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La limitazione brevettuale consiste in una rinuncia parziale all’ambito di protezione riconosciuto al brevetto già concesso
Ai sensi dell’art. 79 c.p.i. il brevetto può essere limitato su istanza del titolare, alla quale devono essere uniti la...

Ai sensi dell'art. 79 c.p.i. il brevetto può essere limitato su istanza del titolare, alla quale devono essere uniti la descrizione, le rivendicazioni e i disegni modificati. La limitazione consiste in una rinuncia parziale all’ambito di protezione riconosciuto al brevetto già concesso. Essa può essere amministrativa o giudiziale e può essere proposta, nell’una e nell’altra ipotesi, pendente un giudizio di nullità del brevetto. Tale limitazione tuttavia deve essere intesa come operante sia che la domanda sia svolta in via principale, che in via di eccezione, rilevando, secondo il dettato della norma, che l’oggetto del giudizio verta anche sulla validità del brevetto limitato, non assumendo rilevanza se con effetti erga omnes o ai soli fini del giudizio proposto.

Riguardo alla limitazione in tema di brevetto europeo rilasciato per l'Italia, ove tale brevetto sia assoggettato alla procedura di limitazione avanti all'Ufficio europeo dei brevetti (EPO), la relativa protezione deve ritenersi definita dal contenuto della limitazione con effetto retroattivo, a prescindere dalla nullità delle originarie rivendicazioni, successivamente modificate attraverso la menzionata procedura.

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Attuazione di provvedimento cautelare in relazione a nuovo marchio diverso da quello oggetto di inibitoria
In tema di concorrenza sleale, la funzione dell’azione inibitoria di cui all’art. 2599 C.C. inerisce ad una pronuncia che può...

In tema di concorrenza sleale, la funzione dell’azione inibitoria di cui all’art. 2599 C.C. inerisce ad una pronuncia che può costituire oggetto di giudicato, consentendo di acquisire ad un eventuale secondo giudizio di cognizione l’accertamento – compiuto nel primo giudizio – dell’illiceità dell’atto ex art. 2598 c.c. I limiti oggettivi di tale giudicato sono rispettati se fra i due comportamenti (quello considerato della prima inibitoria e quello realizzato successivamente) sussista un’indentità di genere e specie, all’interno della quale le eventuali variazioni meramente estrinseche e non caratterizzanti non possono far escludere l’operatività della pronuncia medesima.

La tutela d’urgenza apprestata in relazione a un marchio non può automaticamente estendersi a un nuovo marchio, registrato dopo l’ordinanza cautelare; tuttavia è compito del Giudice procedere all’accertamento della lamentata lesività della nuova condotta ai fini della configurabilità dell’illecito confusorio, qualora venga denunciata la presenza nel nuovo marchio di elementi di analogia con quello oggetto della precedente inibitoria (specialmente laddove il prodotto contrassegnato dal marchio sia di largo consumo, destinato al grande pubblico ed ampiamente pubblicizzato).

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Lo squilibrio contrattuale nell’abuso di dipendenza economica e nella disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari
L’abuso di dipendenza economica, di cui all’art. 9 L. n. 192/1998, è una nozione indeterminata il cui accertamento postula l’enucleazione...

L'abuso di dipendenza economica, di cui all'art. 9 L. n. 192/1998, è una nozione indeterminata il cui accertamento postula l'enucleazione della causa concreta della singola operazione che il complessivo regolamento negoziale realizza, dovendosi porre l'attenzione sul momento genetico in cui i diritti e gli obblighi “squilibrati” vengono pattuiti, perché è in quel momento che la mancanza di reali alternative economiche sul mercato può costringere il contraente debole a subire un regolamento negoziale iniquo.

Accertata la sussistenza di una situazione di dipendenza economica, la condotta di "abuso" s'identifica in una condotta arbitraria contraria a buona fede, ovvero nella intenzionalità di una vessazione perpetrata sull'altra impresa, in vista di fini esulanti dalla lecita iniziativa commerciale retta da un apprezzabile interesse dell'impresa dominante ed esclusivamente volti ad appropriarsi del margine di profitto altrui.

L'inadempimento delle pattuizioni (equilibrate o magari squilibrate, ma per altra causa) non costituisce una condotta rilevante ai fini dell'abuso di dipendenza economica, in quanto non rappresenta l’attuazione di un regolamento contrattuale iniquo ab origine, ma la violazione dell'obbligo di buona fede contrattuale ex art 1375 c.c. (Nel caso di specie, il Tribunale ha escluso che l'imposizione unilaterale di un termine di preavviso per l'esercizio del diritto di recesso, non previsto nel contratto e considerato inadeguato dalla controparte, integrasse un abuso di dipendenza economica).

