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Modelli decisionali dei soci di s.r.l.
Il legislatore ha enfatizzato nelle s.r.l. una maggiore rilevanza personale dei rapporti tra i soci, tanto da rendere il metodo...

Il legislatore ha enfatizzato nelle s.r.l. una maggiore rilevanza personale dei rapporti tra i soci, tanto da rendere il metodo assembleare necessario solo per alcune particolari situazioni specifiche. I soci di s.r.l. possono infatti prevedere l’adozione di diversi modelli decisionali, salva l’insopprimibile esigenza che le decisioni vengano comunque espresse in atti scritti, soprattutto per assicurare la tempestiva informazione in merito. Per essere validamente posta in essere, la decisione dei soci necessita di una apposita clausola statutaria, la quale deve prevedere che i soci possano adottare le “decisioni” mediante consultazione scritta o consenso iscritto, ai sensi di quanto previsto dall’art. 2479, comma 3, c.c.

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Le azioni del curatore fallimentare
Il curatore può far valere la responsabilità degli amministratori (nonché del direttore generale e dei liquidatori), della società fallita tanto...

Il curatore può far valere la responsabilità degli amministratori (nonché del direttore generale e dei liquidatori), della società fallita tanto a mezzo dell’azione sociale, in quanto ve ne siano i presupposti, e cioè il danno prodotto al patrimonio sociale da un atto, colposo o doloso, commesso in violazione dei doveri imposti a loro carico dalla legge o dall’atto costitutivo, quanto a mezzo dell’azione dei creditori sociali, in quanto ve ne siano i presupposti, vale a dire il pregiudizio arrecato al patrimonio sociale nella misura in cui sia stato reso insufficiente alla integrale soddisfazione dei creditori della società, da un atto commesso con dolo o con colpa, in violazione degli obblighi funzionali alla conservazione della sua integrità.

Le due azioni, ancorchè diverse, vengono ad assumere nell’ipotesi di fallimento, carattere unitario ed inscindibile, nel senso che i diversi presupposti e scopi si fondano tra loro al fine di consentire l’acquisizione di quel che è stato sottratto al patrimonio sociale per fatti loro imputabili.

Tuttavia, malgrado entrambe vengano esercitate in forma cumulativa ed inscindibile, esse presentano autonomia giuridica, conservando la loro natura giuridica e disciplina. L’azione di responsabilità sociale ex art. 2393 c.c. ha natura contrattuale e presuppone un danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione di doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo; l’azione di responsabilità verso i creditori sociali ex art. 2394 c.c. ha natura extracontrattuale e presuppone l’insufficienza patrimoniale cagionata dall’inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale.

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Obbligo di tenuta delle scritture contabili, illegittima prosecuzione dell’attività, finanziamento soci
La violazione dell’obbligo di tenuta delle scritture contabili da parte degli amministratori non è di per sé sola sufficiente ad...

La violazione dell’obbligo di tenuta delle scritture contabili da parte degli amministratori non è di per sé sola sufficiente ad integrare un materiale pregiudizio nella sfera patrimoniale della società tale da giustificare sic et simpliciter il riconoscimento del risarcimento del danno che assumerebbe in questo modo natura e finalità sanzionatoria rispetto alla violazione formale, essendo a tal precipuo fine necessario che un danno si sia prodotto e che sia a tale condotta eziologicamente connesso.

Dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, il patrimonio sociale non può più considerarsi destinato quale era in precedenza alla realizzazione dello scopo sociale, onde gli amministratori non possono più utilizzarlo a tal fine, ma sono abilitati a compiere soltanto agli atti correlati strumentalmente al diverso fine della liquidazione dei beni, restando ad essi inibito il compimento di nuovi atti di impresa atti a porre a rischio il diritto dei creditori sociali a soddisfarsi sul patrimonio sociale.

Il finanziamento del socio deve essere postergato quando, secondo un giudizio di prognosi postuma, nel momento in cui venne concesso, era altamente probabile che la società, rimborsandolo, non sarebbe stata in grado di soddisfare regolarmente gli altri creditori.

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Sulla prova del danno cagionato dall’inadempimento a doveri negoziali
Al creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, è sufficiente provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed...

Al creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, è sufficiente provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, essendo il debitore convenuto gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa; tuttavia, rimane in capo a parte attrice l’onere di indicare la natura del danno sofferto, dando prova del nesso di causalità e dell’ammontare, costituito dall’avvenuto adempimento.

