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Il problem solution approach nella valutazione di validità di un brevetto
Il metodo problem-solution approach prevede che si debba procedere dopo l’individuazione dell’arte nota più vicina (closest prior art), all’individuazione del...

Il metodo problem-solution approach prevede che si debba procedere dopo l’individuazione dell’arte nota più vicina (closest prior art), all’individuazione del problema tecnico affrontato dal brevetto e alla valutazione circa il fatto se, partendo dall’anteriorità più prossima e dalla considerazione del problema tecnico, il trovato fatto oggetto del brevetto sarebbe risultato ovvio o meno per la persona esperta del ramo.

Nell’applicazione del c.d. problem-solution approach, dev’essere individuato il problema tecnico che effettivamente l’invenzione risolve sulla base dell’effetto tecnico delle caratteristiche distintive del trovato; di tal che, qualora emerga che l’arte nota più vicina al brevetto non sia stata considerata nel brevetto medesimo, il problema tecnico non potrà essere confinato necessariamente al problema tecnico soggettivamente ivi indicato, ma dovrà esser riformulato al fine di individuare il problema tecnico oggettivo che l’invenzione è idonea a risolvere sulla base delle sue caratteristiche distintive.

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Sulla nullità del contratto di fideiussione
I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con...

I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall'Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, co. 2, lett. a), l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, co. 3, della legge citata e dell'art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l'intesa vietata - perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.

In tema di accertamento dell'esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dall'art. 2 della legge n. 287 del 1990, la stipulazione a valle di contratti o negozi che costituiscano l'applicazione di quelle intese illecite concluse a monte comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all'accertamento dell'intesa da parte dell'Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato, a condizione che quell'intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza.

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Fideiussioni omnibus: clausole anticoncorrenziali e prova dell’intesa illecita nel giudizio stand alone
In un giudizio c.d. stand alone, l’attore è chiamato a dar prova di tutti i fatti costitutivi della domanda e...

In un giudizio c.d. stand alone, l’attore è chiamato a dar prova di tutti i fatti costitutivi della domanda e non può, invece, giovarsi – come nelle cc.dd. “follow on actions” – dell’accertamento dell’intesa illecita, contenuto in un provvedimento dell’autorità amministrativa competente a vigilare sulla conservazione dell’assetto concorrenziale del mercato, in quanto un simile accertamento o manca del tutto o c’è, ma riguarda un periodo diverso da quello in cui si colloca la specifica vicenda negoziale, che avrebbe leso la sfera giuridica dell’attore, onerando di conseguenza quest’ultimo dell’allegazione e della dimostrazione di tutti gli elementi della fattispecie, tra i quali l’esistenza della stessa intesa illecita.

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Requisiti per la tutela ai sensi dell’art. 98 c.p.i. di un’informazione commerciale e liceità della condotta dell’ex dipendente che contatta clienti e fornitori dell’ex datore di lavoro
Affinché un’informazione commerciale possa dirsi tutelata ai sensi dell’art. 98 c.p.i., è necessario che di essa si dia specifica contezza,...

Affinché un'informazione commerciale possa dirsi tutelata ai sensi dell'art. 98 c.p.i., è necessario che di essa si dia specifica contezza, anche quanto al suo contenuto, non essendo sufficiente affermare in termini astratti che essa sussisterebbe e risponderebbe ai requisiti di cui al più volte citato art. 98 c.p.i.

Non può in alcun modo reputarsi illecito il comportamento dell'ex dipendente che, assunto presso impresa concorrente, prenda contatti con clienti e fornitori della ex datrice, ben potendo rientrare detta attività nel legittimo sfruttamento del normale bagaglio di esperienze acquisite dal dipendente nel corso della sua attività presso la precedente datrice di lavoro.

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La tutela delle fotografie semplici e gli effetti del decorso del termine ventennale ex art. 92 l.a.
La dichiarazione di notevole interesse storico di un archivio di fotografie da parte del M.I.B.A.C.T. ha l’effetto di limitare il...

