A seguito della creazione dell’opera, e come diretta conseguenza dell’atto creativo, sorge il diritto di autore, nella sua duplice componente, di natura rispettivamente personale (diritto morale ad essere riconosciuto come autore) e patrimoniale (diritto di utilizzare economicamente l’opera, mediante le varie forme che si declinano in relazione alla natura dell’opera creativa). Il diritto morale consente all’autore, ex art. 20 L.d.A., di rivendicare la paternità dell’opera, ed opporsi a qualsiasi deformazione o modificazione della stessa, anche quando ha ceduto i diritti alla utilizzazione economica. Dunque, anche la semplice “riproduzione”, intesa come ostensione dell’immagine dell’opera da parte di soggetti diversi dall’autore, non è legittima, a meno che ciò non avvenga con il consenso dell’autore.
Il diritto d’autore non tutela l’idea in sé, come risultato dell’attività intellettuale, bensì la forma espressiva di tale idea, attraverso la quale si estrinseca il contenuto del prodotto intellettuale, meritevole di protezione allorché rivesta il carattere dell’originalità e della personalità. Dunque, la stessa idea può essere legittimamente all’origine di opere diverse, che si distinguono per la creatività soggettiva che ciascuno degli autori vi spende, e che rende quell’opera meritevole di protezione. Ciò che conta è la forma che veicola all’esterno l’idea, esprimendola e rendendola percepibile agli altri, tramite la specifica e riconoscibile impronta e l’apporto creativo dell’artista.
Il plagio si ravvisa, secondo la terminologia utilizzata dalla giurisprudenza più recente, laddove l’opera derivata sia priva, in sintesi, di un cosiddetto “scarto semantico”, idoneo a conferirle, rispetto all’altra, un proprio e diverso significato artistico, in quanto abbia mutuato dall’opera plagiata il c.d. nucleo individualizzante o creativo; in sostanza, è necessario che l’autore del plagio si sia appropriato degli elementi creativi dell’opera altrui, ricalcando in modo pedissequo quanto da altri ideato ed espresso. L’indagine sulla esistenza o meno della contraffazione deve svolgersi raffrontando essenzialmente le forme, per verificare se vi sia una riproduzione, integrale o parziale, delle medesime forme, senza una elaborazione originale, ovvero se, pur in presenza di una ripresa di elementi compositivi preesistenti, l’opera successiva costituisca una unità espressiva autonoma, in cui tali elementi siano rielaborati ed inclusi così da perdere la loro originaria connotazione, e divenire qualcosa di diverso.
Ai fini della validità di un contratto di edizione non occorre la forma scritta. Invero, l'art. 110 l.a. prevede la forma scritta dell'atto di trasmissione dei diritti di utilizzazione solo ad probationem e non ad substantiam. I contratti per i quali sia prevista la forma scritta ad probationem, a differenza di quelli per i quali la forma scritta è richiesta ad substantiam, sono validi anche se stipulati oralmente e la forma scritta costituisce solo un limite alla prova, che in particolare riguarda le prove testimoniali, non ammissibili al di fuori della ipotesi espressamente prevista dall'art. 2725 c.c. della perdita incolpevole del documento.
Risulta riscontrato l’illecito anticoncorrenziale, per denigrazione e appropriazione di pregi, ove la convenuta veicoli un’informazione - in termini di certezza e non in forma dubitativa - non vera ad un soggetto terzo, cliente dell’attrice, con conseguente pregiudizio all’immagine imprenditoriale di quest’ultima. (Nel caso di specie la convenuta aveva inviato una comunicazione alla cliente dell’attrice attribuendosi la titolarità del brevetto oggetto di causa, in una fase cronologica in cui non ne era ancora divenuta titolare, e qualificando i profilati incorporati nei serramenti della destinataria della missiva come interferenti con detto brevetto, circostanza esclusa a seguito dell’indagine tecnica svolta).
