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Presunzione di validità del design comunitario e valutazione equitativa del danno
In ragione dell’assenza di contestazioni per effetto della contumacia della convenuta in un giudizio di contraffazione, le registrazioni di design...

In ragione dell’assenza di contestazioni per effetto della contumacia della convenuta in un giudizio di contraffazione, le registrazioni di design azionate nel medesimo giudizio godono della presunzione di validità stabilita dall’art. 85 comma 1, Regolamento n. 6/2002.

Dal momento che la violazione di diritti di proprietà industriale e l’accertata commercializzazione dei prodotti in contraffazione è attività di per sé certamente produttiva di un danno alla titolare del design registrato, per la sua quantificazione in via equitativa è possibile ricorrere ad elementi comunque desumibili dalla documentazione in atti.

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Mancanza di tutela per il modello non registrato nel regime antecedente il regolamento comunitario n. 6/2002
In materia di disegni e modelli, qualora l’ideazione del modello oggetto della domanda di tutela sia antecedente all’entrata in vigore...

In materia di disegni e modelli, qualora l’ideazione del modello oggetto della domanda di tutela sia antecedente all’entrata in vigore del Codice di proprietà industriale ed anche del Regolamento comunitario del 12 dicembre 2001 n. 6/2002, deve aversi riguardo alla disciplina normativa vigente all'epoca, ossia al R.D. 25 agosto 1940, n. 1411, recante il “Testo delle disposizioni legislative in materia di brevetti per modelli industriali”: essa prevedeva che potessero costituire oggetto di registrazione i disegni e modelli che fossero nuovi ed avessero carattere individuale. Tale normativa, invece, non apprestava tutela per i modelli non registrati, i quali potevano dunque essere eventualmente protetti ai soli sensi della normativa sul diritto d’autore, previa verifica della sussistenza dei requisiti della creatività e del valore artistico.

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Elementi essenziali dell’abuso di posizione dominante del contraente e prova del danno
La disparità di trattamento contrattuale non è abusiva – ai sensi dell’art. 3 L. n. 287 del 1990 – soltanto...

La disparità di trattamento contrattuale non è abusiva – ai sensi dell’art. 3 L. n. 287 del 1990 – soltanto a condizione che il contraente che la pratica non si trovi in posizione dominante, perché, in tal caso, tale disparità è frutto del lecito esercizio dell’autonomia negoziale delle parti e trova nella controparte un soggetto altrettanto libero di determinare le proprie scelte contrattuali; mentre non è così quando la disparità di trattamento sia la conseguenza della posizione dominante di cui il contraente più forte abusi, a fronte della dipendenza economica dei contraenti più deboli, i quali sono costretti a sottostare a qualsiasi pretesa, dal momento che a loro è impossibile, o grandemente difficile, reperire sul mercato adeguate alternative.

La posizione dominante è, dunque, abusiva quando viene esercitata per ostacolare l’effettiva concorrenza ed il giudice, nel relativo accertamento, deve andare alla ricerca della concorrenza "virtuale" (ossia, di quella che sarebbe rimasta se la posizione dominante non fosse stata esercitata nel modo che si pretende abusivo), definendo il mercato di riferimento, la sua estensione geografica, l'area di sostituibilità dei prodotti e dei servizi in questione, sicché su tale sostituibilità da parte del mercato il comportamento del dominante possa essere valutato nei suoi effetti.

Il danno cagionato mediante abuso di posizione dominante non è in re ipsa, ma, in quanto conseguenza diversa (e ulteriore) rispetto alla distorsione delle regole della concorrenza, deve autonomamente provarsi secondo i principi generali in tema di responsabilità aquiliana.

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Chiarimenti in tema di condanna alle spese, risarcimento del danno e restituzione dei profitti in materia di contraffazione
In tema di spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, esse hanno natura di allegazione difensiva e vanno comprese...

In tema di spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, esse hanno natura di allegazione difensiva e vanno comprese fra le spese processuali al cui rimborso la parte vittoriosa ha diritto, sempre che il giudice non ne rilevi l'eccessività o la superfluità. Non è peraltro possibile disporre la condanna del soccombente al pagamento di tali spese in mancanza di prova dell'esborso sopportato dalla parte vittoriosa, dovendosi escludere che l'assunzione dell'obbligazione sia sufficiente a dimostrare il pagamento.

