In tema di tutela dei segni distintivi, a prescindere dalla sussistenza dei requisiti di tutela previsti dagli artt. 19 e 28 c.p.i., la domanda o l’eccezione di nullità del marchio va rigettata ogniqualvolta il segno che ne forma oggetto abbia acquisito un carattere distintivo suo proprio a seguito dell’uso che ne è stato fatto (art. 13, co. 3, c.p.i.).
Benché, rispetto a una domanda cautelare di descrizione, il giudizio debba in primis incentrarsi sull’esistenza di un diritto alla prova, questo non può valutarsi in termini avulsi dal diritto che si intende provare, ossia da una valutazione di verosimiglianza nel merito della pretesa avanzata.
Non può essere sufficiente preannunciare un’azione di tutela industriale per ottenere la misura, particolarmente invasiva nella sfera privata della controparte, dovendosi valutare se quella azione si presenti come fondata su seri elementi; diversamente opinando, si arriverebbe a consentire anche un paradossale rovesciamento del rapporto tra prova e azione di merito: anziché essere quella strumentale a questa, la mera prospettazione di un diritto industriale potrebbe essere sufficiente ad acquisire informazioni presso la concorrente, benché la domanda di merito si presenti molto probabilmente infondata, ancorché non palesemente abusiva.
La conferma in contraddittorio della descrizione non può dipendere dalla considerazione dei relativi risultati, ma soltanto dall’accertata sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora come emergenti dalle argomentazioni e dalle produzioni delle parti negli atti introduttivo e di costituzione.
La concorrenza sleale parassitaria consiste in un continuo e sistematico operare sulle orme dell’imprenditore concorrente, attraverso l’imitazione non tanto dei prodotti, quanto piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali di quest’ultimo, in un contesto temporale prossimo alla ideazione dell’opera, in quanto effettuata a breve distanza di tempo da ogni singola iniziativa del concorrente o dall’ultima e più significativa di esse, vale a dire prima che questa diventi patrimonio comune di tutti gli operatori del settore.
Il deposito di un ricorso cautelare dopo tre mesi dall’invio dell’ultima lettera di contestazione non costituisce un colpevole ritardo nella reazione agli illeciti contestati, ritardo qualificabile in termini di tolleranza o di inerzia, essendo trascorso un lasso di tempo ragionevole per la preparazione e l’introduzione di un procedimento cautelare.
L'inibitoria e la penale sono misure sufficienti ad arginare il rischio di reiterazione delle condotte censurate e determinano il rigetto delle richieste di distruzione dei materiali illeciti, di ritiro dal commercio dei prodotti già in circolazione e di pubblicazione del provvedimento su quotidiani e periodici, richieste che dovranno essere valutate nell’ambito del giudizio di merito.
Non si configura un periculum concreto e attuale laddove non sia stato neppure paventato un rischio di occultamento o di irrimediabile dispersione della prova; per l’effetto non potrà essere accolta l’istanza di esibizione delle scritture contabili e commerciali e di acquisizione di informazioni utili a definire con maggiore precisione i confini dell’illecito.
Le opere del disegno industriale, destinate ad una produzione seriale già nella fase progettuale, sono oggetto della tutela del diritto d’autore soltanto qualora presentino di per sé carattere creativo e valore artistico. Il carattere creativo è rinvenibile laddove le forme costituiscano una personale rappresentazione dell’autore; il carattere artistico si risolve, invece, in un’originalità più spiccata rispetto alle forme simili presenti sul mercato, con una prevalenza del valore artistico sull’utilità pratica dell’opera. Affinché sussistano i presupposti per l’operatività della tutela autoriale, non è sufficiente che parte attrice, sulla base di una ricostruzione storica e pubblicitaria dell’azienda, affermi che l’accostamento dei soggetti e delle gradazioni di colori sia espressione di una personale interpretazione artistica dell’autore; occorre, altresì, che siano allegati e provati una serie di indicatori obiettivi, tra cui, in particolare, il riconoscimento collettivo, soprattutto negli ambienti culturali ed istituzionali.
È configurabile la responsabilità per il compimento di atti di concorrenza sleale, ai sensi dell’art. 2598, n. 3, c.c., quando emerge ictu oculi, dal confronto tra prodotti, che vi sia stata la riproduzione non isolata delle soluzioni di disegno e di colore, in modo tale da rendere non sostenibile, sotto il profilo matematico probabilistico, che si sia trattato di una sorta di mera coincidenza. Tale pluralità di atti di riproduzione consente di ritenere integrata una condotta contraria alla correttezza professionale, in quanto permette all’autore della stessa di trarre vantaggio dall’uso di una serie di disegni già realizzati da altri, senza apportare nessuno sforzo economico e organizzativo o alcuna apprezzabile modifica.
I contratti di fideiussione "a valle" di intese dichiarate parzialmente nulle dall'Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della 1. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell'art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l'intesa vietata - perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.
Il provvedimento della Banca d'Italia n. 55/2005 è riferito solo ed esclusivamente alle fideiussioni omnibus, non a quelle prestate per un affare particolare, fideiussioni omnibus le quali vengono specificamente prese in considerazione per la loro attitudine, evidenziata dall'Associazione Bancaria Italiana, quale strumento di tutela macroprudenziale del sistema bancario, sicché l'accertamento effettuato dall'allora Autorità Garante è stato limitato a tale tipologia di fideiussione, e solo rispetto ad essa può possedere l'efficacia probatoria privilegiata che l'ordinamento gli riconosce. La fideiussione deve essere stata stipulata entro l'ambito temporale al quale può essere riferito l'accertamento della Banca d'Italia, evidente essendo che detto accertamento, operato nel 2005, non può affatto consentire di reputare esistente, e cioè persistente, in epoca successiva il pregresso accordo anticoncorrenziale, di guisa che, in caso di compresenza delle tre clausole successivamente al 2005, l'interessato ben può dedurre e comprovare che l'intesa anticoncorrenziale c'è, ma non certo in base al provvedimento precedente, bensì offrendone altra e specifica prova.
