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La portata ed i limiti applicativi della sospensione della causa ex art. 132, co. 1, Reg. UE 1001/2017
Ai sensi della normativa comunitaria vigente (Reg. UE 1001/2017 sul marchio dell’Unione Europea, come già prima ai sensi del Reg....

Ai sensi della normativa comunitaria vigente (Reg. UE 1001/2017 sul marchio dell’Unione Europea, come già prima ai sensi del Reg. UE n. 207/2009 sul marchio comunitario) la competenza in materia di marchio europeo è articolata tra l’Ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) e i Tribunali dei Marchi UE secondo un indirizzo di fondo che è quello di riservare all’Ufficio la validità dei marchi e di rimettere al tribunale dei Marchi UE la violazione dei marchi, di talchè della decadenza o della nullità del marchio europeo è dato discutere o in via principale innanzi all’Ufficio o in via riconvenzionale innanzi al Tribunale dei Marchi UE esclusivamente in un’azione di contraffazione. Ne consegue che al di fuori di tale ristretta competenza del singolo tribunale nazionale in funzione di Tribunale dei Marchi UE non si prospetta alcuna sospensione per l’ipotesi della contemporanea pendenza del giudizio di nullità in sede europea.

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L’inadempimento contrattuale assorbe l’accertamento dell’esistenza di un’opera dell’ingegno
Se il contratto trova la sua causa nell’attribuzione ad una parte della facoltà di utilizzare liberamente una collezione di beni...

Se il contratto trova la sua causa nell’attribuzione ad una parte della facoltà di utilizzare liberamente una collezione di beni ideata verso il pagamento di un corrispettivo e l’apposizione di una determinata dicitura sugli articoli della collezione, non ha importanza accertare se tale collezione nel suo insieme o i suoi singoli articoli abbiano carattere creativo e originale e possano definirsi quindi opera dell’ingegno: ciò che conta è che risulti che “per la facoltà di utilizzare liberamente la Collezione” le parti abbiano concordato il pagamento di un corrispettivo.

L’eventuale veto, posto dal terzo titolare del marchio concesso in licenza ad una delle parti del contratto, all’apposizione di una determinata scritta sugli articoli della collezione oggetto del contratto, non solleverebbe la parte obbligata dalla propria responsabilità per inadempimento nei confronti dell’altra parte.

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Non gode di protezione autorale l’opera di industrial design che non è frutto della creatività del suo autore ed è priva di valore artistico
Per poter godere della tutela autorale, l’opera deve concretizzarsi in un oggetto originale, cioè in una creazione intellettuale propria del...

Per poter godere della tutela autorale, l'opera deve concretizzarsi in un oggetto originale, cioè in una creazione intellettuale propria del suo autore, sì da rifletterne la personalità e manifestare le scelte libere, creative e personali del medesimo; per contro, quando la realizzazione di un oggetto è determinata da considerazioni di carattere tecnico, da regole o da altri vincoli che non lasciano margine per la libertà creativa, il requisito della creatività necessaria per poter costituire un'opera viene meno. Per non pervenire ad un'interpretazione di fatto abrogante del n. 10 dell'art. 2 l.d.a., occorre in altri termini dimostrare comunque che i particolari dell'opera sono espressione di un tratto della personalità dell'autore e ne riflettono originalità e creatività, per esempio, per avere l'autore realizzato un modello talmente innovativo da segnare una rottura netta con i canoni dei modelli già presenti sul mercato o, ancora, da mutarne la concezione estetica.

Il valore artistico di cui all'art. 2 l.d.a., la cui prova spetta alla parte che ne invoca la protezione, può essere desunto da una serie di parametri oggettivi, non necessariamente tutti presenti in concreto, quali il riconoscimento, da parte degli ambienti culturali ed istituzionali, circa la sussistenza di qualità estetiche e artistiche, l'esposizione in mostre o musei, la pubblicazione su riviste specializzate, l'attribuzione di premi, l'acquisto di un valore di mercato così elevato da trascendere quello legato soltanto alla sua funzionalità ovvero la creazione da parte di un noto artista. Un simile valore può essere riconosciuto ove risulti dimostrato l'inserimento del prodotto in una corrente artistica, oppure la presenza in musei d'arte contemporanea, l'accreditamento e il perdurare del successo del prodotto presso la collettività e gli ambienti culturali, quali indici che storicizzano il giudizio e lo ancorano a criteri di obiettività, ovvero il diffuso riconoscimento che più istituzioni culturali abbiano espresso in favore dell'appartenenza dell'opera del disegno industriale ad ambito di espressività proprio di tendenze e influenze di movimenti artistici.

