La contraffazione per equivalenti estende la la protezione accordata al brevetto al di là del tenore letterale delle rivendicazioni, fino a ricomprendervi le imitazioni non integrali del trovato protetto nelle quali permane la stessa idea inventiva e l’insegnamento fondamentale.
Poiché la domanda di risarcimento del danno per responsabilità processuale aggravata ai sensi dell'art. 96 cod. proc. civ. può essere formulata esclusivamente, sia per "l'an" che per il "quantum", innanzi al giudice investito del procedimento per il quale si pretende dedurre tale responsabilità e poiché la proposizione di detta domanda non importa alcuna alterazione dell'oggetto della lite, in ipotesi di esecuzione della sentenza di primo grado, iniziata e compiuta senza normale prudenza, l'istanza risarcitoria può e deve essere proposta nel corso del giudizio di appello senza che sia opponibile alcuna preclusione.
La resistenza dell'appellata all'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza non rientra fra le condotte sanzionate dall'art. 96 cod. proc. civ. e non risulta idonea, ad abundantiam, ad integrare in generale un abuso dello strumento processuale.
Non è possibile riconoscere alcun risarcimento del danno sulla base dell'art. 9, co. 7 della Direttiva Enforcement, non essendo tale norma stata recepita attraverso il d. lgs. 140/06.
Nel caso in cui la modifica del brevetto italiano e del brevetto europeo abbia determinato la concessione con rivendicazioni simili, è corretto l’approccio del CTU di ritenere che le differenze pure rimaste nei testi - sostanzialmente di natura formale - non siano di tale entità da indurre a valutazioni diversificate in merito alla sussistenza dei requisiti di novità e attività inventiva, e pertanto di procedere all’esame tecnico considerando sostanzialmente equivalenti tra loro i due brevetti, svolgendo considerazioni e valutazioni riferibili ad entrambi tali titoli brevettuali.
È ammissibile la limitazione della rivendicazione anche laddove possa porre problemi di chiarezza nell’enunciato se agevolmente risolvibili dal tecnico del ramo dalla considerazione dei disegni compresi nei testi brevettuali.
Non è affetta da alcun vizio di nullità la condotta della parte e del CTU, che ha modificato il proprio convincimento, né sussiste alcuna violazione del contraddittorio in caso di deposito di un PTO allegato in sede di nota di replica alla bozza di relazione trasmessa dal CTU.
L’art. 22 c.p.i. prevede il principio dell’unitarietà dei segni distintivi, in virtù del quale è vietato adottare come denominazione o ragione sociale “un segno uguale o simile all’altrui marchio, se a causa dell’identità o dell’affinità tra l’attività di impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni”.
Tale principio, pertanto, non consente l’uso confusorio del marchio anteriore registrato neppure come denominazione sociale [nel caso di specie, il Tribunale ha accertato la violazione dei marchi della società attrice in considerazione del fatto che la convenuta ha ripreso esattamente il cuore dei marchi attorei “forti”, senza utilizzare alcun elemento idoneo a differenziare il proprio segno dalle privative dell'attrice].
L’equo premio in favore del dipendente-inventore si caratterizza per il suo carattere straordinario in una controprestazione avente natura indennitaria che si fonda sul presupposto che il datore di lavoro si sia giovato di un effetto competitivo rispetto ai propri concorrenti sul medesimo mercato, rispetto al quale il dipendente inventore può derivare una forma di partecipazione in relazione alla redditività apportata dall’invenzione stessa in favore dell’azienda. A tal riguardo deve confermarsi l’utilità del ricorso alla cd. formula tedesca, in base alla quale appare possibile giungere alla determinazione di un valore di tale indennità che rimane comunque caratterizzata dalla sua natura intrinsecamente equitativa.
Il primo fattore rilevante della formula tedesca è il valore dei brevetti di cui è causa, individuato nella somma dei margini di utile maturati e maturandi fino alla scadenza di essi.
Tale valore è desumibile dai ricavi conseguiti dai singoli brevetti (e cioè dai relativi prodotti), posto che seppure la liquidazione dell’equo premio debba svolgersi in via sostanzialmente equitativa, tuttavia non potrebbe prescindersi dall’identificare una base di partenza di valori per quanto possibile aderente alla reale estensione della commercializzazione svolta e di quella verosimilmente attendibile per il tempo di sfruttamento residuo per quei brevetti ancora in vigore. Per ciò che attiene al margine di utile conseguito (e conseguibile) su detti ricavi, in caso di mancanza di documentazione certa è possibile applicare la cd. 25% rule - regola empirica, dedotta dall’esperienza dei professionisti nel campo del licensing, che rileva che i tassi di royalty tenderebbero statisticamente a concentrarsi su valori collocati attorno al 25% dell’utile riferibile ai prodotti brevettati.
