Ai sensi dell'art. 2564 c.c. - norma, posta a tutela del diritto dell’imprenditore al proprio segno distintivo costituito dalla ditta ed a proteggerlo dal pericolo di confusione, per effetto dell’uso, da parte di un altro imprenditore, di una ditta uguale o simile -, il titolare della ditta, che per primo, se si tratta di società commerciale, ha iscritto la ditta nel registro delle imprese, in presenza dell’uso da parte di impresa concorrente di un segno distintivo uguale o simile e laddove vi sia una confondibilità potenziale presso il pubblico, data dalla sovrapposizione dell’oggetto delle imprese concorrenti e del luogo di svolgimento dell’attività, ha diritto di pretendere che l'impresa concorrente integri o modifichi la ditta con indicazioni atte a differenziarla dalla propria.
La suddetta disposizione è poi richiamata, per i nomi sociali, dall'art. 2567 c.c. e, per le insegne, dall'art. 2568 c.c..
La tutela accordata al titolare della ditta dall'art. 2564 c.c., nel caso che altri faccia uso di ditta uguale o simile e ciò possa creare confusione per l'oggetto delle rispettive attività ed il luogo in cui sono esercitate, viene a concorrere con la tutela contro atti di concorrenza sleale, a norma dell'art. 2598 n. 1 c.c., .qualora, oltre alla suddetta confondibilità, sufficiente per l'applicazione del citato art.2564 c.c., si verifichi anche una situazione idonea ad arrecare pregiudizio, ad incidere cioè negativamente sul profitto che l'imprenditore tende ad ottenere attraverso l'esercizio dell'impresa.
Tale ultimo requisito, peraltro, non richiede un danno già prodottosi, in relazione ad un'attività concorrenziale in atto, e deve essere ravvisato anche in relazione ad una concorrenza potenziale, alla stregua di una estensione od espansione in futuro dell'attività imprenditoriale, che si presenti in termini non di mera possibilità, ma di rilevante probabilità (cfr. Cass. 1/3/1986 n. 1310).
L'interesse tutelato, nell’ ipotesi di cui all’ art. 2598 n. 1 c.c., che pone il divieto specifico di atti confusori inerenti i nomi e segni distintivi o i prodotti, è quello dell’imprenditore all’ identità commerciale, oltre al correlativo interesse dei consumatori contro gli sviamenti dagli stessi atti determinati, dovendosi invece ritenere estraneo alle finalità della norma l'interesse all’ esclusività dell’adozione di forme non distintive o aventi carattere funzionale. E’, infatti, meritevole di tutela, sotto il profilo della concorrenza sleale, anche l’aspetto caratteristico esteriore (il profilo, i colori caratteristici, la sagoma degli edifici) dell’organizzazione aziendale, avente valore distintivo dell’organizzazione in sé, in quanto comunemente proprio i colori, i simboli, i connotati esteriori del complesso aziendale, nella loro impressione di insieme, presenti costantemente in una data organizzazione e non rispondenti ad esigenze funzionali, esercitano una funzione di richiamo a distanza del consumatore, il quale, quando rinviene uno o più di detti elementi, si attende di rinvenire gli altri o di trovarsi di fronte ad una sede di una data azienda ed è indotto a presumere che il prodotto ivi commercializzato provenga da quella certa impresa. Sotto questo profilo particolarmente rilevante è l’insegna, quale segno distintivo del locale dove si svolge l’attività imprenditoriale.
In tutti i casi di riduzione del capitale per perdite, l’art. 2482 quater c.c. esclude che possano essere apportate modificazioni alle quote di partecipazione e ai diritti spettanti ai soci. Tale disposizione esprime il c.d. principio di invarianza, prevedendo che, in tutti i casi di riduzione del capitale sociale per perdite, i soci conservano i diritti sociali secondo le partecipazioni originarie.
L’art. 2481 bis c.c., nel disciplinare l’aumento di capitale mediante nuovi conferimenti, vieta all’assemblea di escludere o limitare il diritto spettante ai soci, al fine di evitare operazioni in pregiudizio della minoranza. In particolare, con l’art. 2481 bis c.c., il legislatore ha inteso dettare nella società a responsabilità limitata una disciplina dell’aumento di capitale a pagamento autonoma rispetto a quella della società azionaria. Tuttavia, sebbene nella disciplina della società azionaria si parli di diritto di opzione, mentre nella società a responsabilità limitata si parli di diritto di sottoscrizione, i due concetti sono essenzialmente assimilabili. Il diritto di sottoscrizione consiste nella facoltà di aderire alla decisione di aumento di capitale, per tutta o una parte della quota di propria spettanza, alle condizioni e nei termini stabiliti dalla decisione medesima: esso va ricondotto alla nozione civilistica dell’opzione di cui all’art. 1331 c.c. L’autonomia privata si esplica anche con riferimento ai termini e alle modalità di esercizio del diritto, in quanto l’art. 2481 bis c.c. rimette la loro determinazione alla delibera assembleare di aumento. L’unica indicazione contenuta nella norma riguarda il termine (minimo) per l’esercizio del diritto di opzione da parte dei soci, che non può essere inferiore a trenta giorni. Tale termine ha natura inderogabile.