La condotta tipica di concorrenza sleale per appropriazione dei pregi dei prodotti o dell’impresa altrui, ai sensi dell’art. 2598 n. 2) c.c. ricorre quando un imprenditore, in forme pubblicitarie o equivalenti, attribuisce ai propri prodotti od alla propria impresa pregi – quali ad esempio medaglie, riconoscimenti, indicazioni di qualità, requisiti, virtù – da essi non posseduti, ma appartenenti a prodotti od all’impresa di un concorrente, in modo da perturbare la libera scelta dei consumatori.

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L’estensione del sequestro a soggetti terzi e onere di notifica del verbale delle operazioni
Ai sensi dell’art. 669 duodecies cpc, i sequestri devono essere eseguiti, secondo quanto disposto dall’art. 677 c.p.c. ss, sotto la...

Ai sensi dell’art. 669 duodecies cpc, i sequestri devono essere eseguiti, secondo quanto disposto dall’art. 677 c.p.c. ss, sotto la guida del Giudice che ha concesso la misura cautelare, il quale è anche chiamato a dettarne le modalità di attuazione ed altresì a dettare i provvedimenti opportuni ove insorgano delle difficoltà in sede di esecuzione. La norma deve essere interpretata nel senso che debbano essere necessariamente proposte al Giudice del merito le questioni diverse rispetto a quelle strettamente inerenti alla fase esecutiva (quali, ad esempio, le questioni circa l’effettiva sussistenza del diritto accertato in sede cautelare) , mente invece le difficoltà inerenti le modalità dell’esecuzione, che siano sorte durante la fase di attuazione del provvedimento, vanno sottoposte al Giudice che ha dettato la misura, e ciò può accadere non solo in costanza di esecuzione, ma anche dopo la chiusura della fase esecutiva.

Condizione imprescindibile per l’estensione del sequestro nei confronti di beni appartenenti a soggetti terzi non indicati nel ricorso è che si tratti di prodotti che siano stati offerti, importati, o che comunque appartengano alla catena produttiva riconducibile ad uno dei soggetti nei cui confronti sia stato pronunciato il provvedimento di sequestro; non è dunque possibile estendere l’efficacia di tale misura nei confronti di terzi che siano riconducibili alla filiera di un soggetto destinatario unicamente di un provvedimento di inibitoria.

Il concetto di appartenenza ai sensi dell'art. 130 c.p.i. dei beni oggetto di sequestro o descrizione, alla stregua del quale individuare i soggetti ai quali occorre notificare il verbale delle suddette operazioni, non deve essere inteso tanto nel senso di proprietà, quanto di disponibilità materiale del bene rinvenuto in sede di esecuzione, essendo in ogni caso onere del destinatario delle misure quello di mettere l’esecutante nelle condizioni di poter conoscere l’esistenza di un diverso proprietario, nei cui confronti estendere la notifica, salvo in ogni caso il diritto del proprietario di far valere, nei suoi soli confronti, l’inefficacia della misura eseguita.

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Il calo del fatturato non basta a provare il danno da illecita condotta concorrenziale
La prova del danno da illecita condotta concorrenziale non può essere desunta dal mero calo di fatturato da un anno...

La prova del danno da illecita condotta concorrenziale non può essere desunta dal mero calo di fatturato da un anno all’altro in quanto non agevolmente “traducibile” nella perdita di guadagno. Infatti, non si può trascurare la possibilità che il calo del fatturato sia influenzato da un generale andamento negativo del mercato del settore, ovvero dalla presenza di prodotti sostituibili, ossia dalla presenza sul mercato di riferimento di concorrenti ulteriori che agiscano lecitamente. Sotto questo profilo, non ogni vendita realizzata dal contraffattore corrisponde a una vendita non realizzata dall'avente diritto e per altro verso, la dimostrazione di un calo di fatturato dell'impresa del titolare del diritto violato non è affatto un elemento imprescindibile per la prova del danno da contraffazione: in un contesto di andamento generale positivo del mercato di riferimento, ovvero di comprovato incremento ascendente della quota di mercato del titolare del diritto violato, remunerativa degli investimenti effettuati, è infatti ben possibile che il contraffattore con la sua condotta abbia semplicemente limitato la curva di incremento del fatturato del titolare del diritto, pur sempre positiva, anche se in misura minore di quella che si sarebbe realizzata nel contesto non perturbato dalla violazione.

