Il vizio di mancato invio dell’avviso di convocazione di un’assemblea rileva come causa di nullità della delibera ai sensi dell’art. 2479 ter, co. 3, c.c., ben potendosi assimilare l’ipotesi di carenza assoluta di informazione a quella (anche più grave) di carenza assoluta di convocazione.
È pacifico che in caso di impugnazione di delibera da parte di un socio che abbia dimostrato la sua mancata partecipazione all’assemblea, incombe sulla società convenuta l’onere di provare di avere inviato l’avviso di convocazione. Il socio attore in un giudizio contumaciale è sollevato dall’onere di provare il mancato invio dell’avviso di convocazione poiché, in forza dei principi del riparto dell’onere della prova in materia di responsabilità contrattuale e della prossimità alla fonte di prova, si deve considerare che l’obbligo di comunicare la convocazione è in capo alla società (art. 2479 bis, co. 1, c.c.), sicché, in un rapporto di natura contrattuale, quale quello tra socio e società, è sufficiente che il socio-creditore alleghi l’inadempimento perché sia la società-debitore a dover provare l’esatto adempimento.
Nel caso di impugnazione di deliberazione assembleare, legittimata passiva è solo ed esclusivamente la società, quale soggetto da cui promana la manifestazione di volontà impugnata.
Nel contratto di cessione di una partecipazione sociale espressamente assoggettato alla legge italiana, la clausola che indica il foro competente non è clausola compromissoria, è ininfluente ai fini della competenza (poiché il forum contractus, in forza della legge italiana prescelta, è determinato in forza della legge italiana ex art. 20 c.p.c.), e non è comunque da approvarsi per iscritto qualora il contratto sia concluso non per adesione ma all’esito di specifica trattativa.
Al cessionario del credito, successore a titolo particolare ex art. 111 c.p.c. nel diritto risarcitorio controverso, il debitore ceduto non può opporre le eccezioni che attengono al rapporto di cessione, essendo ad esso estraneo e non incidendo la cessione stessa sul suo permanente obbligo di adempiere.
Affinché una domanda possa ritenersi presuntivamente abbandonata dalla parte non basta la sua mancata riproposizione in sede di precisazione delle conclusioni, dovendosi piuttosto valutare la complessiva condotta processuale per desumerne la volontà processuale di insistere o meno sulla domanda pretermessa [nel caso di specie, la curatela fallimentare aveva scelto di non costituirsi ed omettere qualsiasi attività processuale].
Nel giudizio instaurato da un socio di s.r.l. al fine di ottenere la restituzione di un finanziamento effettuato a favore della società, grava in capo a quest'ultima l’onere della prova della necessaria postergazione del rimborso (e, cioè, della temporanea inesigibilità del credito del finanziamento-conferimento di fatto). Si tratta di eccezione propria in senso lato, rilevabile anche d’ufficio, ma a condizione che la situazione di crisi ex art. 2467 c.c. risulti provata ex actis secondo quanto dedotto e prodotto in giudizio e, cioè, sulla base dei fatti allegati (e comprovati) dall’eccipiente. E per radicare la fattispecie ex art. 2467, co. 2, c.c., si deve fare riferimento non solo all’eventuale squilibrio sussistente al momento del finanziamento, ma anche alla circostanza che esso perduri e sia presente al momento della richiesta di rimborso e, in caso di controversia giudiziaria, della sentenza.
Il rapporto tra sezione ordinaria e sezione specializzata in materia di imprese, nel caso in cui entrambe le sezioni facciano parte del medesimo ufficio giudiziario, non attiene alla competenza, ma rientra nella mera ripartizione degli affari interni dell’ufficio giudiziario.
