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Sospensione della esecuzione della delibera di aumento di capitale ed abuso della maggioranza
Il termine “esecuzione” (utilizzato dall’art. 2378 co. 3^ c.c.) non intende fare riferimento soltanto ad una fase strettamente materiale di...

Il termine “esecuzione” (utilizzato dall’art. 2378 co. 3^ c.c.) non intende fare riferimento soltanto ad una fase strettamente materiale di attuazione della decisione, ma ad una più ampia condizione di efficacia della deliberazione, rispetto alla quale l’esecuzione è un momento puramente eventuale. Da tale considerazione discende, per un verso che anche le delibere tecnicamente prive di esecuzione – cioè idonee a produrre effetti giuridici anche in assenza di una specifica attività esecutiva, quali sono quelle aventi mera efficacia dichiarativa – possono essere sospese ex art. 2378 co. 3^ c.c., per altro verso che la materiale esecuzione delle delibere non osta alla pronuncia cautelare di sospensione volta a bloccarne gli effetti, soprattutto quando (come nel caso di specie) siano duraturi.

L’abuso della maggioranza può costituire motivo di invalidità della delibera quando vi sia la prova che il voto determinante del socio di maggioranza è stato espresso allo scopo di ledere interessi degli altri soci, oppure risulta in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione del canone generale di buona fede nell'esecuzione del contratto

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Sul contenuto della nota integrativa nelle operazioni realizzate con parti correlate
Se un’azienda viene gestita concludendo affari non a condizioni di mercato (e dunque, in certa misura, a vantaggio della controparte)...

Se un’azienda viene gestita concludendo affari non a condizioni di mercato (e dunque, in certa misura, a vantaggio della controparte) è necessario che tutti gli interessati (azionisti di minoranza, ma anche clienti, banche, fornitori, dipendenti, etc.) siano posti in condizione di essere di ciò informati. L’informativa dovrà quindi essere precisa e bene dettagliata. D’altro canto, è evidente che un’azienda che sottoscrive dei contratti con parti correlate sta operando secondo logiche particolari: di qui la necessità di chiare informazioni (nella fattispecie la nota integrativa, con la mera indicazione della parte correlata, della tipologia generale delle operazioni poste in essere, dell’importo complessivo di tutte le operazioni riguardanti ciascuna parte correlata, risultava carente delle informazioni necessarie per la comprensione dell’effetto dell’operazione e dell’impatto sul risultato economico dell’esercizio in termini di utili o perdita).

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Responsabilità del liquidatore per ritardata presentazione della domanda di fallimento
Al liquidatore compete un’attività di controllo e di analisi della contabilità, finalizzata a verificare la situazione finanziaria della società e...

Al liquidatore compete un’attività di controllo e di analisi della contabilità, finalizzata a verificare la situazione finanziaria della società e a riscontrare in fatto l’effettiva esistenza dei beni sociali riportati nei documenti ufficiali, e ciò a prescindere dalle caratteristiche di analiticità e attendibilità della situazione contabile e del rendiconto consegnati dagli amministratori, idonee al più a favorire l’attività del liquidatore di riscontro degli elementi patrimoniali attivi e passivi del patrimonio sociale, così come prescritto dai principi contabili (in particolare: OIC n. 5).
Il liquidatore deve altresì  compiere una valutazione sulla possibilità di soddisfare i creditori sociali con ciò che presume di ricavare dal realizzo dei beni e dall’incasso dei crediti aziendali. Quindi verificherà se dal bilancio iniziale di liquidazione risulti un decifit per il prevalere delle passività sulle attività o comunque una situazione di illiquidità insanabile, tale da essere qualificata come insolvenza, per poi determinarsi a presentare la domanda di dichiarazione di fallimento. Si tratta di accertamenti e valutazioni che necessitano di tempi non aprioristicamente determinabili, cosicché deve farsi riferimento ogni volta al caso concreto.

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Il diritto di controllo del socio di S.r.l. che svolge attività in concorrenza
Il diritto del socio non partecipante all’amministrazione della società ad esercitare il controllo sulla gestione della S.r.l., anche per il...