Nella disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari, l’art. 62 d.l. 1/2012 (oggi abrogato) vieta l'imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose (che sono tali quando ad esse non corrisponde una controprestazione di proporzionata importanza) e di condizioni extracontrattuali e retroattive, le quali, in quanto pattuite dopo le originarie pattuizioni, sono pregiudizievoli se interferiscono con la parte del rapporto che è stata già eseguita. L’onere della prova della ingiustificata gravosità è, secondo le regole ordinarie del processo, a carico della parte che vuol far valere l’illiceità delle condizioni.

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Il divieto di concorrenza sleale per imitazione servile è diretto a impedire il rischio di confusione tra i prodotti dell’imitatore e i prodotti del concorrente
L’imitazione servile è sanzionata dall’art. 2598 n.1 c.c. solo in quanto idonea a creare confusione con i prodotti del concorrente,...

L’imitazione servile è sanzionata dall’art. 2598 n.1 c.c. solo in quanto idonea a creare confusione con i prodotti del concorrente, cioè tale da indurre il potenziale acquirente a ritenere che l’oggetto imitato è proprio quello del produttore che subisce l’imitazione. Inoltre, poiché l’imitazione servile viene ricondotta all’ambito della concorrenza confusoria e quindi al tema dei segni distintivi (nel caso di specie costituiti dalla forma esteriore del prodotto), la tutela della forma è subordinata alle condizioni generali di tutelabilità dei segni distintivi. Ne consegue che chi assume la commissione dell’illecito in questione ed invoca la tutela contro l’imitazione deve allegare e provare la capacità distintiva della forma imitata, intesa soprattutto quale percezione del segno da parte del pubblico come segno distintivo.

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Intese restrittive della concorrenza: i rapporti con i contratti stipulati a valle
Tra l’intesa a monte e la fideiussione bancaria a valle si configura un collegamento funzionale, alla cui stregua la stipula...

Tra l’intesa a monte e la fideiussione bancaria a valle si configura un collegamento funzionale, alla cui stregua la stipula di tali atti può essere individuata come un’operazione unitaria tesa alla violazione della normativa antitrust nazionale ed europea. In tal guisa, l’art. 2, co. 3, l. 287/1990, statuisce che le intese vietate sono nulle ad ogni effetto, così comprendendo anche i contratti che conferiscono concreta attuazione all’intesa vietata.

I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, co. 2, lett. a), l. 287 del 1990 e 101 TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, co. 3, della legge succitata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.

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Il provvedimento 55/2005 di Banca d’Italia riguarda solo le fideiussioni omnibus
L’oggetto dell’accertamento – sfociato poi nell’adozione del provvedimento 55/2005 – con cui Banca d’Italia ha accertato l’uniforme applicazione, da parte...

L’oggetto dell’accertamento – sfociato poi nell’adozione del provvedimento 55/2005 – con cui Banca d’Italia ha accertato l’uniforme applicazione, da parte delle banche aderenti all’associazione ABI, di un modello di contratto standardizzato, da questa associazione predisposto, contenente, fra le altre, tre clausole ritenute violative della concorrenza risulta circoscritto alle condizioni generali delle fideiussioni omnibus, con ciò intendendosi quella particolare garanzia di natura obbligatoria, in uso nei rapporti bancari, che per effetto della c.d. clausola estensiva impone al fideiussore il pagamento di tutti i debiti presenti e futuri che il debitore ha assunto entro un limite massimo predeterminato ai sensi dell’art. 1938 c.c.

Sono nulli i contratti di fideiussioni omnibus a valle solo limitatamente alle clausole riproduttive dello schema illecito a monte, poiché adottato in violazione della normativa – nazionale ed eurounitaria – antitrust, a meno che non risulti comprovata agli atti una diversa volontà delle parti, nel senso dell’essenzialità – per l’assetto di interessi divisato – della parte del contratto colpita da nullità.

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Cancellazione della registrazione del marchio nullo: il tribunale non può disporla
A norma dell’art. 123 c.p.i., la declaratoria di nullità delle privative, quando pronunciata con sentenza passata in giudicato, ha efficacia...

A norma dell’art. 123 c.p.i., la declaratoria di nullità delle privative, quando pronunciata con sentenza passata in giudicato, ha efficacia erga omnes, mentre le sentenze che dichiarano detta nullità sono annotate a cura dell’UIBM nel registro, su comunicazione della Cancelleria, a norma dell’art. 122, co. 5 e 8, c.p.i., non potendosi disporre da parte del Tribunale alcuna cancellazione della registrazione del marchio nullo.