L’aumento di capitale a pagamento comporta un aumento sia del capitale nominale, sia del patrimonio sociale, mediante conferimento alla società di nuove risorse. L’effetto modificativo del contratto sociale non si produce automaticamente con la deliberazione di aumento di capitale, ma con il concorso delle volontà dell’ente e dei sottoscrittori del nuovo capitale deliberato e quindi in una fase successiva e diversa da quella meramente deliberativa. Pertanto, ai fini del perfezionamento dell’operazione di aumento di capitale, la deliberazione assembleare, con la quale è stato approvato l’incremento quantitativo del capitale, è sicuramente necessaria ma non sufficiente, in quanto è pur sempre necessaria la dichiarazione di adesione dei soci, ovvero, se prevista, anche dei terzi. Tale dichiarazione si manifesta, appunto, con la sottoscrizione di una quota dell’aumento deliberato. Il negozio di sottoscrizione ha natura consensuale e si perfeziona con lo scambio del consenso tra il socio sottoscrittore o il terzo e la società, per il tramite dell’organo amministrativo. Quindi, la deliberazione di aumento di capitale ben può configurarsi come una proposta e la sottoscrizione del socio o del terzo come una accettazione, secondo il classico schema del contratto di natura consensuale. Alla natura consensuale del negozio di sottoscrizione consegue che il mancato adempimento delle obbligazioni di versamento in proporzione alla quota di partecipazione sottoscritta non incide sull’avvenuto perfezionamento del contratto, attendendo invece alla fase esecutiva dell’accordo già concluso.
Considerato che il diritto di sottoscrizione spetta ai soci in proporzione alle partecipazioni da essi possedute e che l’art. 2482 quater c.c. prevede la regola della immodificabilità delle quote anche in caso di riduzione del capitale per perdite, deve ritenersi che anche l’azzeramento del capitale sociale per perdite non comporti l’estinzione della partecipazione. Tuttavia, poiché l’inderogabilità di tale regola riguarda l’attribuzione del diritto e non il suo esercizio, coloro che non partecipano all’aumento del capitale successivo alla riduzione – mediante la sottoscrizione – perdono la qualità di soci e i relativi diritti.
Il socio non sottoscrittore mantiene sempre la legittimazione ad impugnare, sebbene la sua partecipazione sia stata azzerata dall’operazione sul capitale, ciò in quanto la perdita della qualità di socio in capo a chi non abbia sottoscritto la propria quota di ricostituzione del capitale sociale lascia permanere la legittimazione ad esperire le azioni di annullamento e di nullità della deliberazione assembleare adottata ex art. 2447 o 2482 c.c.
Nell’ambito dei contratti di rappresentazione, disciplinati dagli artt. 136 e ss. LdA, non è necessario che l’opera della quale vengono concessi in licenza i diritti di rappresentazione sia già stata creata dall’autore al momento della sottoscrizione del contratto, potendo essere validamente ceduti anche i diritti di rappresentazione di un’opera da creare successivamente. Questo è quanto emerge chiaramente anche dall’art. 137 LdA, il quale pone tra le obbligazioni a carico dell’autore quella di consegnare il testo dell’opera che non sia stata già pubblicata. Da tale disposizione, si ricava altresì che la creazione dell’opera teatrale da rappresentare a cura del concessionario dei diritti non va trattata alla stregua della vendita di cosa futura, rispetto alla quale il contratto è nullo in caso di sua (successiva) mancata venuta ad esistenza (art. 1472 c.c.), quanto piuttosto che la creazione e la consegna del testo dell’opera medesima si configurino quali obbligazioni a carico dell’autore.