La dichiarazione di notevole interesse storico di un archivio di fotografie da parte del M.I.B.A.C.T. ha l’effetto di limitare il diritto di proprietà privata per ragioni di interesse pubblico e mira a scongiurare il pericolo di distruzione o smembramento di tutto o di parte dell’archivio per cause fortuite o di forza maggiore. È dunque evidente che i vincoli apposti per ragioni di interesse storico sull’intero archivio, in quanto individuato proprio per il complesso dei documenti in esso compresi, non possano avere rilievo laddove si controverta sul diverso piano della tutelabilità ai sensi della disciplina del diritto d’autore di singole immagini, pure in esso comprese.

L’estinzione dei diritti di esclusiva del fotografo per le cd. fotografie semplici ex art. 92 l.a. deve necessariamente estendersi anche alla (omessa) menzione del nome del fotografo in caso di pubblicazione dell’immagine. La disposizione dell’art. 90, co. 1, l.d.a. – che esige che gli esemplari della fotografia debbano essere diffusi con la menzione dell’autore (o del soggetto titolare dei diritti di utilizzazione economica) è evidentemente predisposta al fine di consentire l’opponibilità dei diritti connessi del fotografo (o dei titolari dei diritti sull’immagine) ai terzi, sicchè - a mente del secondo comma della medesima disposizione di legge – la mancanza di tali indicazioni determina la libera riproducibilità dello scatto da parte di terzi. Se, dunque, tale ipotesi comunque non pare attenere in sé alla tutela del diritto morale dell’autore della fotografia - in quanto specificamente rivolta a consentire l’opponibilità dei diritti connessi sull’immagine ai sensi degli artt. 88 e ss. l.d.a. - deve rilevarsi che l’imporre in epoca successiva alla scadenza fissata dall’art. 92 l.d.a. ad un utilizzatore di un’immagine in libera riproduzione l’onere di menzionare il nome dell’autore, oltre ad non essere stabilito da alcuna disposizione attinente alle fotografie “semplici”, sarebbe evidentemente eccessivo e di fatto inesigibile, laddove – come nel caso di specie – l’immagine sembrerebbe essere circolata priva di tale indicazione. La semplice omissione del nome dell’autore – ove intervenuta la scadenza prevista dall’art. 92 l.a. – non può costituire dunque fonte di illecito, mentre il richiamo a principi generali che consentono ad ogni individuo di rivendicare la paternità del frutto delle proprie attività potrebbe trovare un fondamento nella particolare ipotesi in cui la paternità dell’immagine sia stata attribuita a persona diversa.

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Il marchio come firma di un’opera e lo stato soggettivo per l’inibitoria
Il marchio è un segno distintivo di un prodotto, che rende riconoscibile il suo produttore. Non costituisce contraffazione di marchio...

Il marchio è un segno distintivo di un prodotto, che rende riconoscibile il suo produttore. Non costituisce contraffazione di marchio l'utilizzo della componente figurativa di un marchio, anche se registrato, ove esso sia utilizzato non in funzione di marchio, ma abbia finalità meramente illustrative (ferma restando l'illecito utilizzo di opere altrui).

Riprodurre l’opera altrui, utilizzandola a fini commerciali senza alcuna autorizzazione dell’autore, costituisce un plagio, ossia un atto illecito; e tanto più integra l’illecito riprodurre la stessa opera dopo aver cancellato la firma dell’autore.

Cancellare il marchio, fosse esso nominativo o figurativo e che in relazione all’opera rappresenta la firma dell’autore, integra violazione non solo del diritto di sfruttamento economico dell’opera ma anche del diritto morale, poiché significa occultarne volontariamente la paternità.

È da presumere che un distributore titolare di un marchio si informi della provenienza dei prodotti da distribuire anche con il proprio segno distintivo.