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Fideiussione omnibus e nullità parziale di clausole anticoncorrenziali conformi allo schema ABI
I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con...

I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, co. 2, lett. a), l. n. 287 del 1990 e 101 TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, co. 3, della legge citata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata – perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza –, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.

In tema di accertamento dell’esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dall’art. 2 della legge n. 287 del 1990, la stipulazione a valle di contratti o negozi che costituiscano l’applicazione di quelle intese illecite concluse a monte (nella specie: relative alle norme bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative) comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all’accertamento dell’intesa da parte dell’Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato a condizione che quell’intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza.

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Azione di risarcimento danni e costituzione di parte civile per danno non patrimoniale in sede penale
Ai fini dell’individuazione della competenza territoriale ex art. 18 c.p.c. (c.d. forum rei) occorre prendere in considerazione il comune di...

Ai fini dell’individuazione della competenza territoriale ex art. 18 c.p.c. (c.d. forum rei) occorre prendere in considerazione il comune di residenza del convenuto al momento della proposizione della domanda, a nulla rilevando - anche ai sensi dell’art. 5 c.p.c. - il fatto che, al momento del compimento delle condotte illecite, il convenuto fosse residente presso un differente comune.

Laddove l’attore agisca di fronte al giudice civile per domandare il risarcimento di tutti i danni cagionati dalle condotte del convenuto e, successivamente, mediante l’esercizio dell’azione civile nel procedimento penale iniziato nei confronti dello stesso convenuto sulla base delle medesime condotte, domandi il solo risarcimento del danno non patrimoniale, trova ugualmente applicazione l’art. 75, co. 1, c.p.p. secondo il quale tale scelta della parte attrice comporta la rinuncia agli atti del giudizio civile e il trasferimento della relativa azione di fronte al giudice penale. Infatti, non è consentito alla parte del processo civile trasferire nel processo penale solo una parte dell’originario petitum. In caso contrario, l’accertamento giudiziale di una situazione giuridica controversa sarebbe frammentato in due diverse sedi giurisdizionali. Tuttavia, resta possibile per l’attore differenziare ab origine le proprie azioni ed agire per talune domande in sede civile e per altre in sede penale, a condizione che prima dell’avvio dell’azione civile l’attore limiti le proprie pretese ad alcuni profili risarcitori e si riservi espressamente di agire in altra sede per il soddisfacimento delle ulteriori ragioni di credito temporaneamente accantonate [Nel caso di specie, la persona fisica aveva agito in giudizio per ottenere il ristoro del pregiudizio causato al suo nome, al suo onore, alla sua reputazione e alla sua immagine in ragione di una serie di condotte “persecutorie” poste in essere dal convenuto. Del pari, la società aveva agito per ottenere il risarcimento del danno all’immagine cagionatole da tali condotte oltre che l’accertamento e la sanzione delle condotte di contraffazione di marchio e di concorrenza sleale attuate dal convenuto. Successivamente, sia la persona fisica che la società si erano costituite quali parti civili nel giudizio penale instaurato nei confronti del convenuto/imputato per condotte persecutorie (art. 612 bis c.p.) e per diffamazione (art. 595 c.p.) domandando il solo risarcimento dei danni non patrimoniali. Tuttavia, in considerazione dei principi sopra esposti, il Tribunale ha dichiarato estinte tutte le pretese svolte dalla persona fisica, nonché quelle della società correlate al risarcimento del pregiudizio all’immagine. Al contrario, il giudice civile si è pronunciato sulle condotte di contraffazione e di concorrenza sleale, in quanto non assorbite all’interno delle fattispecie oggetto dei capi d'imputazione del giudizio penale]

Il marchio rinomato, ossia quello conosciuto da una parte significativa del pubblico interessato ai prodotti o servizi da esso contraddistinti, acquisisce un valore economico in sé che prescinde dalla funzione distintiva del segno ed è espressamente tutelato dall’art. 20, lett. c), c.p.i. Infatti, tale marchio oltre a svolgere la propria funzione distintiva può svolgere anche funzioni di garanzia e pubblicitarie, trasmettendo così al consumatore un messaggio o un’immagine che sono incorporati nel segno ed entrano a far parte del suo carattere distintivo e della sua notorietà. Tale valore aggiunto trova tutela ai sensi della disposizione sopra richiamata laddove sia oggetto di un indebito vantaggio o di un ingiusto pregiudizio, un situazione che può verificarsi laddove l’uso del segno ne svaluti l’immagine o il prestigio acquisito presso il pubblico a causa di una sua riproduzione in un contesto osceno, degradante, inappropriato ovvero semplicemente incompatibile con l’immagine che il marchio ha acquisito (c.d. offuscamento o “dilution by tarnishing”). Pertanto, l’illecito ex art. 20, lett. c), c.p.i. si manifesta anche a fronte di una continuativa, immotivata e persistente attività di svilimento del carattere distintivo ed attrattivo del marchio, e ciò anche laddove tale uso consenta all’autore della violazione di trarre altresì per la propria attività un indebito vantaggio. [Nel caso di specie, il convenuto aveva reiteratamente pubblicato dei “post” e delle comunicazioni “social” nei quali esprimeva giudizi ed allusioni screditanti e denigratorie nei confronti del marchio della società attrice, promuovendo al contempo la propria attività di stilista ed esaltando la qualità la creatività e l’originalità dei propri prodotti in contrapposizione con quelli dell’attrice].