La figura dell’ambush marketing costituisce un’ipotesi di concorrenza sleale contraria alla correttezza professionale che già può trovare tutela nell’alveo generale dell’art. 2598, comma 3, c.c. ma che talora, per eventi di particolare rilevanza, il legislatore - nazionale ed internazionale- ha ritenuto di disciplinare con una disposizione ad hoc e, in particolare, con l'art. 21 del Codice del Consumo.
E' configurabile un rapporto di concorrenza anche nel caso d’imprenditori operanti a diverso livello, purché l’attività degli stessi insista sulla medesima cerchia di clientela finale. In tal caso, l’operatore di mercato si trova in conflitto potenziale con gli imprenditori posti su anelli diversi dello stesso prodotto o servizio, proprio perché è la clientela finale quella che determina il successo o meno della sua attività: ognuno di essi è interessato a che gli altri rispettino le regole di cui all'art. 2598 cod. civ.
Integra l’illecito di concorrenza sleale la condotta di un operatore commerciale che utilizzi all'interno di una pubblicità un personaggio di un'opera altrui in funzione servente rispetto ai propri prodotti ove tale operatore: crei un indebito collegamento nella mente del consumatore tra il proprio brand, servizi e prodotti e l'opera altrui [nella specie: l'ultimo film della saga di STAR WARS, all'epoca in imminente programmazione nelle sale cinematografiche]; impieghi nella campagna il personaggio chiave già utilizzato da un concorrente in un'altra campagna pubblicitaria; agisca senza il previo consenso della titolare dei relativi diritti sull'opera; agisca in perfetta concomitanza con l'uscita della campagna pubblicitaria del concorrente legittimato e dell'opera.
L’art. 5 c.p.i. consente al titolare di opporsi all’ulteriore commercializzazione nell’ipotesi di motivi legittimi, tra i quali l’ipotesi in cui l’impiego del marchio non sia limitato all’identificazione dei prodotti rivenduti, ma sia relativo alla promozione di servizi diversi forniti dal terzo acquirente.
L'inibitoria deve essere interpretata come obbligo a carico del soggetto passivo di attivarsi anche presso la propria rete vendita e presso la propria clientela diretta per impedire l’ulteriore reiterazione dell’illecito; come obbligo non estendibile ai successivi acquirenti rispetto ai primi aventi causa dell’obbligato ovvero agli aventi causa della rete vendita dell’obbligato; nonchè come obbligazione di risultato se la rete vendita è direttamente controllata dall’obbligato e come obbligazione di mezzo se il rapporto commerciale tra il contraffattore con gli aventi causa ha determinato il trasferimento della proprietà della res in capo a soggetti autonomi sotto il profilo negoziale o societario.
Ai fini del risarcimento del lucro cessante da concorrenza sleale è necessaria la prova puntuale che il mancato raggiungimento dei livelli di fatturato attesi dal soggetto leso sia dipeso eziologicamente dalla commercializzazione dei prodotti dell’autore dell’illecito.
L’art. 33 del Reg. CE n.6/2002 è diretto a regolamentare solo situazioni relative a soggetti terzi che vantino diritti sul disegno o modello e non può pertanto riguardare operatori che non vantino alcun diritto sul modello oggetto di controversia e, in particolare, non si applica ad una situazione nella quale il licenziatario accusa un terzo di aver violato i diritti conferiti dal disegno o dal modello comunitario registrato.
Ai fini della concorrenza confusoria vanno messi a confronti i prodotti degli operatori in conflitto, avuto riguardo non più ad un utilizzatore informato, bensì al consumatore medio, e a quelle caratteristiche dotate di capacità distintiva, ed individualizzanti; inessenziali e voluttuarie, diverse da quelle che sollecitano e comportano la scelta d’acquisto, coperte dalla tutela, temporaneamente limitata, del modello.
Le obbligazioni inerenti l’esercizio dell’attività professionale, e in particolare quelle di un mandatario brevettuale, sono obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo. Pertanto, ai fini del giudizio di responsabilità nei confronti del professionista, rilevano le modalità dello svolgimento dell’attività in relazione al parametro della diligenza fissato dall’art. 1176, secondo comma, c.c.