Lo scopo della norma di cui all’art. 2468, co. 5, c.c. è quello di individuare un unico interlocutore con la società, al fine di agevolare i rapporti tra questa e i partecipanti alla comunione. La norma è chiara nel sancire la obbligatorietà dell’esercizio di tutti i diritti dei comproprietari, senza alcuna eccezione, per il tramite del rappresentante comune. Sicché, la chiara espressione omnicomprensiva e lo scopo di rendere più agevoli – dal punto di vista organizzativo – i rapporti tra la società e i comproprietari della partecipazione sociale inducono a ritenere che ogni diritto connesso alla titolarità della quota debba essere necessariamente esercitato per il tramite del rappresentante comune. Si tratta, dunque, di un caso di rappresentanza necessaria.
Dall’investitura del rappresentante comune derivano due distinti rapporti, l’uno interno, tra comproprietari e rappresentante comune, e l’altro esterno, tra rappresentante comune e società, con applicazione dei principi generali in tema di mandato. Ne deriva che la violazione, da parte del rappresentante comune, delle istruzioni impartitegli dai comproprietari sarà, da un lato, inopponibile alla società, ma, dall’altro, potrà essere fonte di responsabilità sulla base del rapporto di mandato.
Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società. Pertanto, il legislatore, con riferimento alle s.r.l., ha adottato lo stesso criterio utilizzato per le s.p.a., secondo cui chi ha la gestione sociale è tenuto, nell’ambito dell’obbligazione di mezzi assunta nei confronti della società, al rispetto delle regole di buona e corretta amministrazione stabilite dalla legge e dall’atto costitutivo, la cui violazione, se produttiva di danni, può costituire fonte di responsabilità. L’art. 2476 c.c. non prevede espressamente, come nella s.p.a. (art. 2392, co. 1, c.c.) il criterio della diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle specifiche competenze dell’amministratore cui il medesimo deve uniformarsi nell’espletamento dell’incarico. Si deve ritenere applicabile il criterio generale dell’esercizio di un’attività professionale rinvenibile, in ogni caso, nella disciplina in materia di obbligazioni negli artt. 1176 e 1710 c.c., per il quale la diligenza deve valutarsi con riferimento alla natura dell’attività esercitata (art. 1176, co. 2, c.c.). Inoltre, a mente del vigente art. 2489 c.c. ai principi della diligenza e della professionalità richiesta dalla natura dell’incarico devono uniformare il loro operato i liquidatori anche della s.r.l., non si vede per quale motivo gli amministratori della s.r.l. dovrebbero poterne essere svincolati. Riguardo ai criteri di attribuzione della responsabilità, analogamente a quanto previsto in materia di s.p.a., l’amministratore è esonerato dalla responsabilità, allorquando dimostri di essere esente da colpa. La responsabilità, di natura contrattuale stante il rapporto che lega l’amministratore alla società, comporta che l’attore ha esclusivamente l’onere di provare la violazione addebitata, mentre chi subisce l’azione, per essere esonerato dalla responsabilità, deve dimostrare di essere immune da colpa in relazione alle violazioni contestate.
Anche nel caso in cui le azioni previste dagli artt. 2476 e 2394 c.c. vengano esercitate nell’ambito di una procedura concorsuale, il curatore che agisce per far valere la responsabilità dell’amministratore ha l’onere di dedurre specifici inadempimenti o inosservanze, non potendo limitarsi ad una generica deduzione dell’illegittimità dell’intera condotta ovvero alla mera doglianza afferente i risultati negativi delle scelte gestorie. L’amministratore, che pure si sia reso responsabile di condotte di mala gestio, può essere chiamato a rispondere dei soli pregiudizi che siano conseguenza diretta delle condotte e omissioni al medesimo addebitabili, essendo onere della parte istante allegare in maniera specifica e provare, nell’an e nel quantum, i cennati pregiudizi.
Anche nel caso di omessa o irregolare tenuta della contabilità sociale, il curatore non può, per ciò solo, invocare il criterio della differenza tra l’attivo ed il passivo per la determinazione del ristoro dovuto dai preposti alla gestione della società ed alle attività di controllo, sottraendosi all’onere di allegazione specifica e di prova dei danni in concreto sofferti e dello stretto vincolo eziologico tra i pregiudizi lamentati e gli illeciti addebitati.
Lo storno di dipendenti costituisce atto di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3, c.c., soltanto quando è attuato al fine di ottenere un diretto vantaggio a danno del concorrente. Al contrario, il mero passaggio di dipendenti da un’impresa all'altra non costituisce di per sé atto di concorrenza sleale, poiché così interpretata, la norma contrasterebbe con il diritto del prestatore di lavoro di migliorare la propria posizione economica (art. 35 Cost.), nonché con il principio di libera iniziativa economica (art. 41 Cost.).
