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10 Settembre 2024

Esclusione del socio di s.r.l.: termine d’impugnazione, abuso dei diritti e periculum in mora per il socio escluso

Il legislatore, omettendo di dettare una disciplina del procedimento di esclusione del socio di s.r.l., ha ritenuto che i presidi generali della disciplina del tipo sociale siano sufficienti baluardi a tutela anche del socio escluso. L’art. 2479 ter c.c. disciplina le modalità di impugnazione delle delibere assembleari assegnando il termine di novanta giorni, salvi i casi di cui al terzo comma. Il termine di cui all’art. 2479 ter c.c. è termine a carattere processuale, e non solo perentorio – a garanzia della certezza dei fatti sociali – ma anche stabilito dal legislatore per assicurare agli interessati un congruo tempo per impugnare. La natura cogente del termine si individua anche in considerazione del principio generale stabilito dall’art. 2965 c.c.: una volta che il legislatore ritiene congruo per le impugnative in materia di decisioni (segnatamente assembleari) nelle s.r.l. il termine di novanta giorni, un termine minore deve ritenersi produttivo di eccessiva difficoltà nella tutela del diritto. Nulla ostacola il socio escluso dall’impugnativa secondo le norme generali, poiché un rimedio volto a rimuovere una esclusione illegittima deve poter essere utilizzato da colui che di tale esclusione è vittima. Lo statuto non può derogare al termine di impugnazione di novanta giorni stabilito dalla legge all'art. 2479 ter c.c. per la impugnazione delle delibere delle s.r.l.; un eventuale termine previsto potrà ritenersi operante solo riguardo alla durata dell’effetto sospensivo automatico. La ratio del disposto dell’art. 2378, co. 3, c.c. è quella di evitare che la materia della sospensiva sia trattata autonomamente da un processo destinato a decidere in modo definitivo sulla validità della delibera, mentre non vi è ragione che vieti di anticipare con una sospensiva gli effetti della sentenza, dopo che il merito è stato introdotto, all’interno dello stesso processo, e successivamente all’inizio di questo. Il socio di s.r.l. che si giovi del suo diritto all’accesso documentale per procurarsi notizie che gli assicurino un vantaggio competitivo sul mercato a discapito della società, cagionandole danno grave, rappresenta un caso di abuso che costituisce un limite allo stesso diritto ispettivo del socio. Diversamente, l’utilizzo dei documenti a fini di difesa processuale non realizza abuso del diritto ispettivo, né sotto il profilo concorrenziale né sotto altro profilo, avendo i soci diritto all’accesso anche nell’interesse proprio, purché non confliggente con quello della società. Al fine dell’individuazione del periculum in mora, i soci che si ritengono ingiustamente esclusi sono portatori di un interesse a conservare l’esercizio delle loro prerogative sociali, e ciò anche se la società è stata nel frattempo posta in liquidazione. Anzi, poiché la liquidazione è tendenzialmente destinata a portare la società a fine vita, la soddisfazione del loro interesse a potere esercitare il controllo della sua conduzione, nelle forme di legge, e a conseguire le eventuali spettanze economiche finali, appare non differibile. [ Continua ]
10 Settembre 2024

La legittimazione a impugnare la delibera assembleare del socio escluso. Il metodo assembleare nelle società di persone

L’azione di annullamento delle delibere assembleari presuppone, quale requisito di legittimazione, la sussistenza della qualità di socio dell’attore non solo al momento della proposizione della domanda, ma anche al momento della decisione della controversia, tranne nel caso in cui il venir meno della qualità di socio sia diretta conseguenza della deliberazione la cui legittimità egli contesta. Pertanto, la legittimazione del socio escluso ad ulteriormente interferire con l'attività sociale sta o cade a seconda che la deliberazione impugnata risulti o meno legittima. Nelle società di persone il diritto alla percezione degli utili sorge con l’approvazione del rendiconto, a differenza di quanto avviene nelle società di capitali, laddove la distribuzione degli utili presuppone una espressa decisione dell’assemblea dei soci. Tale diritto può essere limitato solo da una manifestazione di volontà dei soci che richiede il consenso unanime o da apposita previsione statutaria che limiti il diritto soggettivo del socio a percepire gli utili conseguiti dalla società prevedendo, ad esempio, un obbligo di parziale accantonamento degli utili medesimi o rimetta ad una decisione dei soci, da assumere secondo maggioranze predeterminate, la scelta in ordine alla distribuzione o all’accantonamento. I soci delle società di persone possono riunirsi e deliberare all’unanimità o a maggioranza, a seconda di quanto richiesto dalla legge. Tale facoltà non è impedita dall’assenza di una normativa ad hoc sulla società di persone sulle modalità di raccolta del consenso (pur contemplandosi il criterio della maggioranza, per teste o quote di interessi o in alternativa il criterio dell’unanimità) e dalla mancata previsione tra gli organi sociali dell’assemblea, chiamata ad esprimere la volontà dei soci. Con riguardo al rimedio concesso dall’ordinamento in caso di delibera assunta in violazione di legge o di statuto, va individuata negli artt. 2377  ss. c.c. la disciplina applicabile, risultando dunque la delibera annullabile, valorizzando così il sottoinsieme del diritto societario caratterizzato da autonomi principi che lo distinguono dal diritto civile ed enfatizzando il principio organizzativo e l’esigenza di stabilità dell’agire dell’impresa esercitata in forma societaria. [ Continua ]
22 Luglio 2024