La tutela del diritto d’autore e dei segni distintivi prescinde dallo stato soggettivo di chi ha partecipato alle contraffazioni, talché è possibile inibire la reiterazione di condotte di concorso anche a chi le abbia poste in essere incolpevolmente ignorando la sussistenza di una contraffazione; ma questo vale in un giudizio di merito, al quale il concorrente inizialmente di buona fede abbia dato causa alimentando in qualche modo la controversia tra le parti (mentre potrebbe non ravvisarsi alcun interesse apprezzabile a ottenere una inibitoria nei confronti di chi abbia subito riconosciuto il diritto altrui e si sia immediatamente e definitivamente astenuto da altre condotte lesive).

Uno stato soggettivo di assoluta buona fede, da parte di chi non aveva alcun motivo per sospettare una contraffazione, o era addirittura nell’impossibilità materiale di riconoscerla, non consente di ravvisare rischi di reiterazione di condotte lesive dei diritti d’autore del ricorrente; e ciò porta a escludere, quanto meno, l’urgenza di un provvedimento cautelare che inibisca la loro commercializzazione.

Non ha ragion d’essere un ordine di pubblicazione del dispositivo sul sito web e sulle pagine social del ricorrente, che può liberamente procedervi nel rispetto della riservatezza delle parti diverse dai diretti concorrenti al plagio.

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Azione di contraffazione del marchio: modalità di valutazione del rischio confusorio
La tutela prevista dall’art. 2598, comma 1, c.c., è cumulabile con quella specifica posta a protezione di segni distintivi tipici,...

La tutela prevista dall’art. 2598, comma 1, c.c., è cumulabile con quella specifica posta a protezione di segni distintivi tipici, trattandosi di azioni diverse per natura, presupposti, ed oggetto, stante il fatto che la prima ha carattere personale e presuppone la confondibilità con i prodotti del concorrente, mentre la seconda, a tutela delle privative industriali, ha natura reale ed opera anche indipendentemente dalla confondibilità dei prodotti e prescinde da connotazioni soggettive.

Ai fini del giudizio di confondibilità, di cui dell’art. 20 c.p.i., il c.d. rischio confusorio deve essere accertato attraverso una valutazione globale, tenendo conto dell’impressione d’insieme che suscita il raffronto tra i due segni mediante un esame unitario e sintetico che tenga in considerazione diversi fattori, quali la identità/somiglianza dei segni, la identità/somiglianza dei prodotti e servizi, il carattere distintivo del marchio anteriore, gli elementi distintivi e dominanti dei segni concorrenti, in relazione al normale grado di percezione dei potenziali acquirenti del prodotto del presunto contraffattore.

In tema di tutela del marchio, l’apprezzamento del giudice sulla confondibilità dei segni nel caso di affinità dei prodotti, non deve avvenire in via analitica attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni elemento, ma in via globale e sintetica, mediante una valutazione d’impressione, che prescinde dalla possibilità di un attento esame comparativo e che deve essere condotta alla stregua della normale diligenza e avvedutezza del consumatore di quel genere di prodotti, dovendo il raffronto essere eseguito tra il marchio che il consumatore guarda ed il mero ricordo mnemonico dell’altro.

Una volta accertato il c.d. fumus boni juris, il periculum in mora è da ritenersi in re ipsa poiché la concorrenza confusoria comporta di per sé un drenaggio irreversibile di clientela e devalorizzazione o discredito dell’immagine commerciale e dei segni distintivi.

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Il risarcimento del danno nell’ambito di intese restrittive della concorrenza
In materia antitrust è indispensabile che la vittima dell’illecito sia in condizione di conoscere l’identità dell’autore della violazione per poter...

In materia antitrust è indispensabile che la vittima dell’illecito sia in condizione di conoscere l’identità dell’autore della violazione per poter proporre un’azione di risarcimento del danno; pertanto, in caso di intese, la decorrenza del termine di prescrizione quinquennale va individuato nella data in cui il provvedimento sanzionatorio della Commissione europea è pubblicato.

