L’esercizio del potere di revoca di un provvedimento cautelare “processualmente definitivo” richiede l’emersione di un “fatto nuovo”, diverso dal decorso del tempo, e rilevante al fine della rinnovazione sotto il profilo del periculum o del fumus del giudizio cautelare. In linea generale, l’esito di un atto istruttorio non può avere altro effetto, visto il fine per cui viene assunto, che contribuire alla decisione del giudice del procedimento in cui l’atto è raccolto. L’idea di una delibazione constante di ogni esito parziale dell’istruttoria a fini diversi da quello decisorio implica la conseguenza di una potenziale mutazione continua del quadro processuale, foriera peraltro di continua esposizione di provvisori convincimenti del giudice. In termini ricostruttivi si può evitare il rischio suddetto affermando che l’esito di una prova non è un fatto storico, ma un mero fatto processuale. E’ ben vero che l’esito di una prova potrebbe invece apportare un nuovo elemento di giudizio valutabile anche in altro procedimento, ma solo alla condizione che il dato rilevato risulti in sé pacifico, abbia una sua consistenza di mera rilevazione e non di “valutazione” e quindi si sottragga alla necessità del vaglio giudiziario, nella sede propria, per avere una qualsiasi portata.
La riformulazione ex articolo 79 c.p.i. comporta la rinuncia al brevetto come originariamente concesso. La contraddizione fra rivendicazione e descrizione determina la carenza della sufficiente descrizione e la seguente invalidità della privativa, ai sensi dell’art. 76, lettera b), c.p.i. L’estensione dell’oggetto della privativa, all’esito della riformulazione ex art. 79 c.p.i., rispetto al brevetto originario, determina l’invalidità della rivendicazione estesa, ai sensi dell’articolo 76, lettera c), c.p.i.
Il carattere di prova privilegiata dei provvedimenti sanzionatori dell’AGCM è stato recepito e rafforzato nella normativa interna di attuazione della direttiva 2014/104/UE (cfr., in particolare, l’art. 7, comma primo, del d.lgs. 3/2017). Tale disciplina prevede che nel giudizio instaurato ai sensi dell'art. 33, comma 2, della legge n. 287/1990, per il risarcimento dei danni derivanti da intese restrittive della libertà di concorrenza, pratiche concordate o abuso di posizione dominante, le conclusioni assunte dall'Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato, nonché le decisioni del giudice amministrativo che eventualmente abbiano confermato o riformato quelle decisioni, costituiscono una prova privilegiata in relazione alla sussistenza del comportamento accertato o della posizione rivestita sul mercato e del suo eventuale abuso.
Secondo la giurisprudenza comunitaria, il titolare del marchio può opporsi all'ulteriore commercializzazione dei prodotti, contraddistinti dal suo marchio, dopo la prima immissione in commercio, previo riconfezionamento degli stessi, quando non sussista un'esigenza, meritevole di tutela, di procedere a tale riconfezionamento.
[Nel caso di specie, la circostanza che alcuni esemplari dei prodotti contestati, cioè dei prodotti acquistati all'estero, riconfezionati e importati in Italia, siano stati commercializzati al dettaglio in Milano, pur in assenza di un rapporto diretto tra il rivenditore al dettaglio e le società importatrici e distributrici, consente di attribuire la competenza all'Autorità Giudiziaria di Milano anche nei confronti delle società importatrici e distributrici, non essendovi dubbio che anche la mera commercializzazione del prodotto, in asserita violazione dei diritti sul marchio registrato, costituisca un segmento della condotta lesiva del diritto del titolare del marchio di cui alla norma sopra citata.]
Gli effetti dell'abuso di una posizione dominante in un determinato mercato in danno dei concorrenti possono verificarsi non solamente nel medesimo mercato, in cui il soggetto detiene la posizione dominante, ma anche in un mercato c.d. "a valle", in cui il soggetto non detiene posizione dominante, quando però tale mercato dipende per la sua esistenza da quello "a monte", in cui il soggetto detiene invece una posizione dominante.
[Nel caso in esame, il mercato di gestione delle NNG (numerazioni non geografiche), avente cioè ad oggetto la fornitura, a mezzo del servizio telefonico, al cliente finale dei c.d. servizi a valore aggiunto (VAS), per il modo in cui era strutturato, dipendeva strettamente dal mercato "a monte" della raccolta delle chiamate dirette alle NNG da parte dei gestori della rete telefonica, atteso che il corrispettivo destinato a remunerare i Centri Servizi, fornitori di VAS, era fatturato e riscosso presso gli utenti non già dai gestori delle NNG (cioè gli operatori chiamati), bensì dai gestori della rete telefonica (cioè gli operatori chiamanti); pertanto è evidente che un comportamento abusivo di un soggetto dominante nel mercato "a monte" ben poteva determinare effetti dannosi per i soggetti che operavano nel mercato "a valle", tenuto conto, tra l'altro, che, nel caso in esame, il soggetto che si sostiene essere stato in posizione dominante nel mercato "a monte" era altresì presente nel mercato "a valle", dove operava in concorrenza con le appellanti.]