Impugnativa della delibera e sopravvenuta carenza di interesse ad agire per il fallimento della società

In tema di impugnazione delle deliberazioni assembleari della società, il sopravvenuto fallimento di quest'ultima comporta il venir meno dell'interesse ad agire per ottenere una pronuncia di annullamento dell'atto impugnato, quando l'istante non deduca e argomenti il suo perdurante interesse, avuto riguardo alle utilità attese dopo la chiusura della procedura fallimentare. Pertanto, rispetto alla delibera relativa all'autorizzazione all’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore, il fallimento priva di qualsivoglia interesse il suo annullamento, tenuto conto che sarà il curatore fallimentare, nei modi e nei tempi previsti dalla legge, a valutare nella sua autonomia la sussistenza dei presupposti per agire nei confronti degli ex amministratori, previa autorizzazione del giudice delegato. Per cui alcun beneficio recherebbe l’eventuale pronuncia favorevole alla società attrice, né la sussistenza di una eventuale e astratta possibilità di ritorno della società in bonis può essere sufficiente a radicare in capo all’attrice un interesse concreto e attuale alla emissione di un provvedimento nel merito. [ Continua ]
12 Giugno 2024

Contratti di coesione nei gruppi bancari cooperativi e revoca del sindaco esercitata dal CdA della controllata

L’annullamento della delibera del CdA con cui viene deliberata illegittimamente la revoca del sindaco ha efficacia ex tunc, con la conseguenza che il sindaco deve essere considerato come mai cessato dalla propria carica. Ai fini del risarcimento del danno, il tribunale deve valutare se il sindaco avrebbe comunque proseguito nella sua attività per il tempo previsto fino alla scadenza, maturando pertanto il relativo compenso, nonché la sussistenza di una chance di essere riconfermato e, infine, valutare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del danno all’immagine. [ Continua ]
2 Dicembre 2023

Società di fatto: accertamento della sussistenza di una holding di fatto

L’accordo intercorso fra una pluralità di soggetti volto alla gestione in comune di una società già esistente solo fra alcuni di essi, trova qualificazione nella holding di fatto. [ Continua ]
2 Dicembre 2023

Questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, co. 3, d.lgs. n. 39/2010, recante disciplina di favore per i revisori in tema di prescrizione

L’art. 15, co. 3, d.lgs. n. 39/2010, per il quale il dies a quo del termine quinquennale di prescrizione della responsabilità dei revisori deve essere individuato nella data della relazione di revisione sul bilancio emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento, costituisce lex specialis, di indubbio favore, che esclude l’applicabilità in via analogica delle regole dettate per l’azione di responsabilità contro gli amministratori e i sindaci con i quali pure il revisore sia chiamato in correità; e che ricomprende indistintamente tutte le azioni risarcitorie, di qualunque natura, esperibili ai sensi del medesimo art. 15 contro il revisore dalla società revisionata come anche dai soci di questa e dai terzi in genere. Tale norma presenta caratteri di possibile illegittimità costituzionale [pertanto, il tribunale ha sollevato, con separata ordinanza, quesitone di legittimità dell’art. 15, co. 3, d.lgs. n. 39/2010]. La mancanza di autorizzazione del giudice delegato al curatore perché intraprenda un giudizio, concernendo un'attività svolta nell'esclusivo interesse del fallimento procedente, è suscettibile di sanatoria con effetto ex tunc, anche mediante successiva autorizzazione nel corso del processo, purché l'inefficacia degli atti non sia stata nel frattempo già accertata e sanzionata dal giudice. L’atto di citazione, pur se invalido come domanda giudiziale, inidoneo cioè a produrre effetti processuali, può tuttavia valere come atto di costituzione in mora, ed avere perciò l'efficacia interruttiva della prescrizione, qualora, per il suo specifico contenuto e per i risultati cui è rivolto, possa essere considerato come richiesta scritta stragiudiziale di adempimento rivolta dal creditore al debitore ex art. 2943, co. 4, c.c. L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l.fall. cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali. L’azione ex art. 146 l.fall. implica una modifica della legittimazione attiva, ma non della natura giuridica e dei presupposti delle due azioni, che rimangono diversi ed indipendenti; tant’è che il curatore può, anche separatamente, formulare le domande risarcitorie in commento, una di natura contrattuale (l’azione sociale di responsabilità), l’altra di natura extracontrattuale (l’azione di responsabilità verso i creditori). Tali azioni non perdono la loro originaria identità giuridica, rimanendo tra loro distinte sia nei presupposti di fatto, che nella disciplina applicabile, differenti essendo la distribuzione dell’onere della prova, i criteri di determinazione dei danni risarcibili ed il regime di decorrenza del termine di prescrizione. L’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. si prescrive nel termine di cinque anni; il termine, in applicazione del principio generale di cui all’art. 2935 c.c., decorre dal momento in cui il danno diventa oggettivamente percepibile all’esterno, manifestandosi nella sfera patrimoniale della società; il decorso rimane sospeso per l’amministratore, a norma dell’art. 2941, n. 7, c.c., fino alla cessazione dalla carica. L’azione di responsabilità dei creditori sociali ex art. 2394 c.c. si prescrive nel termine di cinque anni; il termine decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza del patrimonio sociale, per l’inidoneità dell’attivo, raffrontato alle passività, a soddisfare i loro crediti. In ragione della onerosità della prova gravante sulla procedura che agisce, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione dell’azione de qua e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sugli amministratori convenuti l’onere di fornire prova contraria della diversa data anteriore di conoscibilità dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza. [ Continua ]
31 Maggio 2024