Il valore ottenuto deve essere corretto e ridotto applicando il cd. Fattore C (abbattimento a scaglione del valore più elevato) e il fattore R (dalla somma innanzi ottenuta deve essere corrisposta al dipendente inventore una percentuale compresa fra il 12,5% e il 33%, con la precisazione che un tasso del 20% viene considerato il valore normale).
Deve poi applicarsi il fattore P della formula tedesca, teso a ridurre la quota di valore dell’invenzione riconoscibile al dipendente sulla base dell’analisi delle tre componenti di cui il fattore stesso è formato e cioè: posizione del problema, cui viene attribuito un valore da 1 a 6, soluzione del problema, cui viene attribuito un valore da 1 a 6; mansioni svolte e posizione occupata nell’impresa dal dipendente inventore, cui viene attribuito un valore da 1 a 8.
Laddove non sia possibile calcolare gli utili (anche in maniera ipotetica) derivanti dallo sfruttamento di un brevetto non troverà applicazione la c.d. formula tedesca, bensì una valutazione equitativa che valorizzi gli effetti positivi in favore dell’azienda derivanti dallo sfruttamento di un’area di esclusiva nei confronti dei terzi garantita dalla mera titolarità del brevetto.
L’art. 93, comma 3, Legge n. 633/1941 (richiamato dall'art. 96, comma 2, L.d.a. in tema di diritti relativi al ritratto) prevede che, quando le persone indicate nel secondo comma dell'art. 93 L.d.a. siano più e tra di loro vi sia dissenso, decide l’Autorità Giudiziaria circa il consenso all’esposizione del ritratto dell’ascendente, il che evidenzia come tutti i discendenti entro al quarto grado possono negare al terzo il loro consenso, cosicché il terzo potrà reputarsi legittimato all'esposizione del ritratto solo dopo l’intervento del Giudice che abbia risolto, in favore dell’esposizione, il dissenso tra i contitolari.
Non trattandosi di tutelare privative industriali ovvero i diritti autorali, non rientrando quello all'immagine neppure nel novero dei diritti connessi, la cautela inibitoria deve essere valutata ai sensi dell'art. 700 c.p.c.
I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, co. 2, lett. a), l. 287 del 1990 e 101 TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, co. 3, della legge succitata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.
Ogniqualvolta la fideiussione oggetto d’esame sia stata stipulata nel periodo antecedente al provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 (e comunque ricadente nel periodo della relativa istruttoria), l’onere della prova incombente sul fideiussore attore risulta parzialmente attenuato, in virtù del riconoscimento a tale provvedimento del valore di prova privilegiata unicamente sulla sussistenza dell’intesa, idonea pertanto ex se a far presumere che dalla condotta anticoncorrenziale sia derivato un danno al fideiussore. Per contro, ove la fideiussione sia successiva al provvedimento sanzionatorio, il provvedimento della Banca d’Italia perde la propria valenza di prova privilegiata, conseguendo da ciò la riespansione dell’onere probatorio in capo all’attore, il quale è chiamato a provare tutti gli elementi della fattispecie, ivi compreso quello della perdurante esistenza, all’epoca della sottoscrizione dei contratti, dell’intesa illecita e quindi della uniforme applicazione delle clausole anticoncorrenziali da parte degli istituti di credito.
Nel contratto di fideiussione i requisiti soggettivi per l'applicazione della disciplina consumeristica devono essere valutati con riferimento alle parti di esso, senza considerare il contratto principale, dovendo pertanto ritenersi consumatore il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professionale (o anche più attività professionali), stipuli il contratto di garanzia per finalità estranee alla stessa, nel senso che la prestazione della fideiussione non deve costituire atto espressivo di tale attività, né essere strettamente funzionale al suo svolgimento (cc.dd. atti strumentali in senso proprio).
Il contratto autonomo di garanzia, espressione dell’autonomia negoziale ex art. 1322 c.c., ha la funzione di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale, contrariamente al contratto del fideiussore, il quale garantisce l’adempimento della medesima obbligazione principale altrui (attesa l’identità tra prestazione del debitore principale e prestazione dovuta dal garante). La causa concreta del contratto autonomo di garanzia è quella di trasferire da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da inadempimento colpevole oppure no; invece, con la fideiussione, nella quale solamente ricorre l’elemento dell’accessorietà, è tutelato l’interesse all’esatto adempimento della medesima prestazione principale.