In caso di mancata prova del danno emergente, la prova del lucro cessante può essere raggiunta guardando alla somma predeterminata negozialmente dalle parti quale garanzia a fronte degli impegni assunti, costituendo essa un parametro oggettivo cui poter ricorrere ai fini della quantificazione del danno da mancato guadagno: tale previsione, che certo non svolge la funzione tipica della clausola penale, può costituire un indice significativo e univoco del “valore” finale che le parti hanno attribuito all’affare.

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Onere della prova degli effetti anticoncorrenziali di clausole standardizzate inserite in fideiussioni specifiche
E’ infondata la domanda attorea richiedente la declaratoria della nullità dell’intero contratto di fideiussione specifica, e dunque non omnibus, per...

E’ infondata la domanda attorea richiedente la declaratoria della nullità dell’intero contratto di fideiussione specifica, e dunque non omnibus, per violazione dell’art. 2, co. 2, lett. a) e co. 3, l. n. 287/90 deducendo quale prova privilegiata a sostegno della natura anticoncorrenziale delle clausole il provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 della Banca d’Italia, in quanto il detto provvedimento si riferisce al contrasto con la suddetta disposizione delle condizioni generali di contratto predisposte dall’ABI nel 2002 e applicate in modo uniforme per le fideiussioni omnibus a garanzia di operazioni bancarie.

Diversamente ai fini della prova degli effetti anticoncorrenziali di clausole standardizzate inserite in contratti di fideiussione specifica non è sufficiente l’allegazione dei moduli contenenti le clausole censurate ma la parte è gravata dall’onere della prova dell’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale e del relativo effetto distorsivo sul mercato, quali indefettibili presupposti della richiesta di nullità della fideiussione.

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Presupposti dell’azione revocatoria
Nel caso di atto dispositivo eseguito a titolo oneroso, in ottica di tutela del terzo avente causa – il quale...

Nel caso di atto dispositivo eseguito a titolo oneroso, in ottica di tutela del terzo avente causa - il quale comunque ha versato un controvalore a fronte del negozio stipulato in suo favore - appare necessario che l’attore, oltre a provare la conoscenza in capo al debitore del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie con l’atto dispositivo, dimostri che anche il terzo ne fosse a conoscenza o, perlomeno, ne avesse la conoscibilità.

Qualora la disposizione a titolo oneroso sia stata posta in essere prima dell’esistenza del credito, il creditore sarà chiamato a provare anche la c.d. partecipatio fraudis, ossia che il terzo, avente causa, fosse a conoscenza della dolosa preordinazione dell’alienazione, da parte del debitore, con riguardo al credito. La prova della participatio fraudis del terzo può essere ricavata anche da presunzioni semplici.

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Sequestro ex art. 670 c.p.c. di quote
Nel caso in cui più soggetti si accordino per creare una società di capitali (per azioni o a responsabilità limitata)...

Nel caso in cui più soggetti si accordino per creare una società di capitali (per azioni o a responsabilità limitata) il cui capitale sia stato solo a uno di essi conferito effettivamente, mentre gli altri sono solo apparentemente intestatari di azioni o quote sociali, si ha una mera intestazione fiduciaria delle azioni o delle quote la quale fa sorgere, a carico dell'intestatario, l'obbligo di trasferirle a chi ha somministrato i relativi mezzi economici. In siffatta ipotesi dovendosi procedere all'accertamento (o all'adempimento) di un negozio fiduciario, e non della ricorrenza di una fattispecie di simulazione relativa, in materia di prova, non si applicano le disposizioni degli artt. 2721 e 2722 c.c., giacché il "pactum fiduciae" non amplia, né modifica il contenuto di un altro negozio - operando esso solo sul piano della creazione di un obbligo da adempiere a cura del fiduciario - né si applicano le disposizioni dell'art. 2725 c.c., trattandosi di negozio per la cui validità non è richiesta la forma scritta.

La quota di partecipazione in una società a responsabilità limitata esprime una posizione contrattuale obiettivata che va considerata come bene immateriale equiparabile al bene mobile non iscritto in pubblico registro ai sensi dell'art. 812 c.c., onde ad essa possono applicarsi, a norma dell'art. 813 c.c., le disposizioni concernenti i beni mobili e, in particolare, la disciplina delle situazioni soggettive reali e dei conflitti tra di esse sul medesimo bene, giacché la quota, pur non configurandosi come bene materiale al pari dell'azione, ha tuttavia un valore patrimoniale oggettivo, costituito dalla frazione del patrimonio che rappresenta, e va perciò configurata come oggetto unitario di diritti e non come un mero diritto di credito; ne consegue che le quote di partecipazione ad una società a responsabilità limitata possono essere oggetto di sequestro giudiziario e, avendo il sequestro ad oggetto i diritti inerenti la suddetta quota, ben può il giudice del sequestro attribuire al custode l’esercizio del diritto di voto nell'assemblea dei soci ed eventualmente, in relazione all'oggetto dell'assemblea, stabilire i criteri e i limiti in cui tale diritto debba essere esercitato nell'interesse della custodia.