I limiti alla conversione del rito sommario in rito ordinario

Non è condivisibile l’orientamento secondo cui è possibile convertire il giudizio promosso con ricorso sommario ex art. 702 bis c.p.c. in rito ordinario, in virtù del principio di uguaglianza e di ragionevolezza ex art. 3 Cost. e, in particolare, del principio di strumentalità e di effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni sostanziali che devono essere volte a favorire decisioni sul merito anziché in rito. Tale interpretazione è contraddetta dal tenore testuale del disposto di cui all’art. 702 bis c.p.c. nel quale è prevista l’inammissibilità del ricorso ogni qualvolta la domanda non rientri tra quelle indicate dalla medesima disposizione. Non è possibile ravvisare nemmeno una lesione dei principi costituzionali sopra richiamati attesa la ragionevolezza della disciplina che esclude, in toto e senza possibilità di convertire il rito, l’applicabilità del giudizio sommario di cognizione per le cause devolute al tribunale in composizione collegiale attesa la struttura complessa del procedimento devoluto al collegio. [ Continua ]
13 Novembre 2023

Il diritto di controllo del socio non amministratore di s.r.l.

A norma dell’art. 2476 c.c., i soci che non partecipano all’amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione. L’accesso riconosciuto al socio non amministratore è diritto incondizionato avente natura potestativa rispetto al quale il soggetto passivo si trova in situazione di soggezione, ovvero nella situazione di dover soggiacere alla richiesta di accesso formulata dal socio il quale non è neppure tenuto ad indicare i motivi per i quali l’esercizio della potestà in questione venga fatta valere, motivi che possono astrattamente riguardare la tutela degli interessi della società medesima a fronte di possibili condotte gestorie illecite, nel quadro delle responsabilità degli amministratori verso la società stessa, ovvero riguardare anche la tutela di interessi del socio medesimo. L’art. 2476, co. 2, c.c. prevede una potestà espressione stessa dello status di socio, con la conseguenza che, non essendo prescrittibile detto status, non può reputarsi suscettibile di prescrizione la potestà (o facoltà) che è sua tipica espressione in ambito gestorio. Infatti, il diritto del socio all’informazione e alla consultazione della documentazione societaria, quale strumento essenziale con cui si realizza il controllo sulla gestione dell’impresa, non può ritenersi soggetto ad alcun limite temporale, potendo essere esercitato in ogni momento, per tutto il periodo in cui perdura il rapporto associativo. La potestà riconosciuta al socio può reputarsi immeritevole di tutela solo ove esercitata in modo abusivo ed in malafede, ovvero in modo tale da pregiudicare gli interessi sociali e secondo modalità che possano comportare ostacolo alla gestione dell’impresa collettiva. L’esercizio del diritto di accesso non può essere inibito per il semplice fatto che il socio eventualmente sia già a conoscenza di determinate vicende sociali, permanendo il suo concreto interesse ad avere precisa contezza della documentazione che dette vicende rappresenta. Quanto al presupposto del periculum in mora, va considerato che il ritardo nel permettere l’esercizio del diritto di accesso determina, hic et nunc, la lesione della facoltà di controllo riconosciuta al socio, lesione che se non dovesse essere sanata con provvedimento immediato, attendendosi l’esito di eventuale giudizio di merito, sarebbe destinata a perpetrarsi, con assoluta impossibilità di tutela per equivalenti. In effetti, il requisito del periculum in mora risulta di per sé connaturato all’esigenza di controllo del socio rispetto alla concreta evoluzione delle vicende sociali, esigenza che sarebbe inevitabilmente frustrata dai tempi del giudizio ordinario.   [ Continua ]
13 Novembre 2023