L’obbligazione consistente nella stessura e nel deposito di un brevetto da parte di un mandatario brevettuale può comportare la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, dovendo essere affrontate questioni nuove, particolarmente complesse, le cui criticità si manifestano anche per i professionisti del più alto livello. In tale specifico campo la responsabilità del professionista è limitata alle ipotesi di dolo o colpa grave.
La novità deve dirsi sussistente laddove l’invenzione (definita, a norma dell’art. 52 c.p.i., dalle rivendicazioni) non sia stata descritta direttamente e in maniera non ambigua in un singolo documento di arte nota. Tale valutazione, ove compiuta rispetto ad una singola rivendicazione, ha esito negativo quando tutte le caratteristiche rivendicate risultano presenti in un’anteriorità.
Ai sensi dell’art. 52 c.p.i. i limiti della protezione sono determinati dalle rivendicazioni, che devono, a loro volta, essere interpretate alla luce della descrizione e dei disegni. Ne consegue che tali elementi (descrizione e disegni) sono confinati in un ruolo esclusivamente interpretativo e, come tali, non possono aggiungere in via integrativa significati che le prime non posseggono né consentire di ampliare l’oggetto del brevetto, giungendo ad attribuire protezione anche a quanto non rivendicato. Ne discende che in caso di divergenza tra quanto descritto e quanto rivendicato è possibile tutelare esclusivamente quegli elementi che risultino contemporaneamente compresi sia nella descrizione che nelle rivendicazioni.
L’art. 79 c.p.i. consente al titolare del brevetto di riformularlo, aggiungendo elementi specificativi e non, invece, generalizzando la portata delle rivendicazioni originarie mediante l’elisione di elementi ivi previsti, con un doppio limite: la sorgente da cui attingere le informazioni per integrare le rivendicazioni è esclusivamente il contenuto della domanda iniziale, precludendo così la possibilità di aggiungere materia totalmente nuova; e l’oggetto del brevetto che consiste nell’ambito di protezione conferito dalle rivendicazioni originarie. Viola tale limite la riformulazione che si risolva nella generalizzazione di caratteristiche originariamente più specificatamente rivendicate perché tale da apportare un quid novi non ammesso. Tale principio si giustifica con l’esigenza di tutelare i terzi, al fine di consentire a questi ultimi di identificare con sicurezza l’area massima che potrà essere coperta dal futuro brevetto fin dalla pubblicazione della relativa domanda.
Il patto di opzione ex art. 1331 c.c., avendo natura di negozio preparatorio, deve contenere tutti gli elementi essenziali del futuro contratto, in modo da consentirne la conclusione nel momento e per effetto dell’adesione dell’altra parte, senza la necessità di ulteriori pattuizioni.
Il contratto di cessione dei diritti di utilizzazione economica di un’opera dell’ingegno è un negozio consensuale a forma libera: esso non deve obbligatoriamente essere stipulato per iscritto, posto che l’art. 110 della L. 633 del 1941 ne impone la forma scritta ad probationem tantum.
La dichiarazione negoziale della parte che concede l’opzione si qualifica come proposta irrevocabile ai sensi dell’art. 1329 c.c.: al concedente non è perciò richiesto il compimento di alcuna attività ulteriore per lo sviluppo della dinamica negoziale che conduca all’eventuale perfezionamento del negozio definitivo, se non quella di non impedire al beneficiario dell’opzione l’esercizio del diritto di accettazione, a pena dell’obbligo di risarcimento dei danni. Ne consegue che la comunicazione con cui la parte concedente l’opzione dichiari di recedere dal rapporto – da qualificarsi giuridicamente come revoca della proposta – prima della scadenza del termine di efficacia dell’opzione è illegittima, perché preclude al beneficiario l’esercizio di un diritto ancora facente parte, in quel momento, della sua sfera giuridica.