Con riferimento alla prova del nesso causale fra condotta e danno, è escluso che la stessa possa essere tratta dalla semplice allegazione del calo di fatturato globale di periodo (ancorché rapportato al fatturato dei pretesi concorrenti). Occorrerà infatti valutare, a tal fine, tutta una serie di ulteriori fattori quali ad esempio l’andamento generale del mercato, il costo delle materie prime e l’andamento comparativo delle vendite del preteso concorrente, che non possono che formare oggetto di una indagine tecnico contabile che valuti gli utili che il danneggiato avrebbe ottenuto senza il verificarsi dell'evento dannoso.

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L’accertamento della Banca d’Italia contenuto nel provvedimento n. 55/2005 non riguarda le fideiussioni specifiche
L’accertamento della Banca d’Italia contenuto nel provvedimento n. 55/2005 si riferisce allo schema contrattuale elaborato dall’Associazione Bancaria Italiana per le...

L’accertamento della Banca d’Italia contenuto nel provvedimento n. 55/2005 si riferisce allo schema contrattuale elaborato dall’Associazione Bancaria Italiana per le fideiussioni omnibus senza investire il settore delle fideiussioni rilasciate a garanzia delle obbligazioni derivanti da specifiche operazioni bancarie. [Nel caso di specie, il tribunale ha respinto la domanda dei due attori che lamentavano la nullità di una fideiussione specifica stipulata nel settembre 2006, in quanto riproducente lo schema di contratto predisposto dall’ABI oggetto del provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 di Banca d’Italia].

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L’accertamento dell’abuso di dipendenza economica nel contratto di fornitura
In tema di contratto di fornitura, l’accertamento dell’abuso di dipendenza economica, ex art. 9 della l. n. 192 del 1998,...

In tema di contratto di fornitura, l'accertamento dell’abuso di dipendenza economica, ex art. 9 della l. n. 192 del 1998, postula l'enucleazione della causa concreta della singola operazione che il complessivo regolamento negoziale realizza. Quanto alla sussistenza della situazione di dipendenza economica, è necessario indagare se lo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti sia eccessivo, essendo il contraente che lo subisce privo di reali alternative economiche sul mercato, e quanto all'abuso, è necessario indagare la condotta arbitraria contraria a buona fede, ovvero l'intenzionalità di una vessazione perpetrata sull'altra impresa, in vista di fini esulanti dalla lecita iniziativa commerciale retta da un apprezzabile interesse dell'impresa dominante, mirando la condotta soltanto ad appropriarsi del margine di profitto altrui.

Nella buona fede contrattuale può rientrare anche un obbligo di ricontrattare lealmente un rapporto, a fronte di eventi che ne stravolgono i presupposti, ma senza che vi sia obbligo di giungere ad un accordo.

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Concorrenza sleale per storno di consulenti finanziari e finalità della tutela inibitoria cautelare
Per ritenere integrata la fattispecie di storno di dipendenti è necessaria la dimostrazione che il comportamento sia univocamente finalizzato all’intenzionale...

Per ritenere integrata la fattispecie di storno di dipendenti è necessaria la dimostrazione che il comportamento sia univocamente finalizzato all’intenzionale scomposizione dell’organizzazione e della funzionalità dell’impresa concorrente, così da menomarne la vitalità economica, richiamando quali indici sintomatici, ad es., le modalità del passaggio dei dipendenti e collaboratori, la quantità e la qualità del personale stornato, la sua posizione nell'ambito dell'organigramma dell'impresa concorrente, le difficoltà ricollegabili alla sua sostituzione e i metodi adottati per indurre i dipendenti o collaboratori a passare all'impresa concorrente.
Ciò che deve essere verificato è se le conseguenze del passaggio dei lavoratori vada al di là del pregiudizio che normalmente un imprenditore subisce a causa di tale evento, che di per sé solo considerato, è lecito, in quanto esplicazione del principio della libera concorrenza.