In caso di contitolarità del diritto d’autore, stante il richiamo alla disciplina della comunione contenuto nell’art. 20 l.d.a., nella causa avente a oggetto la domanda di risoluzione del contratto di licenza di uso, ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario.
Laddove le attività espositive e/o promozionali fieristiche lesive dei diritti sul marchio altrui e svoltesi all’estero rappresentino soltanto fasi o segmenti ulteriori di un pregresso e più ampio iter antigiuridico all’interno del quale si collocano, in stretta reciproca concatenazione, molteplici comportamenti antecedenti che già di per sé integrano gli estremi della denunciata contraffazione e che si sono tenuti sul territorio italiano, alla fattispecie in esame andrà applicata la legge italiana. [Nel caso di specie, pur avendo il titolare dei marchi azionati in giudizio appreso dell’illecita condotta della convenuta soltanto in occasione di una fiera di settore tenutasi in Germania, l’asserito contraffattore apponeva i marchi interferenti sui prodotti e realizzava i relativi cataloghi pubblicitari in Italia].
La contraffazione di un marchio c.d. forte sussiste a fronte della ripresa del suo “cuore" da parte del segno successivo e del suo uso per beni tecnicamente e funzionalmente identici o comunque fortemente affini. Gli eventuali elementi di differenziazione aggiunti al segno posteriore e aventi natura meramente descrittiva del settore merceologico cui sono destinati i prodotti non risultano sufficientemente idonei a distinguere i due marchi a confronto, amplificando al contrario il rischio di confusione in capo al pubblico di riferimento. [Nel caso di specie, l’attrice era titolare del marchio “prb” per macchine da imballaggio nel settore farmaceutico e cosmetico. Tale marchio era stato azionato nei confronti dell’uso, per prodotti identici, del marchio “PierreBi” a cui la convenuta accostava anche il disegno di un imballaggio e la locuzione “CosmoPharma Division”].
In sede di ricorso cautelare ante causam ex art. 700 c.p.c., in tema di accertamento dei requisiti di sussistenza della fattispecie del plagio di un brano musicale di cui all’art. 171 della Legge n. 633 del 1941, ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova, il titolare dei diritti di sfruttamento economico deve provare per iscritto la trasmissione dei diritti di utilizzazione da parte del compositore.
In tema di contraffazione di marchio registrato, ai fini dell’applicabilità da parte del legittimato della tutela offerta dell’art. 20 c.p.i. è necessario che la contraffazione abbia avuto riguardo ad un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, laddove a causa della identità o somiglianza fra i segni e dell'identità o affinità fra i prodotti o servizi possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni. [Nel caso di specie, il Tribunale di Napoli rigetta la domanda di parte attrice giudicando non confondibili i prodotti contrassegnati dai marchi oggetto di causa, trattandosi nel caso di specie di un prodotto farmaceutico mutuabile venduto dietro ricetta medica e un integratore alimentare, a nulla rilevando che i marchi siano registrati per la medesima classe atteso che la ripartizione dei prodotti in classi merceologiche ha mera valenza di carattere amministrativo e non può spiegare effetti nella valutazione di affinità dei prodotti stessi.]
L’oggetto dell’accertamento dell’intesa anticoncorrenziale relativo allo schema ABI è costituito dalle condizioni generali della fideiussione c.d. omnibus, ossia di quella particolare garanzia personale di natura obbligatoria, in uso nei rapporti bancari, che per effetto della c.d. clausola estensiva impone al fideiussore il pagamento di tutti i debiti, presenti e futuri, che il debitore ha assunto entro un limite massimo determinato, ai sensi dell’art. 1938, c.c. Ove sussistano tali presupposti, si potrà invocare la natura di prova privilegiata del provvedimento della Banca d’Italia e porla a fondamento della tutela richiesta. La prova privilegiata non potrà trovare applicazione per le fideiussioni specifiche, poiché costituenti una garanzia limitata alle rispettive linee di credito e non poste a garanzia di tutti i debiti presenti e futuri assunti dal debitore.