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Esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo in sede di opposizione
Il giudice istruttore, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, può emettere il provvedimento con il quale concede la provvisoria...

Il giudice istruttore, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, può emettere il provvedimento con il quale concede la provvisoria esecuzione ex art. 648 c.p.c. anche all’esito delle memorie ex art. 183 comma 6 c.p.c., trattandosi di un provvedimento che può essere emesso sia in prima udienza, sia essere differito all’udienza successiva, nel caso in cui sia necessario garantire il rispetto delle ragioni del contraddittorio e delle esigenze di difesa dell’opponente.

L’ordinanza con la quale il giudice, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, concede la provvisoria esecuzione ex art. 648 c.p.c. è espressamente definita come “non impugnabile” e deve pertanto escludersi la possibilità di una sua autonoma impugnazione in appello nella pendenza del giudizio di primo grado. Non vale ad affermare il contrario l’allegazione di parte secondo la quale il provvedimento sarebbe comunque impugnabile per il fatto che lo stesso avrebbe il contenuto decisorio di una sentenza, in ragione del fatto che il giudice, per mezzo di esso, si sarebbe già pronunciato nel merito della controversia prendendo posizione sulle difese dell’appellante. La circostanza che il giudice istruttore, ai fini della concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, abbia correttamente valutato, da un lato, il merito della pretesa creditoria azionata con il decreto ingiuntivo e, dall’altro, il carattere non ostativo delle ragioni di opposizione fatte valere dall’opponente, non implica in alcun modo che l’ordinanza con cui è stata concessa la provvisoria esecuzione possa assumere un carattere decisorio e definitivo, tale da consentire la sua impugnazione in appello, in contrasto con la regola della sua non impugnabilità fissata dall’art. 648 c.p.c. L’ordinanza con la quale il giudice concede la provvisoria esecuzione ex art. 648 c.p.c. deve qualificarsi, infatti, come un provvedimento non definitivo e non decisorio, che sul piano degli effetti resta un’ordinanza interinale destinata ad esaurirsi con la sentenza sull’opposizione. Detta ordinanza non è, in definitiva, impugnabile con l’appello neppure se, ai fini della sua pronuncia, il giudice abbia conosciuto di questioni di merito rilevanti per accertare la sussistenza del fumus del diritto in contestazione.

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Sottoscrizione con firma digitale dell’atto di trasferimento di quote
Ai fini dell’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto di trasferimento di quote con firma digitale (art. 36, comma 1-bis d.l....

Ai fini dell’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto di trasferimento di quote con firma digitale (art. 36, comma 1-bis d.l. 112/2008, conv. nella legge 133/2008), tale atto deve essere in formato digitale ab origine e sottoscritto digitalmente dalle parti dopo essere stato convertito in file con estensione PDF/A. Non sono di contro ammesse procedure di digitalizzazione di secondo grado, come la scansione di un documento cartaceo.

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Obblighi degli amministratori e azioni di responsabilità ex artt. 2394 c.c. e 146 l.fall.
L’azione spettante ai creditori sociali ai sensi dell’art. 2394 c.c. costituisce conseguenza dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del...

L’azione spettante ai creditori sociali ai sensi dell’art. 2394 c.c. costituisce conseguenza dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale e presuppone l’assenza di un preesistente vincolo obbligatorio tra le parti ed un comportamento dell’amministratore funzionale ad una diminuzione del patrimonio sociale di entità tale da rendere lo stesso inidoneo per difetto ad assolvere la sua funzione di garanzia generica (art. 2740 c.c.), con conseguente diritto del creditore sociale di ottenere, a titolo di risarcimento, l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di compiere.

Seppure la sola azione sociale di responsabilità si prescrive nel termine di cinque anni dalla cessazione dell’amministratore dalla carica, rimanendo la prescrizione sospesa finché questi ricopre il suo ufficio, ai sensi dell’art. 2941, n. 7, c.c., nel caso di esercizio cumulativo di detta azione con quella prevista dall’art. 2394 c.c., il curatore può beneficiare del più ampio termine prescrizionale consentitogli da quest’ultima azione, atteso il carattere di unitarietà ed inscindibilità della domanda proposta.