La tutela inibitoria ha la funzione di neutralizzare gli effetti delle condotte di concorrenza sleale, da un lato consentendo all’imprenditore che le abbia subite di poter tornare nello status quo ante e di evitare di subire ulteriori comportamenti illeciti analoghi e, dall’altro ristabilendo l’equilibrio del mercato alterato dalla condotta anticoncorrenziale. Ciò, appunto, si realizza disponendo delle misure volte ad evitare che l’autore della condotta di concorrenza sleale possa avvantaggiarsi delle conseguenze del proprio comportamento o per il tempo necessario a colui che ha subito l’illecito di assumere le iniziative necessarie per ripristinare lo status quo ante o, comunque, per quel tempo che, secondo le dinamiche di mercato, sarebbe stato necessario all’autore dell’illecito per acquisire il vantaggio illecitamente acquisito con mezzi conformi alla correttezza professionale e ai principi di leale concorrenza. Ecco perché, nel pronunciare l’inibitoria, il giudice deve tener conto delle peculiarità del caso concreto ed evitare che la misura inibitoria diventi uno strumento tramite il quale l’imprenditore che ha subito la condotta di concorrenza sleale finisca con il conseguire non più soltanto il ripristino dello status quo ante – come vuole l’ordinamento – ma anche degli indebiti vantaggi a danno degli altri operatori del mercato.

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Presentarsi come agenti concorrenti e comunicazione ingannevole alla clientela: concorrenza sleale e contraffazione del marchio
Costituisce contraffazione del marchio e pratica commerciale scorretta ai sensi dell’art. 2598, n. 3 c.c., il comportamento di una società...

Costituisce contraffazione del marchio e pratica commerciale scorretta ai sensi dell’art. 2598, n. 3 c.c., il comportamento di una società che, tramite i propri emissari, si presenti alla clientela di una concorrente fingendosi suoi agenti o mandatari, fornendo poi informazioni parziali o non veritiere sulle politiche aziendali di quest'ultima e proponendo alternative commerciali apparentemente più vantaggiose. Tale condotta risulta idonea a indurre in errore il consumatore medio sulla provenienza o natura dei servizi offerti, arrecando così danno all'impresa concorrente e sviandone la clientela.

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La forma estetica di un prodotto: disegno comunitario, concorrenza sleale e diritto d’autore
L’accertamento della violazione di un disegno o di un modello comunitario registrato deve essere condotto avuto riguardo all’impressione generale ingenerata...

L’accertamento della violazione di un disegno o di un modello comunitario registrato deve essere condotto avuto riguardo all’impressione generale ingenerata nel cd. “utilizzatore informato”, ove si considera “utilizzatore informato” la persona atta ad esercitare un’attenzione particolarmente diligente con riguardo alla tipologia di prodotti nei quali il disegno o il modello è destinato ad essere incorporato, distinguendosi così dal “consumatore medio”, da un lato, e dalla “persona dotata di competenze tecniche approfondite”, dall’altro. Pertanto, qualora le linee estetiche, più visibili, del prodotto e quelle dei modelli registrati risultino essere radicalmente differenti agli occhi dell’“utilizzatore informato”, bisognerà escludersi qualsiasi configurabilità di una medesima impressione generale e, perciò, della sussistenza di una violazione.

In tema di concorrenza sleale per imitazione servile, la capacità distintiva, che deve essere posseduta dalla forma estetica di un prodotto, rilevante ai sensi dell’art. 2598 c.c., n. 1, è quella necessaria da consentire un immediato collegamento, in capo al cd. “utilizzatore di media esperienza”, tra tale forma e la provenienza del prodotto, proprio perché in caso di imitazione servile potrebbe insorgere, nello stesso, una confusione circa l’origine del prodotto nel mercato di riferimento. Invece la concorrenza sleale per appropriazione dei pregi dei prodotti o dell’impresa altrui, di cui all’art. 2598 c.c., n. 2, non consiste nell’adozione, sia pur parassitaria, delle forme estetiche già usate da un prodotto di un’altra impresa, che può dar luogo alla predetta fattispecie di concorrenza sleale, ma ricorre quando un imprenditore, in forme pubblicitarie o equivalenti, attribuisce ai propri prodotti o alla propria impresa pregi, quali ad esempio riconoscimenti, requisiti, virtù, da essi non posseduti, ma appartenenti a prodotti o all’impresa di un concorrente, in modo da perturbare la libera scelta dei consumatori.