Il diritto del socio non partecipante all’amministrazione della società ad esercitare il controllo sulla gestione della S.r.l., anche per il tramite dell’accesso ai documenti, non può pregiudicare il diritto della stessa società a mantenere la riservatezza su dati sensibili, che il socio potrebbe utilizzare contro di lei. In termini generali e salvo concretizzare il bilanciamento caso per caso, alla luce del principio di buona fede, quindi, deve ritenersi consentito limitare il diritto alla consultazione della documentazione sociale e alla estrazione di copia attraverso l'accorgimento del mascheramento preventivo dei “dati sensibili" presenti nella documentazione, quali, ad esempio, i dati relativi ai nominativi di clienti e fornitori. Il giudizio di bilanciamento secondo il canone di buona fede deve farsi in concreto: non soltanto perché i “dati sensibili” e di cui è pericolosa la propalazione possono essere diversi caso per caso, ma anche e soprattutto perché la riservatezza non può essere un pretesto per coprire le irregolarità di gestione degli amministratori, né per frustrare le valutazioni del socio prodromiche all’esercizio ex art. 2476 co. 3 di un’eventuale azione di responsabilità o impedire la tutela dei propri diritti. D’altro canto, i suddetti accorgimenti potrebbero non bastare a tutelare la società se il socio esercente il diritto di controllo assomma in sé anche la veste di concorrente. In situazioni di abuso del diritto di controllo ex art. 2476 comma 2, c.c., - cioè allorquando l’iniziativa del socio è svolta secondo forma di legge, ma funzionale a scopi diversi da quelli suoi propri, segnatamente non allo scopo di garantire la posizione del socio, ma per servire la diversa veste di concorrente - è legittima l’exceptio della società, la quale neghi al socio il diritto di trarre copia della documentazione, o la richiesta di far sottoscrivere un previo impegno a non utilizzare le informazioni acquisite per fini concorrenziali.

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Poteri del liquidatore ed esercizio dell’azione di responsabilità contro gli amministratori
In tema di liquidazione delle società di capitali, ove l’assemblea che ha deliberato lo scioglimento della società e la nomina...

In tema di liquidazione delle società di capitali, ove l’assemblea che ha deliberato lo scioglimento della società e la nomina del liquidatore non abbia determinato i poteri attribuiti a quest’ultimo, alla stregua delle indicazioni contenute nell’art. 2487, co. 2, c.c., il liquidatore è investito, giusta l’art. 2489, co. 1, c.c., del potere di compiere ogni atto utile per la liquidazione della società. Atteso ciò e considerata la rinunciabilità dell’azione prevista dall’art. 2476, co. 5, c.c., non è condivisibile l’eccezione di improcedibilità dell’azione proposta dall’amministratore convenuto, fondata sulla mancanza della delibera assembleare di autorizzazione alla proposizione dell’azione di responsabilità e sull’invocata applicazione analogica della norma dettata dall’art. 2393 c.c. in materia di società per azioni, di cui va esclusa l’applicabilità analogica alle società a responsabilità limitata.

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Nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c.: conflitto di interessi tra la società e il suo legale rappresentante
Il conflitto di interessi di cui all’art. 78 c.p.c. sussiste in tutti e soli i casi in cui vi sia...

Il conflitto di interessi di cui all’art. 78 c.p.c. sussiste in tutti e soli i casi in cui vi sia un contrasto fra la società e il suo legale rappresentante, per essere quest’ultimo giuridicamente (e non solo in via di fatto) e direttamente interessato ad un esito della lite diverso da quello che possa invece avvantaggiare l’ente. Non sussiste alcun conflitto di interessi quando l’ente sia rappresentato in causa non dal convenuto ma da soggetto diverso, che sia dotato del potere di conferire il ius postulandi e di gestire la lite.

Il conflitto sanzionato dall’art. 78 c.p.c. deve sussistere fra due interessi rilevanti in diritto, uno dei quali in capo a chi rappresenti la società nel processo, rimanendo irrilevante (e ben potendo darsi) che la società in sostituzione della quale un socio eserciti  l’azione di responsabilità, costituendosi in capo ad altro o al nuovo legale rappresentante, prenda in via di fatto e concretamente le parti del convenuto.

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La regola della necessaria contestualità tra contestazione del valore di liquidazione e dichiarazione di recesso non si applica in via analogica a casi diversi dal recesso
Il termine di cui all’art. 2437 bis, co. 1, c.c. riguarda espressamente l’esercizio del recesso e non la contestazione del...