L’azione di responsabilità ex art. 2394 c.c. è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, visto unitariamente come garanzia e dei soci e dei creditori sociali; essa sorge, ai sensi del secondo comma dell’articolo citato, non al tempo dei fatti costituenti violazione degli obblighi incombenti ad amministratori e liquidatori, bensì nel momento in cui il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei creditori della società e si trasmette al curatore nel caso di fallimento sopravvenuto. Da ciò deriva che la prescrizione quinquennale, di cui all’art. 2949, co. 2, c.c., decorre dal momento in cui si verifica l’insufficienza del patrimonio sociale: momento che, non coincidendo necessariamente con il determinarsi dello stato di insolvenza, può essere anteriore o posteriore alla dichiarazione di fallimento. Tuttavia, al fine di costituire il momento iniziale di decorrenza della prescrizione, l’insufficienza in argomento – intesa come eccedenza delle passività sulle attività del patrimonio netto dell’impresa o insufficienza dell’attivo sociale a soddisfare i debiti della società – deve presentarsi come oggettivamente conoscibile dai relativi creditori.

La diligenza richiesta agli amministratori è espressione del fondamentale dovere di correttezza e buona fede richiamato in termini generali dagli artt. 1175 e 1375 c.c. Nel caso degli amministratori di società, come in tutti i casi di gestione di interessi altrui, tale dovere assume, ancor più che altrove, i caratteri del dovere di protezione dell’altrui sfera giuridica: il dovere di prendersi cura dell’interesse di colui (individuo o ente) che ha incaricato il gestore dell’amministrazione delle proprie attività e, per ciò stesso, lo ha investito di un compito con indubbie connotazioni fiduciarie. L’attività degli amministratori, traducendosi nella gestione di un’impresa commerciale cui è connaturato il carattere professionale dell’esercizio di un’attività economica organizzata (art. 2082 c.c.), assume dunque i colori della professionalità che naturalmente si riverberano anche sul parametro della diligenza. Ciò implica anche la centralità che nell’operato dell’amministratore assume il profilo della fedeltà all’interesse della società da lui amministrata. È suo dovere primario di perseguire tale interesse, sicché ogni sua azione od omissione che sia invece diretta a realizzare un interesse diverso, ed in contrasto con quello, si configura immancabilmente come violazione del dovere di fedeltà immanente alla carica. In altre parole, l’amministratore ha solo il dovere di gestire l’impresa sociale e, più in generale, di agire con la dovuta diligenza: non ha, al contrario, l’obbligo di amministrare la società con successo economico.

La irregolare tenuta delle scritture contabili, in assenza di ulteriori e specifiche deduzioni, pur integrando una violazione agli obblighi gravanti sull’amministratore, è priva di autonoma efficacia causale rispetto ai danni al patrimonio sociale. Non può ricollegarsi alla non corretta tenuta della contabilità sociale un danno parametrato alla intera differenza tra attivo e passivo fallimentare (criterio c.d. del deficit fallimentare).

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Responsabilità dell’amministratore per danni diretti cagionati al singolo socio
L’elemento di diversità dell’azione individuale di responsabilità ex artt. 2476, co. 6 [ora 7], per le s.r.l., e 2395, per le...

L’elemento di diversità dell’azione individuale di responsabilità ex artt. 2476, co. 6 [ora 7], per le s.r.l., e 2395, per le s.p.a, c.c. rispetto all’azione sociale ed a quella dei creditori è rappresentato dall’incidenza diretta del danno sul patrimonio del socio o del terzo. Infatti, mentre l’azione sociale è finalizzata al risarcimento del danno al patrimonio sociale, che incide soltanto indirettamente sul patrimonio dei soci per la perdita di valore delle loro azioni o della loro quota sociale, e l’azione dei creditori sociali mira al pagamento dell’equivalente del credito insoddisfatto a causa dell’insufficienza patrimoniale causata dall’illegittima condotta degli amministratori, e quindi ancora una volta riguarda un danno che costituisce il riflesso della perdita patrimoniale subita dalla società, l’azione individuale postula la lesione di un diritto soggettivo patrimoniale del socio o del terzo che non sia conseguenza del depauperamento del patrimonio della società.