La protezione offerta dal diritto d’autore appare doversi riservare ai soli oggetti che meritano di essere qualificati come “opere”, in quanto rivelino il requisito dell’originalità e siano altresì espressione della creatività dell’autore. Pertanto, dal momento che l’effetto estetico di un prodotto è il risultato di una sensazione intrinsecamente soggettiva della bellezza, percepita da chiunque sia chiamato ad osservarlo, esso non consente, di per sé, né di caratterizzare l’esistenza di un oggetto identificabile con sufficiente precisione e oggettività, né di conoscere se l’oggetto costituisca una creazione intellettuale che riflette la libertà di scelta e la personalità del suo autore, soddisfacendo il predetto requisito dell’originalità.

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Concorrenza sleale per sviamento di clientela da parte dell’ex dipendente
In caso di concorrenza sleale per sviamento di clientela, l’illiceità della condotta non deve essere ricercata episodicamente, ma va desunta...

In caso di concorrenza sleale per sviamento di clientela, l’illiceità della condotta non deve essere ricercata episodicamente, ma va desunta dalla qualificazione tendenziale dell’insieme della manovra posta in essere per danneggiare il concorrente, o per approfittare sistematicamente del suo avviamento. Pertanto, mentre è contraria alle norme di correttezza imprenditoriale l’acquisizione sistematica, da parte di un ex dipendente che abbia intrapreso un’autonoma attività imprenditoriale, di clienti del precedente datore di lavoro il cui avviamento costituisca, soprattutto nella fase iniziale, il terreno dell’attività elettiva della nuova impresa, deve invece ritenersi fisiologico il fatto che il nuovo imprenditore, nella sua opera di proposizione e promozione sul mercato della sua nuova attività, acquisisca o tenti di acquisire anche alcuni clienti già in rapporti con l’impresa alla cui dipendenze aveva prestato lavoro.

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Il riparto interno di responsabilità tra controllante e controllata nelle sanzioni antitrust
Nel diritto dell’Unione la nozione di “impresa” assume un significato e una portata “funzionale” agli obiettivi che la disciplina che...

Nel diritto dell’Unione la nozione di “impresa” assume un significato e una portata “funzionale” agli obiettivi che la disciplina che la contempla intende perseguire, sicché diverse entità giuridicamente indipendenti possono essere considerate come costituenti un’unica impresa, se le società interessate non determinano in modo autonomo il loro comportamento sul mercato.

L’onere di dimostrare la estraneità all’intesa in ragione di un’eterodirezione puramente tecnico-finanziaria quale holding pura, spetta a chi la invoca quale titolo della pretesa di essere manlevata integralmente dalla controllata degli oneri della corresponsabilità (già accertata o da accertarsi) sul piano dei rapporti interni.

Nell' attività di direzione e coordinamento della società controllata, per definizione, l'ente dirigente non agisce compiendo esso stesso atti di gestione della società eterodiretta rilevanti verso i terzi, ma influenza o determina le scelte gestorie operate dagli amministratori della società diretta, che si tradurranno in atti gestori compiuti - in esecuzione delle direttive - dagli amministratori della società diretta. I quali, è opportuno da subito chiarire (essendo rilevante per quanto riguarda la pretesa speculare della controllata, di essere manlevata integralmente dalla sua ex controllante, della cui infondatezza che in seguito meglio si dirà) sono vincolati dalle direttive ed atti di indirizzo nella misura in cui essi siano leciti, valendo la regola generale dettata nell’art. 2392 c.c. per cui gli amministratori della società devono adempiere all’incarico gestorio con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze, nel rispetto dei doveri loro imposti dalla legge e dallo statuto.