La tutela riconoscibile in capo al soggetto che abbia stipulato un contratto di fideiussione “a valle” di un’intesa illecita per violazione dell’art. 2, comma 2, lett. a), della l. n. 287/1990, consiste di regola nella nullità parziale, limitata, cioè, alle sole clausole contrattuali dotate di effetti restrittivi della concorrenza, sul rilievo per cui tale nullità meglio si contempera col principio generale di conservazione del negozio giuridico. La regola dell'art. 1419 c.c., comma 1, cod. civ. insieme agli analoghi principi rinvenibili negli artt. 1420 e 1424 cod. civ., esprime il generale favore dell'ordinamento per la conservazione in quanto possibile degli atti di autonomia negoziale, ancorché difformi dallo schema legale. Da ciò deriva il carattere eccezionale dell'estensione della nullità che colpisce la parte o la clausola all'intero contratto, con la conseguenza che è a carico di chi ha interesse a far cadere integralmente l'assetto di interessi programmato fornire la prova dell'interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre resta precluso al giudice rilevare d'ufficio l'effetto estensivo della nullità parziale all'intero contratto. La nullità di singole clausole contrattuali, o di parti di esse, si estende, pertanto, all'intero contratto, o a tutta la clausola, solo ove l'interessato dimostri che la porzione colpita da invalidità non ha un'esistenza autonoma, né persegue un risultato distinto, ma è in correlazione inscindibile con il resto, nel senso che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità.
L’altezza inventiva – requisito per la brevettabilità ex art. 48 c.p.i. – sussiste in quanto per passare dallo stato dell’arte al trovato occorra uno sforzo inventivo. Per svolgere la valutazione al proposito, e come suggerito dalle linee guida EPO, è necessario muovere dal trovato più prossimo già noto, confrontarlo con il trovato in esame, e individuare quale sia il problema tecnico affrontato con successo dal secondo, e lasciato irrisolto dal primo; per poi valutare se il tecnico del settore, per risolvere tale problema tecnico, non avrebbe ricevuto dal primo un suggerimento tale da farlo passare direttamente al secondo, secondo una prospettiva ex ante.
Secondo la giurisprudenza comunitaria, ai fini della costituzione di un valido marchio, i colori o le combinazioni di colori devono rispondere ai requisiti indicati nell’art. 4 del regolamento (CE) n. 207/2009, in particolare:
Da ciò discende che non possa costituire un valido marchio la mera giustapposizione di due o più colori senza forma né contorno, in assenza dei criteri di precisione richiesti dal suddetto art. 4.
Infatti, una tale rappresentazione non consentirebbe al consumatore di percepire e di memorizzare una combinazione particolare che egli potrebbe utilizzare per reiterare, con certezza, un’esperienza di acquisto, così come, essa, non permetterebbe alle autorità competenti e agli operatori economici di conoscere la portata dei diritti tutelati e spettanti al titolare del marchio.
In tema di quantificazione del danno, il criterio del giusto compenso del consenso, fondato sulle royalty che la titolare del brevetto avrebbe potuto ottenere dal contraffattore, è residuale e cede a fronte della richiesta risarcitoria, formulata dalla parte, che si approssimi maggiormente all’individuazione del danno reale, pur attraverso una valutazione di carattere comunque equitativo ex art.125 co 1 e 2 c.p.i.
Se il quadro delle contestazioni svolte in un atto di citazione, poi riprodotto in un ricorso cautelare in corso di causa, risulta già consolidato e definito alla data della citazione, in assenza di ulteriori vicende o specifiche condotte, il ricorso deve essere respinto per difetto del pregiudizio grave e irreparabile, non potendosi ravvisare un’apprezzabile intensificazione del rischio di maturazione di un pregiudizio a carico della ricorrente a fronte di una situazione da tempo stabilizzatasi e ormai definita nei suoi tratti essenziali.
La misura della descrizione è finalizzata all’acquisizione della prova della violazione del diritto, ed è quindi sia rimedio di istruzione preventiva, in quanto rivolta al soddisfacimento di esigenze istruttorie relative al prospettato giudizio di merito, cui è direttamente strumentale, sia rimedio di natura cautelare, in quanto la sua concessione è comunque subordinata alla sussistenza di un rischio di dispersione della prova, che in alcuni casi necessita della sua anticipata acquisizione, in quanto non altrimenti disponibile per il titolare del diritto che si assume leso.
La tutela ha ad oggetto quindi l'istruttoria, cioè l'acquisizione di elementi che serviranno poi per decidere sulla ragione o sul torto. Sotto tale aspetto, il procedimento cui dà origine la richiesta di descrizione si diversifica da tutti gli altri procedimenti cautelari che hanno ad oggetto anticipazioni di tutela della posizione giuridica sostanziale. Qui viene infatti in rilievo il diritto processuale alla prova e non già, quantomeno in via immediata, il diritto sostanziale in relazione al quale il diritto processuale svolge funzione servente.