Se ai fini della contraffazione di marchio è irrilevante la qualità di imprenditore del contraffattore, presupposto indefettibile della concorrenza sleale è la sussistenza del rapporto di concorrenzialità tra due o più imprenditori. Tale rapporto deve essere valutato anche in una prospettiva potenziale, prendendo in considerazione la valutazione della naturale dinamicità dell’attività che configuri quale esito fisiologico e prevedibile l’offerta di prodotti affini e succedanei rispetto a quelli offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale.

Costituisce un’ipotesi di concorrenza sleale ai sensi dei nn. 2 e 3 dell’art. 2598 c.c. l’autopromozione dei propri segni distintivi e dei propri prodotti in contrapposizione sfavorevole con l’attività imprenditoriale del concorrente, specie ove tale condotta si caratterizzi inter alia con la diffusione indiscriminata ed illimitata sul web di contenuti di carattere denigratorio, gratuitamente offensivi e finanche persecutori.

Costituisce un’ipotesi rilevante sia sotto il profilo anticoncorrenziale che dal punto di vista della violazione dei diritti di marchio l’utilizzo di un hashtag tale da suscitare la curiosità degli utenti del web e che comprende una locuzione sovrapponibile al segno distintivo di titolarità dell’attrice per contraddistinguere post contenenti informazioni screditanti nei confronti di quest’ultima [Nel caso di specie il convenuto aveva utilizzato l’hashtag #quellochenonsaisuelisabettafranchi per contraddistinguere i propri post screditanti nei confronti della società attrice e della sua amministratrice, riproducendo in maniera non autorizzata la locuzione “elisabettafranchi”, sovrapponibile al segno distintivo azionato dall’attrice].

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Prova della violazione del divieto di assistenza finanziaria, superamento del limite di finanziabilità ex art. 38 t.u.b.
In tema di mutuo fondiario, il superamento del limite di finanziabilità ex art. 38 t.u.b. non costituisce motivo di nullità...

In tema di mutuo fondiario, il superamento del limite di finanziabilità ex art. 38 t.u.b. non costituisce motivo di nullità dell’intero contratto, bensì determina l’inapplicabilità della disciplina speciale di carattere sostanziale e processuale ivi stabilita. Ne consegue che la violazione di tale limite non inficia l’assetto negoziale complessivo, il quale viene preservato con la sola disattivazione dei privilegi che il puntuale rispetto di quel limite, funzionale ad un corretto ed equilibrato funzionamento del mercato del credito, avrebbe potuto comportare in favore del finanziatore

I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, co. 2, lett. a) della legge n. 287 del 1990 e 101 TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, co. 3, della legge succitata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.

Qualsiasi credito nei confronti di un’impresa posta in liquidazione coatta amministrativa dev’essere fatto valere in sede concorsuale, nell’ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, mentre il giudice può conoscerne in sede ordinaria solo in un momento successivo, sulle opposizioni o impugnazioni dello stato passivo formato in detta sede, così determinandosi una situazione di improponibilità, o, se proposta, di improseguibilità della domanda, che concerne sia le domande di condanna che quelle di mero accertamento del credito, sicché la domanda formulata in sede di cognizione ordinaria diventa improcedibile in virtù di norme inderogabilmente poste a tutela del principio della par condicio creditorum.

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Validità della fideiussione specifica conforme allo schema ABI
La fideiussione specifica riproducente lo schema ABI relativo alla fideiussione omnibus non è, per ciò solo, nulla. Infatti, grava sul...

La fideiussione specifica riproducente lo schema ABI relativo alla fideiussione omnibus non è, per ciò solo, nulla. Infatti, grava sul garante l’onere di provare che lo schema utilizzato nella fideiussione specifica, da lui sottoscritta, corrisponda ad una pratica uniforme frutto anch’essa di intese anticoncorrenziali, come per le fideiussioni omnibus (valutazione operata a monte, per queste ultime, dalla Banca d’Italia nel provvedimento n. 55/2005).

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