L’attività di direzione e coordinamento è, quindi, un quid pluris rispetto al controllo, in quanto manifestazione di un potere di ingerenza più intenso e pregnante, che si esprime principalmente come influenza dominante sulle scelte e determinazioni gestorie degli amministratori della società eterodiretta che ne sono i naturali referenti e destinatari; perciò per attività di direzione e coordinamento deve intendersi l'esercizio in concreto di una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell'impresa, cioè sulle scelte strategiche e operative di carattere finanziario, industriale, commerciale che attengono alla conduzione degli affari sociali: un potere di ingerenza che si esplica attraverso un flusso costante di istruzioni impartite alla società eterodiretta che si traspongono in decisioni dei suoi organi, e che involgono momenti significativi della vita della società, quali le scelte imprenditoriali, il reperimento dei mezzi finanziari, le politiche di bilancio e la conclusione di contratti importanti.

Nel giudizio di cognizione ordinario che si instaura con la proposizione di una domanda mediante atto di citazione, l’attore non può proporre domande diverse rispetto a quelle originariamente formulate nell’atto di citazione, trovando peraltro tale principio una deroga nel caso in cui, per effetto di una domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, l’attore venga a trovarsi, a sua volta, in una posizione processuale di convenuto, così che al medesimo, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, non può essere negato il diritto di difesa mediante la cd. “reconventio reconventionis”. E tuttavia la cd. “reconventio reconventionis” non è – per vero – assimilabile tout court alla domanda riconvenzionale proposta dal convenuto (…) costituente un’azione autonoma che in quanto tale – per trovare ingresso nel medesimo processo – deve presentare identità di titolo con la domanda proposta dall’attore, ai sensi dell’art. 36 cod. proc. civ., atteso che essa è caratterizzata dal fatto che viene introdotta esclusivamente per l’esigenza di rispondere ad una riconvenzionale del convenuto, ossia per assicurare all’attore un’adeguata difesa di fronte alla domanda riconvenzionale e/o alle eccezioni del convenuto. Ed è questa la ragione per cui l’art. 183, comma 4, cod. proc. civ. (nel testo applicabile ratione temporis) prevede che la c.d. “reconventio reconventionis” debba essere formulata in conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto. In ogni altro caso, all’attore è inibito proporre nuove domande nell’udienza di trattazione, rispetto a quelle proposte nell’atto introduttivo della lite, come si desume dalla previsione di ammissibilità, in deroga al suddetto divieto implicito, delle sole domande conseguenti alle difese articolate dal convenuto.

Con la scissione il patrimonio di una società è scomposto e trasferito, in tutto o in parte, ad altre società, preesistenti o di nuova costituzione, con contestuale assegnazione ai soci della prima delle azioni o quote delle società beneficiarie del trasferimento patrimoniale; in particolare, con la scissione parziale la società scissa resta in vita ma con un patrimonio (attività e passività) ridotto e continua l’attività, parallelamente alle società beneficiarie, di cui entrano a fare parte i soci della prima fattispecie effettivamente traslativa, che comporta l'acquisizione da parte della nuova società di valori patrimoniali prima non esistenti nel suo patrimonio.

La scissione ha per finalità la riorganizzazione di una pregressa attività imprenditoriale attraverso la riallocazione complessiva dell’intero patrimonio della società scissa, o di una sua parte (scissone parziale); donde l’esigenza di una più forte tutela dei creditori di quest’ultima società, i quali maggiormente rischiano di vedere affievolita la garanzia generica del loro credito; tutela che si realizza attraverso la responsabilità solidale della società scissa e della società beneficiaria, la quale risponde anche per passività sorte in capo alla scissa che - a differenza del caso di cessione d’azienda - non necessariamente siano evidenziate nelle scritture contabili al momento della scissione, ma, tuttavia, siano riconducibili all’attività imprenditoriale svolta dalla società scissa sino a quel momento (prima, dunque, che la scissione si sia perfezionata ed abbia avuto effetto); si tratta, infatti, pur sempre di elementi già esistenti nel patrimonio della società scissa, benché non ancora “ben esplicitati”, che, in quanto non assegnati nel progetto di scissione all’una o all’altra società, sono destinati a gravare solidalmente su entrambe le società; questo principio, ovvero la garanzia dei creditori e segnatamente di quelli della “scissa”, ispira le previsioni tanto del legislatore europeo (dell’art. 3, par. 3, lett. b) della Sesta direttiva 82/891/CEE del 17 dicembre 1982, relativa alle scissioni delle società per azioni), quanto di quello nazionale (art. 2506-bis 3° comma c.c.) e vale quanto ai rapporti esterni.

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