In relazione al disposto di cui all’art. 16 Reg. UE 1/03, il giudice nazionale nel pronunciarsi su accordi, decisioni e pratiche ai sensi dell'articolo 101 TFUE già oggetto di una decisione della Commissione europea, non può prendere decisioni che siano in contrasto con la decisione adottata dalla Commissione. Di conseguenza tali accertamenti risultano per il giudice nazionale vincolanti rispetto all’accertamento dell’esistenza degli accordi illeciti valutati e definiti nella Decisione in esame tra i soggetti sopposti a sanzione.

Il consulente nominato dall'ufficio può sempre avvalersi dell'opera di esperti specialisti, al fine di acquisire, mediante gli opportuni e necessari sussidi tecnici, tutti gli elementi di giudizio, senza che sia necessaria una preventiva autorizzazione del giudice, né una nomina formale, purché egli assuma la responsabilità morale e scientifica dell'accertamento e delle conclusioni assunte dal collaboratore.

Ai fini della responsabilità solidale di cui all'art. 2055, comma 1, c.c., è richiesto solo che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, ancorché le condotte lesive siano fra loro autonome - e pure se diversi siano i titoli di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale -in quanto la norma considera essenzialmente l'unicità del fatto dannoso, e riferisce tale unicità unicamente al danneggiato, senza intenderla come identità delle norme giuridiche violate. La fattispecie di responsabilità implica che sia accertato il nesso di causalità tra le condotte caso per caso, in modo da potersi escludere se a uno degli antecedenti causali possa essere riconosciuta efficienza determinante e assorbente tale da escludere il nesso tra l'evento dannoso e gli altri fatti, ridotti al semplice rango di occasioni (così da ultimo Cass. SS.UU. 13143/22).

La mera allegazione dei possibili teorici elementi che potrebbero influire sulla sussistenza dell’effetto di traslazione a valle del sovrapprezzo non può determinare per se stessa la prova in concreto dell’esistenza del fenomeno stesso nella fattispecie indagata, posto che ciò determinerebbe in radice l’impossibilità di conseguire il risarcimento di qualsiasi danno e dunque ostacolerebbe indebitamente il corretto sviluppo del private enforcement come elemento concorrente ed integrativo dell’intervento sanzionatorio degli organismi comunitari e nazionali di tutela della concorrenza.

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Il labile confine tra la concorrenza sleale e non
Non costituisce atto di concorrenza sleale ai sensi dell’articolo 2598 n. 1 c.c. l’utilizzo come marchio di una denominazione che...

Non costituisce atto di concorrenza sleale ai sensi dell’articolo 2598 n. 1 c.c. l’utilizzo come marchio di una denominazione che è ampiamente utilizzata sul mercato. Ai fini della configurabilità di un atto di concorrenza sleale, ex art. 2598 n. 1 c.c. è necessario che il segno sia utilizzato dall’impresa che lamenta la violazione come marchio e non in forma residuale.

Ricorre concorrenza sleale per appropriazione di pregi, ai sensi dell’articolo 2598 n. 2 c.c., quando un imprenditore attribuisce ai propri prodotti e servizi o alla propria impresa dei pregi che appartengono a prodotti o all’impresa di un concorrente, sì da incidere sulla libera scelta dei consumatori. Il divieto di appropriazione di pregi ex art. 2598, 1° e 2° co., intende impedire non l’inganno in sé al consumatore in relazione alla qualità del prodotto o di un’impresa ma piuttosto la decettività del riferimento, intesa come auto attribuzione di qualità o peculiarità di altrui impresa.

Si configura concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 n. 2 c.c. quando siano diffuse a una pluralità di soggetti informazioni di carattere denigratorio, purché il loro carattere sia effettivamente diffamatorio. Per valutare il carattere diffamatorio occorre contrappesare l’effettiva volontà di screditare la controparte con i principi della libera concorrenza.