La prova del lucro cessante da contraffazione di marchio, particolarmente onerosa per il danneggiato, non è richiesta come condizione imprescindibile per la liquidazione di tali danni patrimoniali considerato che, nel caso di violazione di diritti di proprietà industriale, il danno patrimoniale da lucro cessante si presume ed è liquidato in misura non inferiore a quella corrispondente ai canoni che l'autore della violazione avrebbe dovuto pagare, qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso. Si tratta di una liquidazione minima per il danneggiato, che postula presuntivamente iuris et de iure il consenso del titolare del diritto allo sfruttamento del suo diritto e che può trovare applicazione anche quando il consenso in concreto non sarebbe stato concesso.

La logica strettamente restitutoria sottesa alla previsione di cui all’art. 125 comma 3 c.p.i., rimedio autonomo ed indipendente dallo strumento risarcitorio, oltre a comportare che lo stesso trovi attuazione anche in mancanza di prova del lucro cessante e in mancanza di elemento soggettivo del dolo o della colpa, ha quale ulteriore conseguenza che la condanna non possa che essere pronunciata esclusivamente nei confronti del soggetto percettore di tali utili.

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Violazione del patto di non concorrenza e concorrenza sleale: responsabilità e conseguenze
Il principio secondo il quale la concorrenza sleale deve ritenersi fattispecie tipicamente riconducibile ai soggetti del mercato in concorrenza, non...

Il principio secondo il quale la concorrenza sleale deve ritenersi fattispecie tipicamente riconducibile ai soggetti del mercato in concorrenza, non configurabile, pertanto, ove manchi il presupposto soggettivo del cosiddetto "rapporto di concorrenzialità", non esclude la legittima predicabilità dell'illecito concorrenziale anche quando l'atto lesivo del diritto del concorrente venga compiuto da un soggetto (il c.d. terzo interposto) il quale, pur non possedendo egli stesso i necessari requisiti soggettivi (non essendo, cioè, concorrente del danneggiato), agisca, tuttavia, per conto di (o comunque in collegamento con) un concorrente del danneggiato stesso, essendo egli stesso legittimato a porre in essere atti che ne cagionino vantaggi economici. In tal caso il terzo va legittimamente ritenuto responsabile, in solido, con l'imprenditore che si sia giovato della sua condotta, mentre, mancando del tutto siffatto collegamento tra il terzo autore del comportamento lesivo del principio della correttezza professionale e l'imprenditore concorrente del danneggiato, il terzo stesso è chiamato a rispondere ai sensi dell'art. 2043 c.c.

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Nullità parziale della fideiussione omnibus per violazione della normativa antitrust
Va riconosciuta la competenza della sezione specializzata in materia di impresa in ordine alla domanda tesa a far dichiarare la...

Va riconosciuta la competenza della sezione specializzata in materia di impresa in ordine alla domanda tesa a far dichiarare la nullità della fideiussione omnibus riproduttiva del contenuto dello schema contrattuale predisposto dall'ABI, contenente disposizioni contrastanti con l'art. 2, comma 2, lett. a), della legge n. 287 del 1990, in quanto l'azione diretta a dichiarare l'invalidità del contratto a valle implica l'accertamento della nullità dell'intesa vietata. Riguardo all’avvenuta violazione della normativa antitrust da parte dello schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI, l’attore non deve fornire specifica prova oltre al fatto che tale violazione è stata accertata dalla Banca d’Italia con il provvedimento n. 55 del 2005. Infatti, anche a tale provvedimento va riconosciuta la caratteristica di prova privilegiata dell’intesa vietata. Per quanto riguarda, invece, l’interesse ad agire sotteso alla domanda di nullità di un contratto, mentre per le parti contraenti l'interesse ad agire è "in re ipsa", in dipendenza dell'attitudine del contratto di cui si invoca la nullità ad incidere nella loro sfera giuridica, il terzo deve dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse alla declaratoria di nullità.