Il termine di cui all’art. 2437 bis, co. 1, c.c. riguarda espressamente l’esercizio del recesso e non la contestazione del valore di liquidazione in casi diversi dal recesso: la previsione di un breve termine di decadenza anche per la contestazione, quando disgiunta dal recesso, non può quindi essere introdotta in via interpretativa.

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Responsabilità da direzione e coordinamento e qualificazione dei versamenti effettuati dai soci
In tema di azione di responsabilità ex art. 2497, co. 2, c.c. nei confronti degli organi della società controllante ed...

In tema di azione di responsabilità ex art. 2497, co. 2, c.c. nei confronti degli organi della società controllante ed esercente attività di direzione e coordinamento, la norma in questione prevede unipotesi di responsabilità extracontrattuale riconducibile alla violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale dellattività di direzione e coordinamento della società controllata da parte della controllante, con il corollario, da un punto di vista processuale, dellonere della prova a carico della parte attrice in merito allesistenza dei requisiti del fatto illecito disciplinato dallart. 2497 c.c., da ricondurre nello schema aquiliano di cui allart. 2043 c.c.

Lesercizio di unattività di direzione e coordinamento rappresenta un fatto naturale e fisiologico, di per sé legittimo, che, tuttavia, al contempo richiede siano prefissati i limiti, oltrepassati i quali una tale attività diviene illegittima e fa sorgere la responsabilità di colui che, per tal modo, ne abusa: la direzione e coordinamento deve essere caratterizzata, ex art. 2497 c.c., dall’osservanza di principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società controllate, nel senso che l’unitarietà della direzione non può giustificare l’utilizzo delle gestione delle imprese controllate ad esclusivo beneficio dell’interesse delle società controllanti, bensì per il coordinamento degli interessi delle due; l’inosservanza dei principi di corretta gestione predetti espone a responsabilità le società controllanti, insieme con i propri amministratori.

Lazione ex art. 2497 c.c. è soggetta al termine quinquennale di prescrizione che decorre dal momento del fatto illecito, anche se esercitata dal curatore fallimentare in luogo dei creditori della società eterodiretta, secondo la previsione dell’art. 2497, ult. co., c.c., senza che egli possa invocare il decorso del termine dalla data della dichiarazione di fallimento, dalla quale deriva solo la sostituzione della legittimazione del curatore a quella dei creditori, senza che però l’azione muti carattere.

Lart. 2497, co. 3, c.c., nel sancire che il socio e il creditore possano agire nei confronti della società che esercita attività di direzione e coordinamento solo nel caso non siano stati soddisfatti dalla società eterodiretta non prevede una condizione di procedibilità dellazione di responsabilità, consistente nell’infruttuosa escussione del patrimonio della controllata o nella previa formale richiesta risarcitoria ad essa rivolta, avendo il legislatore posto unicamente in capo alla società capogruppo lobbligo di risarcire i soci e i creditori sociali danneggiati dallabuso dellattività di direzione e coordinamento. Dunque, il socio (o il creditore sociale) che intende promuovere unazione di risarcimento del danno nei confronti di una società che ha esercitato abusivamente attività di direzione e coordinamento non è tenuto, ai sensi dellart. 2497, co. 3, c.c., ad escutere preventivamente il patrimonio della controllata, poiché tale norma non pone una condizione di procedibilità dellazione di responsabilità, ma si limita a prevedere unulteriore ipotesi, meramente fattuale, per la quale lobbligo risarcitorio in capo alla società dominante viene meno.

Il termine di prescrizione dell’azione nei confronti della società controllante e degli organi della stessa non può decorrere dal fallimento o, comunque, dall’insolvenza della società eterodiretta, ma dalla data di compimento del fatto illecito, ossia dall’inadempimento agli obblighi gravanti sugli stessi, che abbia concorso alla produzione del danno ai soci o ai creditori sociali della controllata.

Lerogazione di somme dai soci alle società da loro partecipate può avvenire a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per la società di restituire la somma ricevuta ad una determinata scadenza, oppure di versamento destinato a confluire in apposita riserva “in conto capitale”; in questultimo caso non nasce un credito esigibile, se non per effetto dello scioglimento della società e nei limiti delleventuale attivo del bilancio di liquidazione, connotato dalla postergazione della sua restituzione rispetto al soddisfacimento dei creditori sociali e dalla posizione del socio quale residual claimant.

