazione e il conseguente danno determinato dall’inadempimento del liquidatore alle sue obbligazioni, idoneo a provocarne la lesione, con riferimento alla natura del credito e al suo grado di priorità rispetto ad altri andati soddisfatti. Ex latere debitoris, in relazione al principio di vicinanza della prova e agli obblighi gravanti sul liquidatore, il liquidatore dovrà provare l’adempimento, in concreto, dell’obbligo di procedere a una corretta e fedele ricognizione dei debiti sociali (costituente la c.d. massa passiva) e l’adempimento dell’obbligo di pagare i debiti sociali nel rispetto della par condicio creditorum, secondo il loro ordine di preferenza, senza alcuna pretermissione di crediti all’epoca coesistenti. [ Continua ]
22 Novembre 2023

Diritto al risarcimento del danno dell’amministratore revocato senza giusta causa

Spetta all'amministratore, a seguito della sentenza di rigetto dell’impugnazione della delibera di nomina dello stesso, la cui efficacia era stata sospesa nelle more del giudizio, un ristoro mediante l’applicazione analogica dell’art. 2383 c.c., norma che disciplina la revoca dell’amministratore in assenza di giusta causa e prevede il diritto dell’amministratore ingiustamente revocato o sospeso al risarcimento del danno subito. Il danno va commisurato al compenso non percepito nel periodo in cui l’amministratore avrebbe conservato il suo ufficio se non fosse sopraggiunta la sospensione dall’incarico. [ Continua ]
22 Novembre 2023

Diritto al risarcimento del danno dell’amministratore revocato senza giusta causa

Spetta all’amministratore, a seguito della sentenza di rigetto dell’impugnazione della delibera di nomina dello stesso, la cui efficacia era stata sospesa nelle more del giudizio, un ristoro mediante l’applicazione analogica dell’art. 2383 c.c., norma che disciplina la revoca dell’amministratore in assenza di giusta causa e prevede il diritto dell’amministratore ingiustamente revocato o sospeso al risarcimento del danno subito. Il danno va commisurato al compenso non percepito nel periodo in cui l’amministratore avrebbe conservato il suo ufficio se non fosse sopraggiunta la sospensione dall’incarico. [ Continua ]