 

L’anticoncorrenzialità delle clausole di sopravvivenza, reviviscenza e rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c. contenuta nello schema ABI censurato da Banca d'Italia con il provvedimento n. 55 del 2005 è stata ravvisata nell’attitudine delle stesse non tanto nell’ostacolare l’accesso al credito (funzionalità riconosciuta e ritenuta congruamente perseguita anche dalla clausola di pagamento “a prima richiesta”), quanto nell’addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca, ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa.

 

Il riconoscimento, alla vittima dell’illecito anticoncorrenziale, oltre alla tutela risarcitoria, del diritto a far valere la nullità del contratto si rivela un adeguato completamento del sistema delle tutele, non nell’interesse esclusivo del singolo, bensì in quello della trasparenza e della correttezza del mercato, posto a fondamento della normativa antitrust. Si tratta di una “speciale” ipotesi di nullità funzionale prevista dalla normativa antitrust – l’art- 2, comma 3, della legge n. 287/1990 stabilisce che “le intese vietate sono nulle ad ogni effetto” – che prescinde da un vero e proprio collegamento negoziale tra l’intesa illecita a monte e la fideiussione stipulata a valle. Siffatta forma di nullità ha una portata più ampia della nullità codicistica e delle altre nullità conosciute dall’ordinamento, in quanto colpisce anche atti, o combinazione di atti avvinti da un nesso funzionale, non tutti riconducibili alle suindicate fattispecie di natura contrattuale. La ratio di tale speciale regime va individuata “nell’esigenza si salvaguardia dell’ordine pubblico economico, a presidio del quale sono state dettate le norme imperative nazionali ed europee antitrust. Pertanto, i contratti a valle di accordi contrari alla normativa antitrust – in quanto costituenti lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti – partecipano della stessa natura anticoncorrenziale dell’atto a monte, e vengono ad essere inficiati della medesima forma di invalidità che colpisce i primi.

 

Ben difficilmente potrebbero trovare riscontro i presupposti dell’estensione all’intero contratto di fideiussione della nullità delle singole clausole di sopravvivenza, reviviscenza e rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c., dal momento che, avuto riguardo alla posizione del garante, la riproduzione nelle fideiussioni delle clausole nn. 2, 6 e 8 dello schema ABI censurato da Banca d'Italia con il provvedimento n. 55 del 2005 ha certamente prodotto l'effetto di rendere la disciplina più gravosa per il medesimo, imponendogli maggiori obblighi senza riconoscergli alcun corrispondente diritto; sicché la loro eliminazione ne alleggerirebbe la posizione. D'altro canto, però, il fideiussore - salvo la rigorosa allegazione e prova del contrario - avrebbe in ogni caso prestato la garanzia, anche senza le clausole predette, essendo una persona legata al debitore principale e, quindi, portatrice di un interesse economico al finanziamento bancario. Al contempo, è del tutto evidente che anche l'imprenditore bancario ha interesse al mantenimento della garanzia, anche espunte le suddette clausole a lui favorevoli, attesa che l'alternativa sarebbe quella dell'assenza completa della fideiussione, con minore garanzia dei propri crediti.

 

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Il provvedimento n. 55/2005 di Banca d’Italia copre le fideiussioni omnibus stipulate tra il 2002 e il maggio del 2005 e quelle di poco successive
Le determinazioni di Banca d’Italia contenute nel provvedimento n. 55/2005 coprono le fideiussioni omnibus stipulate tra il 2002 e il...

Le determinazioni di Banca d'Italia contenute nel provvedimento n. 55/2005 coprono le fideiussioni omnibus stipulate tra il 2002 e il maggio del 2005 e quelle di poco successive all’adozione del provvedimento dell’Autorità.

Nell’ambito dei giudizi c.d. stand alone, l'attore è chiamato a dar prova dei fatti costitutivi della domanda e non può giovarsi – come nelle c.d. follow on actions – dell’accertamento dell’intesa illecita contenuto in un provvedimento dell’autorità amministrativa competente a vigilare sulla conservazione dell’assetto concorrenziale del mercato, e ciò perché un simile accertamento o manca del tutto o c’è, ma riguarda un periodo diverso da quello in cui si colloca la specifica vicenda negoziale che avrebbe leso la sfera giuridica dell’attore.