La fattispecie ex art. 2395 c.c. riguardante il diritto al risarcimento del danno spettante al terzo direttamente danneggiato da atti colposi o dolosi degli amministratori richiede: (i) la condotta degli amministratori posta in essere in violazione dei loro propri doveri, sia quelli inerenti la carica, sia quelli generali stabiliti dall’ordinamento a tutela dei diritti dei terzi, (ii) il pregiudizio patrimoniale subito dal terzo e (iii) il nesso di causalità materiale tra la condotta e il danno lamentato qualificato in termini di diretta efficacia causale della condotta.
In forza del principio della causalità efficiente, in tema di responsabilità extracontrattuale, quale è quella di cui all’art. 2395 c.c., l’evento dannoso può essere attribuito al fatto sopravvenuto solo se questo renda irrilevanti le cause preesistenti.
Esula dalla diligenza richiesta dall’art. 1227 c.c., che prevede la diminuzione del risarcimento se è intervenuto il fatto colposo del creditore, l’obbligo di iniziare un’azione giudiziaria. Al fine di escludere la risarcibilità dei danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, ex art. 1227, co. 2, c.c., vanno presi in considerazione soltanto i comportamenti tenuti dal creditore danneggiato posteriormente all’inadempimento del debitore danneggiante al verificarsi del danno, restando irrilevanti quelli tenuti anteriormente.
L’art. 1221 c.c., che prevede, al primo comma, la liberazione del debitore in mora se questi prova che l’oggetto della prestazione sarebbe ugualmente perito presso il creditore e, al secondo, che tale liberazione non ha luogo nel caso di sottrazione illecita del bene – nel qual caso il valore della cosa va sempre restituito –, esprime un principio generale.
In caso di transazione stipulata dal creditore solo con alcuni dei coobbligati, se la somma versata è inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiuto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota ideale di chi ha transatto.
Il direttore generale risponde ex art. 2396 c.c. secondo le norme che regolano la responsabilità degli amministratori in relazione alle incombenze a lui affidate.
Le condotte distrattive aventi a oggetto disponibilità liquide della società e beni aziendali poste in essere dal socio costituiscono certamente una fonte di danno per la società, danno del quale non può che essere chiamato a rispondere (anche) l’amministratore di diritto il quale – consentendo al socio la gestione dei rapporti con i clienti senza alcuna formalizzazione, omettendo qualsivoglia controllo o contestazione sul suo operato e anzi agendo nei confronti dei debitori contestando la legittimazione dello stesso a ricevere i pagamenti, senza invece intraprendere alcuna iniziativa nei suoi confronti – con la sua condotta inerte ha violato gli obblighi di diligenza connessi alla carica.
Nell’opposizione al decreto ingiuntivo che condanna la società al pagamento del compenso del sindaco, l’eccezione riconvenzionale di inadempimento dei suoi doveri, pur astrattamente ammissibile anche nel rapporto fra la società e i suoi organi, è infondata se dedotta con mero richiamo ad un parere legale ed in relazione a fatti non compiutamente dedotti nei termini: così formulata neppure pare conforme al canone della buona fede oggettiva richiamato dal capoverso dell’art. 1460 c.c. [nel caso di specie, tale parere era stato peraltro rilasciato solo in relazione ad un’azione di responsabilità autorizzata dall’assemblea della controllante dell’opponente e mai esercitata].
Nelle società di capitali il recesso del socio, salve specifiche previsioni statutarie, è atto unilaterale recettizio dall’efficacia immediata. Stante l’eccezionalità dell’istituto, i casi in cui è ammesso sono di stretta interpretazione: se non rientra nei casi previsti dalla legge o dallo statuto, la dichiarazione di recesso resta inoperante. Quando lo statuto attribuisce all’organo gestorio il potere di riconoscere discrezionalmente al socio il recesso, la natura discrezionale di tale potere è tale da non essere neppure surrogabile dal giudice. Di contro, quando un tale potere non sia specificamente attribuito all’organo gestorio, e in più neppure gli venga attribuito un potere di verifica, la rigidità del regime del recesso comporta che l’organo gestorio, rispetto al recesso operato dal socio, non ha ruolo alcuno. Le sue deliberazioni, quando riconoscano al socio un diritto di recesso inesistente, non soggiacciono neppure al regime delle impugnazioni (art. 2388 c.c.) posto a tutela della società e dei soci, che ove non attivato permette la conservazione di decisioni anche contrarie a legge o statuto, poiché restano tout court prive di efficacia e inoperanti.