Il contratto autonomo di garanzia si differenzia dalla fideiussione per l’assenza dell’accessorietà della garanzia, derivante dall’esclusione della facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale, in deroga all’art. 1945 c.c., dalla conseguente preclusione del debitore a chiedere che il garante opponga al creditore garantito le eccezioni nascenti dal rapporto principale, nonché dalla proponibilità di tali eccezioni al garante successivamente al pagamento effettuato da quest'ultimo, là dove l’accessorietà della garanzia fideiussoria postula, invece, che il garante ha l’onere di preavvisare il debitore principale della richiesta di pagamento del creditore, ai sensi dell’art. 1952, co. 2, c.c., all’evidente scopo di porre il debitore in condizione di opporsi al pagamento, qualora esistano eccezioni da far valere nei confronti del creditore.
L’inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento a prima richiesta e senza eccezioni vale di per sé a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia, in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione, salvo quando vi sia un’evidente discrasia rispetto all’intero contenuto della convenzione negoziale; tuttavia, in presenza di elementi che conducano comunque ad una qualificazione del negozio in termini di garanzia autonoma, l’assenza di formule come quella anzidetta non è elemento decisivo in senso contrario.
L’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., in quanto volta a provocare soltanto l’inefficacia c.d. relativa di un atto di disposizione patrimoniale, non incide sull’assetto della società e sull’entità del suo patrimonio, sicchè la relativa controversia non va ricompresa tra quelle devolute alla competenza funzionale inderogabile della sezione specializzata, neppure tra quelle relative ai rapporti societari lato sensu intesi. Le sezioni specializzate non sono competenti a conoscere della suddetta azione, neppure per ragioni di connessione, ove detta azione sia esercitata cumulativamente a quella di responsabilità degli amministratori. Infatti, tra le due azioni sussistono elementi di mera connessione soggettiva e non anche di connessione oggettiva e/o qualificata di cui agli artt. 31, 32, 34 e 35 c.p.c.
In caso di fallimento di una società, la clausola compromissoria contenuta nello statuto della stessa non è applicabile all'azione di responsabilità proposta unitariamente dal curatore ai sensi dell'art. 146 l.fall. diretta alla reintegrazione del patrimonio sociale a garanzia sia dei soci che dei creditori sociali e nella quale confluiscono sia l'azione prevista dall’art. 2393 c.c., che quella di cui all’art. 2394 c.c., in riferimento alla quale la clausola compromissoria non può operare poiché i creditori sono terzi rispetto alla società.
Con riferimento alla situazione antecedente all’entrata in vigore dell’art. 7 d.lgs. n. 3 del 2017, nei giudizi promossi ai sensi dell’art. 33 della legge n. 287 del 1990 le conclusioni assunte dall’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, nonché le decisioni del giudice amministrativo che eventualmente abbiano confermato o riformato quelle decisioni, costituiscono una prova privilegiata, in relazione alla sussistenza del comportamento accertato o della posizione rivestita sul mercato e del suo eventuale abuso, anche se ciò non esclude la possibilità che le parti offrano prove a sostegno di tale accertamento o ad esso contrarie. Si tratta infatti di documentazione che, raccogliendo gli esiti di un’esaustiva istruttoria avente carattere definitivo, assume valore intrinseco di fonte probatoria privilegiata dell’illecito antitrust.
Al fine di valutare la validità ed efficacia delle clausole impugnate contenute in un contratto di fideiussione, il punto dirimente non attiene tanto alla diffusione di un modulo ABI da cui non fossero state espunte le nominate clausole, quanto alla coincidenza delle condizioni contrattuali col testo di uno schema contrattuale che potesse ritenersi espressivo della vietata intesa restrittiva. L’illiceità derivata dalle intese anticoncorrenziali a monte deve essere affermata se il contenuto delle stesse sia effettivamente trasposto nelle singole clausole dei contratti a valle, dovendosi pur sempre evitare il sillogismo secondo cui l’accertamento dell’intesa illecita comporterebbe in via automatica la nullità dei negozi conclusi tra le imprese aderenti al cartello e i singoli soggetti ad esso estranei.
Con il provvedimento n. 55 del 2005 la Banca d’Italia ha appurato che gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’art. 2, co. 2, lett. a), l. 287/90, evidenziando in particolare come le verifiche compiute nel corso dell’istruttoria avessero mostrato, con riferimento alle clausole esaminate, la sostanziale uniformità dei contratti utilizzati dalle banche rispetto allo schema standard dell’ABI e come tale uniformità discendesse da una consolidata prassi bancaria preesistente rispetto allo schema dell’ABI (non ancora diffuso presso le associate), che potrebbe però essere perpetuata dall’effettiva introduzione di quest’ultimo.
In caso di controversia con caratteristiche stand alone - e cioè non direttamente fondata su fatti accertati in sede amministrativa di accertamento della violazione antitrust - l’onere probatorio volto a dare fondamento alla contestazione di intesa in relazione al disposto dell’art. 2 l. 287/90 ricade sulla parte che ha formulato la contestazione.