[Nel caso di specie, l'attrice aveva chiesto di dichiarare la nullità, totale o parziale, di una garanzia in quanto essa riproduceva le clausole di reviviscenza, sopravvivenza e deroga al termine di cui all’art. 1957 c.c., contenute nel modello di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI e giudicato contrastante con la normativa antitrust con provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2005. Il Tribunale ha rigettato la domanda attorea in quanto la la garanzia era stata stipulata nel 2016, quindi molto dopo il periodo coperto dall'accertamento di Banca d'Italia, e si trattava non di fideiussione omnibus ma di contratto autonomo di garanzia. Trattandosi di causa "stand alone", l'attrice non aveva dimostrato la sussistenza dell'intesa anticoncorrenziale].

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Diritti e compenso dell’autore della collana all’interno del rapporto di lavoro
Nell’ambito di un rapporto di lavoro (comunque denominato e di qualsiasi natura: subordinato, autonomo, di collaborazione) contenente la commissione delle...

Nell'ambito di un rapporto di lavoro (comunque denominato e di qualsiasi natura: subordinato, autonomo, di collaborazione) contenente la commissione delle opere pubblicate, all’autore può – deve – riconoscersi la paternità delle opere, ossia il diritto cd. morale d’autore, mentre i diritti patrimoniali sorgono originariamente (o, secondo altra tesi, sono normalmente e immediatamente trasferiti) in capo al datore di lavoro o al committente, salva la prova di un diverso accordo tra le parti, e all’autore nulla spetta, oltre a quanto già riconosciutogli con il contratto di lavoro.
Diversamente, se l’opera è creata fuori da un qualsiasi rapporto di lavoro, il rapporto tra autore ed editore è regolato dal contratto di edizione, e all’autore spetta una percentuale sul prezzo di copertina degli esemplari venduti, o una somma a stralcio.
In assenza di un contratto scritto tra le parti, distinto da quello di lavoro, non può ritenersi dimostrata la stipula né di un contratto d'opera, né di un contratto di edizione. Nel caso in cui i volumi oggetto di causa risultino parti di più ampie collane, è a maggior ragione ragionevole escludere che essi possano presumersi il frutto dell’autonoma iniziativa di una autrice freelance anziché l’esecuzione di un progetto editoriale, basato sulla ragionevole previsione della redazione delle opere da pubblicare, poggiante sull’impegno assunto nei confronti della committente, anziché sulla libera iniziativa degli autori.
Il compenso per l’opera è quindi da ritenersi già compreso nello stipendio riconosciuto, eventualmente spettando al lavoratore diritti – da fare valere avanti al giudice del lavoro – se fossero state affidate mansioni eccedenti quelle riconducibili alla qualifica attribuita.

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Legittimazione all’azione di nullità di un marchio; nullità per uso precedente del segno e decorrenza del termine per la la convalidazione
Poiché secondo l’art. 122 c.p.i. l’azione diretta ad ottenere la dichiarazione di nullità del marchio può essere esercitata da chiunque...

Poiché secondo l’art. 122 c.p.i. l’azione diretta ad ottenere la dichiarazione di nullità del marchio può essere esercitata da chiunque vi abbia interesse, tra le parti legittimate è da annoverare anche il licenziatario del diritto di proprietà industriale.

In conformità all’art. 12 c.p.i., l’uso precedente del segno (identico o simile) inficia il carattere di novità del marchio registrato successivamente qualora il primo segno abbia assunto notorietà esorbitante l’ambito meramente locale; sul punto, deve compiersi una valutazione complessiva, che tenga conto dell’ambito di svolgimento dell’attività imprenditoriale e dell'investimento pubblicitario da parte di chi invoca la tutela del preuso. La mera conoscenza del preuso di un segno da parte di chi ha successivamente registrato un marchio identico o simile non è, però, di per sé sufficiente ad integrare anche il requisito della malafede, qualora non sia fornita la prova del fatto che la registrazione del marchio sia stata operata specificamente al fine di pregiudicare le altrui aspettative di tutela ovvero con l’intenzione di approfittare dell'accreditamento presso il pubblico già conseguito dal titolare del primo segno non registrato.

Deve ritenersi preferibile l’interpretazione del disposto dell’art. 28 c.p.i. secondo la quale ai fini della convalidazione del marchio il termine quinquennale debba computarsi con decorrenza dalla data di registrazione di esso.