Al contrario, non rileva che il danno sia stato arrecato dagli amministratori nell’esercizio del loro ufficio o al di fuori di tali incombenze, ovvero che tale danno sia o meno ricollegabile a un inadempimento della società, né infine che l’atto lesivo sia stato eventualmente compiuto dagli amministratori nell’interesse della società e a suo vantaggio, dato che la formulazione dell’art. 2395 c.c. pone in evidenza che l’unico dato significativo ai fini della sua applicazione è costituito, appunto, dall’incidenza del danno.

L’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori di s.r.l. può essere esercitata sia dalla società, titolare del diritto al risarcimento del danno, sia dal socio, indipendentemente dalla consistenza della partecipazione sociale. Tuttavia, il socio – non essendo titolare del diritto al risarcimento del danno – fa valere in nome proprio il diritto spettante alla persona giuridica. Ne consegue, dunque, che la società – quale soggetto titolare del diritto in favore del quale si esercita l’azione – deve necessariamente partecipare, ex art. 102 c.p.c., sia al processo relativo all’azione sociale, sia ad eventuali procedimenti cautelari. Qualora, poi, al momento dell’esercizio dell’azione sociale, il soggetto asseritamente responsabile dei danni al patrimonio sociale sia ancora titolare dei poteri di rappresentanza sostanziale della società, è necessaria la nomina di un curatore speciale ex art. 78, co. 2, c.p.c.

La figura dell’amministratore di fatto ricorre qualora un soggetto, non formalmente investito della carica, si ingerisca nell’amministrazione, esercitando (di fatto) i poteri propri inerenti alla gestione della società. In particolare, sussiste la figura dell’amministratore di fatto ove ricorrano le seguenti condizioni: (i) assenza di una efficace investitura assembleare; (ii) attività esercitata (non occasionalmente, ma) continuativamente; (iii) funzioni riservate alla competenza degli amministratori di diritto; (iv) autonomia decisionale (non necessariamente surrogatoria, ma almeno cooperativa non subordinata) rispetto agli amministratori di diritto. Sicché, è amministratore di fatto chi, senza valido titolo gestisce, da solo o anche con l’amministratore formale, la società, esercitando con sistematicità e completezza un potere di fatto corrispondente a quello degli amministratori di diritto.

Nell’ambito della disciplina delle società a responsabilità limitata non è specificamente prevista un’azione di merito volta alla revoca dell’amministratore. Il terzo comma dell’art. 2476 c.c. disciplina esclusivamente l’azione di risarcimento del danno e la revoca dell’amministratore in via d’urgenza, non consentendo, quindi, al giudice alcun potere di sostituire la propria volontà a quella dei soci della società nella nomina di altro amministratore in luogo di quello revocato. Del resto, la riforma del diritto societario – che, da una parte, non ha più previsto la decadenza automatica dalla carica dell’amministratore in presenza della deliberazione assembleare di esercitare l’azione di responsabilità e, dall’altra, non ha inteso conservare l’applicabilità alle società a responsabilità limitata dell’istituto di cui all’art. 2409 c.c. – ha introdotto la nuova misura della revoca dell’amministratore in sede cautelare: l’art. 2476 c.c. prevede, quale strumento cautelare tipico, la revoca dell’amministratore per gravi irregolarità in relazione alla domanda di merito, volta alla condanna del medesimo al risarcimento del danno patito dalla società, azione esercitabile da ciascun socio, ma volta a reintegrare il patrimonio sociale del pregiudizio a questo cagionato.

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L.c.a. delle banche venete: regime di invalidità ex art. 2358 c.c. ed interesse ad agire
La violazione dell’art. 2358 c.c. – applicabile anche alle banche popolari – da sola non delinea una illiceità ex art....

La violazione dell’art. 2358 c.c. – applicabile anche alle banche popolari – da sola non delinea una illiceità ex art. 1343 c.c., non contenendo l’art. 2358 c.c. un divieto assoluto ascrivibile alla materia delle norme imperative, ma “solo” una norma inderogabile, la cui violazione genera nullità del contratto e semplicemente la annullabilità, ai sensi dell’art. 1972, co. 2 c.c., della transazione che sia fatta su di esso, a beneficio del solo contraente ignaro della causa di nullità.

Sussiste interesse attoreo e procedibilità della domanda – non essendo l’interesse soddisfacibile in sede fallimentare – quando la parte attrice agisce per ottenere l’accertamento della nullità del finanziamento funzionalmente collegato alle operazioni di commercializzazione di azioni, finalizzata ad ottenere accertamento di non debenza da parte sua dell’adempimento contrattuale, ossia del pagamento delle rate di rimborso.

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