Legittimazione del socio di s.r.l. all’impugnazione di una delibera e all’azione di responsabilità

Se di regola il difetto della qualità di socio in capo all’attore al momento della proposizione di una domanda di accertamento della nullità di una delibera assembleare, o a quello della decisione della controversia, esclude la sussistenza in lui dell’interesse ad agire per evitare la lesione attuale di un proprio diritto e per conseguire con il giudizio un risultato pratico giuridicamente apprezzabile, ciò tuttavia non può dirsi nel caso in cui il venir meno della qualità di socio sia diretta conseguenza della deliberazione la cui legittimità egli contesta. In tal caso, anche la stessa legittimazione dell’attore ad ulteriormente interferire con l’attività sociale sta o cade a seconda che la deliberazione impugnata risulti o meno legittima: la declaratoria della nullità della deliberazione può dunque condurre al ripristino della qualità di socio dell’attore, e tale risultato costituisce una delle ragioni per le quali la deliberazione viene impugnata. Sarebbe allora logicamente incongruo, e si porrebbe insanabilmente in contrasto con i principi enunciati dall’art. 24 Cost., co. 1, l’addurre come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l’attore assume essere contra legem e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti. Analoghe considerazioni possono svolgersi quanto all’azione di annullamento. Diversamente deve opinarsi in riferimento alla legittimazione dell’attore ad esercitare l’azione sociale di responsabilità a norma dell’art. 2476, co. 3, c.c. A differenza dell’azione di impugnazione delle delibere assembleari o delle decisioni dei soci, con l’azione di responsabilità sociale, il socio non esercitata diritti propri nel proprio interesse, ma diritti risarcitori che competono all’ente collettivo in ragione della violazione imputata all’organo gestorio degli obblighi di corretta amministrazione che detto organo ha, non direttamente nei confronti del socio, ma nei confronti della società. In effetti, la stessa disciplina dell’art. 2476 c.c., in tema di azione sociale di responsabilità esercitata dal socio, esplicita che il diritto fatto valere è appartenente alla società che, infatti, può transigere o rinunciare all’azione, competendo l’eventuale risarcimento unicamente alla stessa che è parte necessaria del giudizio in quanto beneficiaria del credito risarcitorio e titolare della relativa posizione giuridica pretensiva rispetto all’inadempimento degli obblighi amministrativi. Dal punto di vista processuale, se con l’azione di impugnazione il socio fa valere diritti ed interessi propri asseritamente lesi dalla delibera o decisione dei soci, con l’azione sociale di responsabilità si verifica una deroga al divieto di far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui, fuori dai casi espressamente previsti dalla legge come è quello che occupa, parlandosi così di legittimazione straordinaria del socio in termini di sostituzione, a norma dell’art. 81 c.p.c.  che, essendo norma processuale, è di stretta applicazione. Nel caso dell’impugnazione delle delibere dei soci che comportino come loro conseguenza la perdita dello status di socio, con conseguente perdita dei diritti partecipativi che allo stesso sono attribuiti, l’impugnante, pur non ricoprendo più al momento dell’impugnazione la qualità che lo legittimerebbe al rimedio, mantiene la legittimazione e l’interesse ad agire proprio perché, in forza dell’invalidazione della delibera egli tende a riacquisire i diritti partecipativi perduti in modo illegittimo, in altre parole permanendo al momento dell’impugnazione legittimazione ed interesse ad agire dell’impugnante quale socio. Diversa è la questione della legittimazione ad agire del socio in riferimento all’azione sociale di responsabilità. In effetti, è improcedibile l’azione di responsabilità promossa dal socio che non abbia sottoscritto l’aumento di capitale deliberato dall’assemblea dei soci ai sensi dell’art. 2482 ter, co. 1, c.c., in quanto tale evento determina la perdita della qualità di socio e, quindi, la perdita della legittimazione ad agire in giudizio contro gli amministratori in qualità di sostituto processuale della società onde esercitare diritti della società medesima e non propri. Proprio per la natura derivata e straordinaria della legittimazione del socio, a nulla rileva il fatto che il medesimo abbia perduto la qualità in virtù della delibera che ha accertato la perdita del capitale e disposto la sua ricostituzione, anche là dove si obiettasse che la perdita sia stata illegittimamente determinata dagli amministratori con conseguente loro responsabilità risarcitoria, posto che il diritto che il socio fa valere riguarda il risarcimento alla lesione del patrimonio sociale di cui è titolare la società, e non un diritto proprio, essendo l’eventuale lesione del socio semplicemente indiretta e derivata dalla lesione sopportata dalla società. [ Continua ]