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Contraffazione di marchio per violazione della rete di distribuzione selettiva e non alternatività tra l’applicazione della clausola risolutiva espressa e gli ordinari rimedi risolutori
È principio ormai affermato che l’esistenza di una rete di distribuzione selettiva può essere ricompresa tra i motivi legittimi ostativi...

È principio ormai affermato che l’esistenza di una rete di distribuzione selettiva può essere ricompresa tra i motivi legittimi ostativi all’esaurimento, a condizione che il prodotto commercializzato sia un articolo di lusso o di prestigio che legittimi la scelta di adottare un sistema di distribuzione selettiva e che sussista un pregiudizio effettivo all’immagine di lusso o di prestigio del marchio per effetto della commercializzazione effettuata da terzi estranei alla rete di distribuzione selettiva. Ne consegue che, in presenza delle suddette condizioni, il titolare di un marchio può opporsi, con l’azione di contraffazione, alla rivendita dei propri prodotti da parte di soggetti esterni alla propria rete di distribuzione selettiva, anche qualora costoro abbiano acquistato da licenziatari o da rivenditori autorizzati.

La stipulazione di una clausola risolutiva espressa non significa che il contratto possa essere risolto solo nei casi espressamente previsti dalle parti, rimanendo fermo il principio per cui ogni inadempimento di non scarsa rilevanza può giustificare la risoluzione del contratto, con l'unica differenza che, per i casi già previsti dalle parti nella clausola risolutiva espressa, la gravità dell'inadempimento non deve essere valutata dal giudice.

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Ammissibilità e interesse dell’intervento di terzo e la retroversione degli utili tra opzioni difensive e preclusioni processuali
Ai sensi dell’art. 268 c.p.c., il termine finale per spiegare intervento è rappresentato dal provvedimento mediante il quale il giudice...

Ai sensi dell'art. 268 c.p.c., il termine finale per spiegare intervento è rappresentato dal provvedimento mediante il quale il giudice istruttore rimette le parti al collegio fissando l’udienza collegiale per la discussione, così spogliandosi in tale modo della causa. Fino a quando tale provvedimento non sia stato emesso ed anche se le parti siano state invitate dall’istruttore a precisare le conclusioni l’intervento del terzo deve dunque ritenersi ammissibile. Ai fini dell'accertamento dell'interesse del terzo a fondare il proprio intervento in causa è sufficiente che esso trovi effettivo e concreto riscontro nelle domande delle parti adiuvate, a prescindere dalla loro ammissibilità e fondatezza.

Poiché l’istituto della retroversione degli utili si pone sostanzialmente in via alternativa alla tutela risarcitoria classica, è necessario che della scelta dell’opzione dell’applicazione della retroversione degli utili in via alternativa rispetto alla valutazione del profilo del lucro cessante sia data esplicita e chiara manifestazione mediante la proposizione della specifica domanda, entro il termine assegnato per il deposito della prima memoria ex art.183, comma 6, c.p.c., che segna in via definitiva il limite per le preclusioni assertive. Tale necessità non è soddisfatta da un mero ed isolato richiamo nel corpo dell’atto di citazione del solo termine “retroversione” e non formulata come domanda specifica nelle conclusioni.

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Il provvedimento di pubblicazione della sentenza e i limiti alla sua pubblicità
La pubblicazione della sentenza come da essa autorizzata non esaurisce la pubblicità che la parte vittoriosa può dare alla sua...

La pubblicazione della sentenza come da essa autorizzata non esaurisce la pubblicità che la parte vittoriosa può dare alla sua vittoria, salvi i limiti della continenza e della correttezza, trascesi i quali può configurarsi un abuso rilevante ex art. 2598 c.c.

La pubblicazione on line dell’annuncio enfatizzante la condanna del concorrente, con rinvio al proprio sito internet per più completa conoscenza, costituisce un atto di concorrenza sleale se eccede i limiti stabiliti dalla sentenza entro i quali l’esatto contenuto del suo dispositivo poteva essere portato alla cognizione del pubblico generale ed indifferenziato [Nel caso di specie i prodotti delle parti e quelli oggetto della sentenza non erano destinati al grande pubblico, ma alla più ristretta e specifica platea degli operatori dell’edilizia].

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