La prescrizione quinquennale dell’azione ex art. 2394 c.c. decorre dal momento in cui l’insufficienza dell’attivo patrimoniale della società debitrice diviene oggettivamente percepibile da parte dei creditori, e quindi di soggetti non tenuti a, né capaci di, analisi ulteriori e diverse rispetto a quanto reso pubblico dalla debitrice nei propri bilanci e negli altri atti pubblicati nel registro delle imprese. Tale momento coincide presuntivamente con la dichiarazione di fallimento, a meno che gli amministratori e sindaci convenuti provino l’oggettiva e inequivoca emersione dell’incapienza patrimoniale prima di tale data (quale il deposito nel registro delle imprese di domanda concordataria o di accordo di ristrutturazione, ovvero di delibera di messa in liquidazione fondata sulla causa di scioglimento di cui all’art. 2484, co. 1, n. 4 c.c.). Per i fatti che integrano reati fallimentari, anche nella forma del concorso o della cooperazione colposa, la prescrizione decorre dalla dichiarazione di fallimento con applicazione ex art. 2947, co. 3 c.c. del termine sessennale previsto dalla disciplina penale.
L’autorizzazione a promuovere un’azione giudiziaria conferita dal giudice delegato al curatore copre tutte le possibili pretese ed istanze strumentalmente pertinenti al conseguimento del previsto obiettivo principale del giudizio cui l’autorizzazione si riferisce, col solo limite della necessità di munirsi di nuova autorizzazione per i gradi di giudizio successivi.
Per l’emissione di una sentenza di condanna risarcitoria generica ex art. 278 c.p.c., necessaria e sufficiente è l’esistenza dell’illecito (e quindi l’illegittimità delle condotte rimproverate agli ex componenti degli organi amministrativi e di controllo convenuti) e la sua portata dannosa, sommariamente accertate secondo valutazione probabilistica. La quantificazione della provvisionale presuppone invece la valutazione positiva del giudice di merito circa il raggiungimento della prova piena su quella certa quantità di danno che ne costituisca l’oggetto.
La partecipazione personale dell’organo amministrativo nell’assemblea dei soci per la presentazione e la discussione del progetto di bilancio ai fini dell’approvazione del medesimo costituisce un dovere dell’amministratore, non delegabile a terzi in quanto trattasi di attribuzione esclusiva, con conseguente annullabilità della delibera ex art. 2479-ter, comma 1, c.c., in quanto adottata su proposta di un soggetto non abilitato in assenza del vero organo amministrativo.
La comunicazione inviata dal legale dell’amministratore e non da quest’ultimo, ed indirizzata al legale dei soci e non a quest’ultimi direttamente, non può in alcun modo ritenersi equipollente alla comunicazione volta ad avviare il procedimento di approvazione scritta [nel caso di specie, un messaggio di posta elettronica certificata conteneva la chiosa “Si allega: bilancio al 31.12.2019 da approvarsi per iscritto”].
La dovuta collaborazione alle verifiche consortili imposta dal regolamento del consorzio obbligatorio di filiera non può ridursi alla sola consegna della documentazione che l’impresa verificata sceglie di mettere a disposizione del consorzio, autorizzandola a negare quella che ritiene di tenere “segreta”, ma si sostanzia (anche in forza della canone della buona fede oggettiva ex art. 1175 c.c.) nella messa a disposizione integrale di tutta la documentazione necessaria e sufficiente all’emersione dell’intero debito contributivo.