L’accesso alla tutela antitrust non è riservato alla sola categoria dei consumatori. Lo scopo della normativa antitrust di cui alla l. 287/1990 è quello di preservare e proteggere il funzionamento del mercato in senso oggettivo, in particolare dei valori della trasparenza e dalla correttezza, obiettivo che va ben oltre la tutela del singolo interesse individuale del soggetto che ha patito una lesione. Chiunque (consumatori, imprenditori, singoli utenti) può ritenersi vittima di illecito anticoncorrenziale e agire al fine di ottenere tutela reale (nullità), ricorrendone i presupposti.
In caso di accertamento dell’intesa anticoncorrenziale a monte dei contratti di fideiussioni omnibus per violazione all’art. 2, co. 2, lett. a), l. 287/90, nei contratti a valle si concretizza un regime di nullità parziale, in conformità al principio generale di conservazione del negozio giuridico. L’ipotesi di una nullità totale, quale possibile estensione della nullità di cui le clausole sono affette, rimane uno scenario eccezionale e di difficile verifica, rimesso completamente all’onere di allegazione, a carico della parte che ne ha interesse, di un quadro probatorio che dimostri l’essenzialità della componente viziata del negozio.
La mera produzione dello schema ABI e/o del provvedimento n. 55/2005 di Banca d’Italia può avere un’esaustiva efficacia probatoria solo quando l’oggetto della controversia sia una fideiussione sottoscritta nel periodo sostanzialmente coincidente con l’istruttoria compiuta o comunque immediatamente successivo a tale accertamento. Al di fuori del perimetro temporale coincidente con l’arco di tempo in cui si è svolta l’istruttoria - o comunque esteso al periodo successivo immediatamente coincidente, in ipotesi ancora verosimilmente connesso all’attuazione di tali intese - e, dunque, nel caso di fideiussioni sottoscritte in un periodo marcatamente precedente o successivo al periodo ricompreso tra il 2002 e il maggio 2005, parte attrice è onerata dall’allegazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di illecito anticoncorrenziale di cui all’art. 2 l. 287/90, sia pure nei limiti in cui essa potrebbe dare conto della permanenza di tale intesa.
I diritti acquisiti dal committente in forza di un contratto di appalto relativo a uno specifico progetto architettonico sono limitati allo specifico bene oggetto della progettazione, con la conseguenza che l’utilizzazione del medesimo progetto per la realizzazione di un’altra opera non rientra nei diritti di sfruttamento economico nati in virtù di tale rapporto.
L’opera a cui viene accordata tutela autorale non deve essere identificata nel progetto dei pezzi di arredamento, ma nella loro scelta, nel relativo assemblaggio e successiva collocazione: a nulla, pertanto, rileva l’eventuale acquisto degli arredi da soggetti terzi.
Va esclusa la fattispecie del plagio o della contraffazione ove non sia stata pubblicizzata o attribuita ad altri la paternità del progetto.
In punto risarcitorio, va escluso il danno morale ove il progetto tutelato dal diritto d’autore non sia stato alterato, svilito e/o utilizzato per finalità estranee rispetto a quelle per cui è stato creato.
Fermo restando il diritto al risarcimento del danno per l’utilizzo di opera protetta da diritto d’autore, vanno rigettate le domande volte ad ottenere la cessazione della condotta e la pubblicazione del provvedimento, posto che questi sono rimedi attivabili solo qualora ricorra una lesione del diritto d’autore come diritto alla paternità dell’opera, dunque come diritto della personalità.
Non ogni controversia avente ad oggetto un negozio traslativo di partecipazioni sociali è riservato alla competenza della sezione specializzata, ma soltanto quel tipo di controversie che hanno un rilievo endosocietario, attingendo all’assetto societario o al funzionamento della struttura societaria. Per configurare la competenza della sezione specializzata in materia d’impresa, anche quando la vicenda trae origine da un negozio traslativo di partecipazioni societarie, la controversia deve, infatti, essere direttamente inerente alla questione societaria e all’esercizio dei diritti scaturenti dalla titolarità di partecipazioni sociali, onde, per meglio dire, deve rendere trasparente il suo fondamento endosocietario, nel senso che la pretesa, ma vieppiù la fonte di essa, traggano titolo dal rapporto di società e dalla conseguente acquisizione dello status socii e alle modalità di estrinsecazione di esso concretamente guardino.
In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, la competenza funzionale del giudice che ha emesso il provvedimento è inderogabile e immodificabile, anche per ragioni di connessione. Ne deriva che il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo, in caso sia proposta domanda riconvenzionale di competenza della sezione specializzata delle imprese di altro tribunale, è tenuto a separare le due cause, rimettendo quella relativa a quest'ultima domanda dinanzi al tribunale competente, ferma restando nel prosieguo l'eventuale applicazione delle disposizioni in tema di sospensione dei processi.