In forza del principio generale di compensatio lucri cum damno, la domanda riconvenzionale di condanna al risarcimento dei danni subiti a fronte di costi inutilmente sostenuti, pur fondata, dev’essere rigettata allorquando si dia atto che l’attore in riconvenzionale abbia percepito delle somme, in dipendenza di quelle stesse attività [nella specie, si trattava di fondi percepiti dalla società convenuta a seguito della partecipazione a bandi di finanziamento, necessari per dare esecuzione all’accordo principale rimasto poi ineseguito]. Qualora tale importo ecceda l’ammontare del danno che la parte avrebbe avuto diritto a vedersi risarcito, la differenza non può essere devoluta in favore della controparte, in difetto di apposita domanda di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c.
Ai fini di cui all'art. 183, sesto comma, n. 1, c.p.c., la differenza tra domande nuove e domande modificate risiede nel fatto che le domande modificate non possono essere considerate “nuove” nel senso di “ulteriori” o “aggiuntive”, trattandosi pur sempre delle stesse domande iniziali modificate - eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali – o, se si vuole, di domande diverse che però non si aggiungono a quelle iniziali ma le sostituiscono e si pongono pertanto, rispetto a queste, in un rapporto di alternatività.
Il diritto d’autore può tutelare, oltre che la forma c.d. esterna anche, ove sempre espressione creativa dell’autore, la forma c.d. interna, e cioè il modo personale e particolare dell’autore di raggruppare, sviluppare ed intrecciare idee, concetti ed immagini espresse in un’opera.
Nel caso della rappresentazione grafica, che in ipotesi di opere a fumetti rappresenta il tramite mediante il quale la narrazione si estrinseca, la tutela autorale potrà essere invocata se questa, necessariamente, risulta essere correlata al livello dell’apporto creativo dell’opera, con la conseguenza che ove la creatività grafica non sia particolarmente accentuata varianti anche minime possono escludere la contraffazione.
Quando l’opera nasce dalla collaborazione tra un soggettista/sceneggiatore che lo caratterizza idealmente ed un disegnatore che lo definisce e rappresenta graficamente, il personaggio dei fumetti è assoggettato al regime previsto dall’art 10 l.d.a. Sotto il profilo oggettivo, occorre che i requisiti dell’inscindibilità ed indistinguibilità dei contributi debbano essere intesi nel senso che gli apporti dei vari soggetti debbano limitarsi a costituire parte di un insieme organico, anche ove questi siano materialmente distinguibili.
La fattispecie costitutiva della comunione si perfeziona con la creazione congiunta di più soggetti accompagnata da un accordo (anche tacito) sulla destinazione dei singoli apporti ad essere impiegati nell’opera finale.
Sussiste una legittimazione ad agire del coautore comunista fondata sulla legittimazione sostitutiva per cui il comunista di diritti patrimoniali d’autore, tanto più se per quota di maggioranza, può azionare il diritto al risarcimento dei danni nell’interesse comune, salvo il riparto interno tra comproprietari.
Non si ravvisa alcuna condotta emulativa nel tentativo, da parte del socio uscente, di lucrare un prezzo maggiore - rispetto a quello poi effettivamente percepito - per la compravendita della propria partecipazione societaria ai soci superstiti. La simulazione dell'esistenza di potenziali acquirenti interessati a subentrare nella posizione sociale (c.d. dolus bonus) non costituisce una condotta dannosa per la società, bensì espressione del legittimo esercizio del diritto a conseguire il maggiore profitto possibile.
Non può ritenersi fondata l'eccezione di compromesso arbitrale, prevista da una clausola statutaria, quando le contestazioni svolte nei confronti del socio non attengano a vicende di natura endosocietaria, ma ad atti di natura concorrenziale, rilevanti ex art. 2598 c.c.
Le diverse conclusioni cui il CTU sia pervenuto nella sua seconda relazione non conferiscono alla prima relazione depositata nella fase di descrizione alcuna caratteristica di pretesa “erroneità” ove la più compiuta analisi svolta successivamente sia stata resa possibile solo qualora la parte abbia integrato la propria precedente (insufficiente e lacunosa) produzione documentale, assolvendo così in maniera più compiuta al proprio onere probatorio specificamente definito dal comma 1 dell’art. 121 c.p.i. che – tra l’altro – impedisce al CTU di svolgere accertamenti e valutazioni su documenti diversi da quelli prodotti dalla parte che allega la nullità del titolo.