La qualificazione, nell’uno o nell’altro senso, dipende dall’esame della volontà negoziale delle parti, dovendo trarsi la relativa prova, di cui è onerato il socio che richieda la restituzione, non tanto dalla denominazione dell’erogazione contenuta nelle scritture contabili della società, quanto dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi.

La ratio della norma dell’art. 2467 c.c. è di conservare lapporto economico dei soci a servizio dellattività svolta dallimpresa sociale, al fine di evitare che il rischio correlato allimpresa priva di adeguati mezzi propri sia posto a carico dei creditori esterni alla società.

I versamenti, variamente denominati, la cui comune caratteristica consiste nell’essere destinati a incrementare il patrimonio della società senza riflettersi sul capitale nominale, vanno a costituire una riserva di capitale (e non di utili) con conseguente esclusione di qualsivoglia pretesa restitutoria per tutta la durata della società. In caso di versamento del socio in conto aumento capitale, il diritto alla restituzione (prima e al di fuori del procedimento di liquidazione) sussiste soltanto nell’ipotesi in cui il conferimento sia stato risolutivamente condizionato alla successiva delibera di aumento di capitale e tale delibera non sia intervenuta entro il termine stabilito dalle parti o fissato dal giudice. 

L’art 2467 c.c. non opera solo in caso di fallimento, ma già durante la vita dell’impresa, integrando una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento sino a quando non sarà superata la situazione di difficoltà economica. Ne consegue che la società è tenuta a rifiutare al socio il rimborso del finanziamento ove tale situazione di squilibrio sia esistente al momento della concessione del finanziamento ed a quello della richiesta di rimborso, che è compito dell’organo gestorio riscontrare mediante la previa adozione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, in grado di rilevare la situazione di crisi. 

La situazione di squilibrio rilevante ai fini dell’operatività della postergazione non si identifica con lo stato di insolvenza, ma nella sproporzione tra indebitamento e patrimonio netto o, comunque, in una situazione di squilibrio finanziario che avrebbe ragionevolmente richiesto un conferimento piuttosto che un finanziamento. 

La violazione della regola di cui all’art 2467 c.c. può dar luogo a plurime forme di tutela, quali una tutela di natura risarcitoria per il creditore pregiudicato, un’azione di responsabilità verso l’organo amministrativo che abbia deciso il rimborso o, in sede concorsuale, l’inefficacia dell’atto di rimborso al socio della somma a favore della società. Pertanto, sono responsabili, ai sensi degli artt. 2394 c.c. e 146 l. fall., gli amministratori di una società fallita che abbiano restituito somme ai soci in violazione dell’art. 2467 c.c. 

In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto dannoso imputabile a più persone, fonte di responsabilità solidale ex art. 2055 c.c., la natura del titolo di responsabilità, che fonda la pretesa risarcitoria azionata, condiziona lindividuazione del termine di durata della prescrizione per il quale, in caso di coincidenza tra fatto costituente reato e fatto determinativo dellillecito civile, si applica la più lunga durata stabilita per il primo, in base allart. 2947, ult. co., c.c.; la diversità dei titoli di responsabilità, invece, non incide sulla interruzione del termine di prescrizione di volta in volta rilevante, essendo in tal caso applicabile la regola di cui allart. 1310, co. 1, c.c., il quale rende latto interruttivo compiuto dal creditore contro uno dei debitori in solido efficace anche nei confronti degli altri debitori solidali. In tema di obbligazioni derivanti da una pluralità di illeciti ascrivibili a differenti soggetti, qualora soltanto il fatto di un obbligato sia anche reato, mentre quelli degli altri costituiscano illeciti civili, la possibilità di invocare utilmente il più lungo termine di prescrizione stabilito dallart. 2947, co. 3, c.c. per le azioni di risarcimento del danno se il fatto è previsto dalla legge come reato, è limitata allobbligazione nascente dal reato.

In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito costituente reato, la previsione dellart. 2947, co. 3, c.c. si riferisce, senza alcuna discriminazione, a tutti i possibili soggetti passivi della conseguente pretesa risarcitoria, sicchè è invocabile non solo per lazione civile esperibile contro la persona penalmente imputabile (quale un amministratore), ma anche per quella esercitabile contro coloro che siano tenuti al risarcimento a titolo di responsabilità indiretta (quale la società, che, ai sensi dellart. 2049 c.c., risponde civilmente dell’illecito penale commesso dal suo amministratore).