Tale contegno diviene illecito concorrenziale quando sia accompagnato da una serie di elementi - quali, ad esempio, il numero dei dipendenti stornati, la loro competenza professionale, il ruolo che rivestivano - che evidenziano l'illiceità della condotta dell'impresa stornante, la quale si avvale degli investimenti formativi effettuati dall'impresa stornata sui propri dipendenti.
Con particolare riguardo al c.d. animus nocendi, affinché lo storno di dipendenti possa essere qualificato come atto di concorrenza sleale da parte dell'impresa concorrente, non è sufficiente la mera consapevolezza, nell'agente, dell'idoneità dell'atto a danneggiare l'altra impresa, ma è necessaria l'intenzione di conseguire tale risultato, la quale deve essere ritenuta sussistente tutte le volte che lo storno di dipendenti sia posto in essere con modalità tali da non potersi giustificare alla luce dei principi di correttezza professionale, se non supponendo nell'autore l'intenzione di recare pregiudizio all'organizzazione ed alla struttura produttiva dell'impresa concorrente in misura che ecceda il normale pregiudizio che ad ogni imprenditore può derivare dalla perdita di dipendenti in conseguenza della loro scelta di lavorare presso altra impresa.
Nelle cooperative edilizie aventi ad oggetto la costruzione di alloggi e l’assegnazione degli stessi in godimento e in proprietà dei soci, in caso di recesso avvenuto prima dell’assegnazione dell’alloggio prenotato, il socio ha diritto alla restituzione dell’intera somma anticipata in conto costruzione, in virtù della posizione di creditore verso la cooperativa che il socio stesso ha acquisito.
La fattispecie di plagio di un'opera altrui non è data soltanto dal "plagio semplice o mero plagio" o dalla "contraffazione" dell'opera tutelata, ma anche dal cosiddetto "plagio evolutivo", il quale costituisce un'ipotesi più complessa di tale fenomeno, in quanto integra una distinzione solo formale delle opere comparate, sicché la nuova, per quanto non sia pedissequamente imitativa o riproduttiva dell'originaria, in conseguenza del tratto sostanzialmente rielaborativo dell'intervento su di essa eseguito, si traduce non già in un'opera originale ed individuale, per quanto ispirata da quella preesistente, ma nell'abusiva, e non autorizzata, rielaborazione di quest'ultima, compiuta in violazione degli artt. 4 e 18 della l. n. 633 del 1941. [Nella fattispecie, non ricorrono i presupposti della tutela invocata dall’attrice, non venendo in rilievo una pubblicazione o uno sfruttamento economico della tesi di dottorato dell’attrice contro la volontà dell’autrice, né l’ipotesi del plagio dell’opera di quest’ultima da parte delle convenute.]
La transazione stipulata tra la curatela di una società fallita e l'ex amministratore avente ad oggetto la rinuncia all'azione di responsabilità da parte della prima nei confronti del secondo non può essere invalidata per erronea conoscenza della situazione patrimoniale dell'ex amministratore stesso, essendo ciò irrilevante ai fini della validità dell’accordo.
In base al combinato disposto degli artt. 2364, co. 1, n. 3, e 2389, co. 1, c.c., la determinazione del compenso degli amministratori di società per azioni è rimessa in primo luogo all’atto costitutivo e, solo ove esso non provveda, all’assemblea ordinaria. Resta di conseguenza escluso che l’assemblea possa accordare agli amministratori un compenso ulteriore rispetto a quello già previsto dallo statuto, senza una apposita modifica di questo.
La disciplina dettata in materia di compenso degli amministratori nella s.p.a. è applicabile anche alla s.r.l.
La distinzione tra hosting provider attivo e hosting provider passivo assume rilievo ai fini dell’accertamento della responsabilità del prestatore di servizi: nel caso in cui l’attività svolta sia quella di hosting provider attivo, si è infatti ritenuta non operante la specifica disciplina di esclusione dalla responsabilità, prevista, invece, per il solo operatore che svolga attività di hosting passivo; in ogni caso, anche per quest’ultimo l’esenzione di responsabilità si considera operante qualora lo stesso: a) non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l’attività o l’informazione diffusa sia illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o circostanze che rendono manifesta l’illiceità dell’attività o dell’informazione; b) non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso. E' idonea a delineare la figura dell’hosting provider “attivo” l’individuazione nella sua attività di taluni "indici di interferenza" (sui contenuti illeciti), da accertare in concreto da parte del giudice del merito: nel dettaglio, tali indici sarebbero costituiti dallo svolgimento di attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti, operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio, come pure l'adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione: condotte che abbiano, in sostanza, l'effetto di completare ed arricchire in modo non passivo la fruizione dei contenuti da parte di utenti indeterminati.