L’ipotesi di concorrenza sleale parassitaria prevista dall’art. 2598 n. 3 c.c. presuppone un continuo operare sulle orme del concorrente, da intendersi come riproduzione sistematica delle iniziative del concorrente.

Non integra concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 n. 3 l’utilizzo di informazioni o documenti che non abbiano il carattere della riservatezza in quanto non protette adeguatamente dall’imprenditore che le detiene come know how. A tale proposito è necessario evitare una posizione di monopolio dell’ex datore di lavoro sulle conoscenze ed esperienza dell’ex dipendente, quando le informazioni o i documenti non siano segrete e dunque protette come diritti di Proprietà Industriale.

Affinché lo storno della clientela sia apprezzabile ai sensi dell’art. 2598, n. 3, è necessario che lo sviamento sia provocato con mezzi non conformi ai principi della correttezza professionale, mediante utilizzo di mezzi illeciti secondo la deontologia degli imprenditori, in quanto l’imprenditore deve tollerare la concorrenza. L’utilizzo delle conoscenze e dei rapporti commerciali di un ex dipendente o di un ex agente non vincolato da un patto di non concorrenza, non costituisce concorrenza sleale. Non costituisce sviamento di clientela l’invio di una sola mail inviata dall’Ex dipendente, dirigente o socio, ad un ex cliente.

Ai fini della configurabilità di un illecito di storno di dipendenti ai sensi dell’art. 2598 n. 3 c.c. è necessario che il concorrente sleale si appropri di risorse umane altrui:

- in violazione della disciplina gius-lavoristica, ad esempio senza rispettare i termini di preavviso o i diritti di Proprietà Industriale;
- con modalità fisiologiche, in quanto rischiose per la continuità aziendale di chi subisce lo storno;
- con modalità non prevedibili che provochino uno shock sull’ordinaria attività dell’impresa, non riassorbibile nel breve termine.

Lo storno di pochi dipendenti rispetto al totale di quelli impiegati ed entro un arco temporale diluito non integra illecito per storno di dipendente ai sensi dell’art. 2598 n. 3 c.c.

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Concorrenza sleale e modelli non registrati per capi di abbigliamento
In caso di vendita di capi di abbigliamento, di cui si contesta la contraffazione e/o la commissione di atti di...

In caso di vendita di capi di abbigliamento, di cui si contesta la contraffazione e/o la commissione di atti di concorrenza sleale, la competenza territoriale può essere individuata ai sensi dell'art. 120, co. 6, c.p.i. nel luogo in cui i fatti sono stati commessi, ovvero nel luogo in cui i capi contestati sono stati messi in vendita al pubblico.

Si ha appropriazione di pregi ogni qualvolta un imprenditore, in forme pubblicitarie o equivalenti, attribuisca ai propri prodotti o alla propria impresa pregi da questa non posseduti, ma mutuati da un altro concorrente.

La concorrenza sleale parassitaria consiste in un continuo e sistematico operare - in un contesto temporale prossimo all’ideazione dell’opera, e prima che questo diventi patrimonio comune a tutti gli operatori del settore - sulle orme dell’imprenditore concorrente attraverso l’imitazione non tanto dei prodotti, ma piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali di quest’ultimo e riguardanti comportamenti idonei a danneggiare l’altrui azienda con ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale.

L'imprenditore che intende invocare, oltre alle norme sulla concorrenza sleale, anche la speciale tutela del Regolamento CE n. 6/2002, facendo valere il proprio prodotto quale modello o disegno comunitario senza averlo registrato, non può limitarsi a qualificarlo come tale, ma deve indicarne, seppure sinteticamente, il carattere individuale e gli elementi creativi che valgono a differenziarlo in modo significativo degli altri modelli o disegni divulgati al pubblico in ambito comunitario.

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