Il socio che abbia intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società risponde in concorso con gli amministratori dei danni arrecati alla società medesima; l’amministratore di diritto risponde delle condotte criminose poste in essere da chi si sia di fatto ingerito nella gestione dell’impresa, allo stesso invece spettante, e su cui non abbia vigilato.

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Se il curatore non specifica il titolo della domanda nell’azione di responsabilità, si presume che abbia esercitato congiuntamente le azioni ex artt. 2393 e 2394 c.c.
L’amministratore di fatto viene positivamente individuato quando si realizza la compresenza dei seguenti elementi: (i) mancanza di un’efficace investitura assembleare;...

L’amministratore di fatto viene positivamente individuato quando si realizza la compresenza dei seguenti elementi: (i) mancanza di un’efficace investitura assembleare; (ii) attività di gestione svolta in maniera continuativa, non episodica od occasionale; (iii) autonomia decisionale interna ed esterna, con funzioni operative e di rappresentanza. La prova della posizione di amministratore di fatto implica, perciò, l’accertamento della sussistenza di una serie di indici sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti, ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare, tipizzati dalla prassi giurisprudenziale, quali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la costante assenza dell’amministratore di diritto, la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti, il conferimento di una procura generale ad negotia, quando questa, per l’epoca del suo conferimento e per il suo oggetto, concernente l’attribuzione di autonomi e ampi poteri, fosse sintomatica della esistenza del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico o occasionale.

L’efficacia probatoria del contenuto della relazione redatta dal curatore esige di essere diversamente valutata a seconda della natura delle risultanze da essa emergenti: la relazione, in quanto formata da pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, fa piena prova fino a querela di falso degli atti e dei fatti che egli attesta essere stati da lui compiuti o essere avvenuti in sua presenza (ivi comprese le dichiarazioni dei terzi relativamente e limitatamente alla loro realtà effettuale). Tale rilevanza probatoria non assiste, invece, contro le contestazioni opponibili dai controinteressati, il contenuto delle dichiarazioni dei terzi nella loro intrinseca veridicità, che resta quindi liberamente valutabile in ordine alla effettiva rispondenza di quanto dichiarato (e dal curatore soltanto recepito e riferito) alla verità storica dei fatti.

L’azione esercitata dal curatore ai sensi dell’art. 146 l. fall. cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c.; la mancata specificazione del titolo nella domanda fa presumere che il curatore abbia inteso esercitarle congiuntamente entrambe.

Grava sull’amministratore l’onere di dare prova dell’esatto adempimento dei propri doveri e quindi della conformità delle operazioni economiche generatrici di esborsi agli interessi della società.

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Cessione di debiti e controversie nella l.c.a. delle banche venete
L’art. 3 d.l. 99/2017 (concernente la l.c.a. di Banca Popolare di Vicenza s.p.a. e Veneto Banca s.p.a.) vieta la cessione...

L’art. 3 d.l. 99/2017 (concernente la l.c.a. di Banca Popolare di Vicenza s.p.a. e Veneto Banca s.p.a.) vieta la cessione dei debiti nei confronti dei propri azionisti derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni, e delle controversie derivanti da vendite distorte (“malcollocamento”) di azioni relative a passati aumenti di capitale. La norma va letta alla luce del principio bancario della condivisione degli oneri (secondo il quale alcune categorie di soggetti sono tenute in via principale a sostenere la crisi, e fra di essi, in ogni caso, gli azionisti) e dunque estensivamente non possono coloro che siano azionisti, anche se si dolgono di avere subito operazioni di malcollocamento di azioni, avere come controparte sostanziale, oltre che processuale, altri che la liquidatela, alla quale i rapporti afferenti la vendita di azioni (e anche la “cattiva vendita”) debbono rimanere. Diversamente si riconoscerebbe all’azionista la possibilità di fare valere doglianze verso soggetti diversi dalla liquidatela, e segnatamente l’acquirente che beneficia di aiuti di Stato. Tale principio vale per tutti i rapporti che siano collegati alla vendita, inclusi i finanziamenti finalizzati al collocamento.

Fra le esclusioni dalla cessione campeggiano i contenziosi civili e i conseguenti effetti negativi, relativi a controversie con azionisti, e comunque le passività (nel senso ampio anche di “minor attivo”) costituite da debiti, responsabilità e passività derivanti o comunque connessi con le operazioni di commercializzazione di azioni delle Banche. L’esclusione dalla cessione non può tuttavia limitarsi alle “passività” ma, alla luce dei principi comunitari, deve estendersi ad ogni aspetto, anche attivo, riconducibile al collocamento azionario.

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Opposizione alla revoca dello stato di liquidazione
Ai fini dell’opposizione alla revoca dello stato di liquidazione, non è necessario che il credito dell’opponente sia stato accertato in...

Ai fini dell’opposizione alla revoca dello stato di liquidazione, non è necessario che il credito dell'opponente sia stato accertato in via definitiva, ma è sufficiente che l’opponente vanti una “mera ragione di credito”  (anteriore all'iscrizione della delibera di revoca dello stato di liquidazione) che possa essere pregiudicata, ancorché  contestata.

Il pregiudizio a carico del creditore deve reputarsi sussistente ogniqualvolta la società non disponga - all’esito della revoca - di un patrimonio quantomeno pari al capitale minimo richiesto dalla legge per il tipo sociale adottato, capitale minimo posto a presidio del soddisfacimento dei creditori. Pertanto, non costituisce elemento idoneo ad escludere il pregiudizio a carico del creditore la generica indicazione del subentro di nuovi soci investitori.

Il procedimento di opposizione promosso dai creditori avverso la revoca dello stato di liquidazione, a norma dell’art. 2487 ter cc, va considerato quale giudizio ordinario di cognizione.

 

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Responsabilità degli amministratori per mancata rilevazione di una causa di scioglimento
L’obbligo imposto agli amministratori dall’art 2485 c.c. è quello di accertare “senza indugio” il verificarsi della causa di scioglimento e...

L’obbligo imposto agli amministratori dall’art 2485 c.c. è quello di accertare “senza indugio” il verificarsi della causa di scioglimento e procedere agli adempimenti conseguenti: pertanto, gli amministratori sono obbligati, da un lato, ad operare con diligenza nell’acquisire le informative sull’andamento della società utili al rilievo della causa di scioglimento e, dall’altro, una volta acquisita in forza di detti elementi la consapevolezza dell’azzeramento del capitale, a convocare, tempestivamente e senza temporeggiamenti, l’assemblea dei soci per la ricapitalizzazione ovvero in difetto constare lo scioglimento. Inoltre, anche se solitamente la perdita emerge in sede di predisposizione della bozza di bilancio, qualora la situazione della società presenti conclamate criticità, vi è onere per gli amministratori di monitorare detta situazione anche sotto il profilo patrimoniale senza attendere il momento deputato per legge alla predisposizione della bozza di bilancio.

Sussiste la responsabilità degli amministratori là dove, anziché rilevare tempestivamente la causa di scioglimento o chiedere per tempo la ricostituzione del capitale, hanno posticipato la approvazione del bilancio, in spregio alla normativa di cui agli artt. 2482 bis c.c., 2485 c.c. e 2486 c.c., sostituendo illecitamente gli ineludibili “passaggi” imposti da detta normativa con l’assunzione di nuovo rischio di impresa.

La stipula di un contratto di acquisto di azienda costituisce operazione non conservativa e pertanto, nell’ipotesi di perdita del capitale sociale, operazione condotta in violazione del disposto dell’art 2486 c.c., norma che, in situazione di perdita di capitale, limita i poteri dell’organo gestorio e non gli consente l’assunzione di nuovo rischio d’impresa, indipendentemente dagli effetti nell’immediato, se del caso anche positivi, che da tale assunzione di rischio possano discendere.

Del danno derivato dalla indebita prosecuzione dell’attività caratteristica rispondono tutti i componenti del consiglio di amministrazione, a prescindere dalle deleghe attribuite ai singoli amministratori, poiché l’onere di rilevare la perdita del capitale sociale e di porre in essere gli adempimenti conseguenti, nonché di evitare attività gestionali non conservative grava su tutti gli amministratori, non essendo materia suscettibile di deleghe.

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