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Principi circa la responsabilità degli amministratori
Gravano in esclusiva sull’amministratore della società gli obblighi di buona, competente e diligente gestione (art. 2380-bis e 2381 c.c., valevoli...

Gravano in esclusiva sull’amministratore della società gli obblighi di buona, competente e diligente gestione (art. 2380-bis e 2381 c.c., valevoli anche per le s.r.l.) e l’amministratore che eventualmente decida di informare il suo comportamento a direttive altrui, o permetta che altri si ingeriscano, non è per questo sollevato dalle responsabilità conseguenti alle attività gestorie che egli abbia posto in essere, omesso o tollerato altri ponessero in essere.

L’addebito di mala gestio dell’amministratore di società ha natura di addebito di illecito contrattuale, posto che si fonda sulla violazione dei doveri che l’amministratore deve adempiere in virtù del proprio rapporto gestorio verso la società medesima. Pertanto, per quanto riguarda gli oneri probatori, essi seguono le regole del tipo di domanda: spetta alla società allegare l’illecito (compresi gli elementi che rendono illecita la condotta addebitata, se occorrenti) e provare nesso causale e danno; spetta all’amministratore provare di avere invece diligentemente operato.

Qualora l’amministratore abbia predisposto bilanci non veritieri quanto ai valori di magazzino esposti in valori eccedenti il vero, ciò integra una mera violazione di regole relative alla redazione del bilancio, che non può avere quale conseguenza l'obbligo risarcitorio in capo all'amministratore di incrementare la ricchezza della società così da renderla eguale al valore fittizio indicato in bilancio. Aver simulato ricchezza, infatti, comporta semplicemente l’apparenza di una ricchezza inesistente, ma la ricchezza sostanziale della società, in sé, non cambia, in quanto l’atto rappresentativo dell’amministratore non ha incidenza sulla realtà sottostante.

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La determinazione del pericolo di pregiudizio per la garanzia patrimoniale del creditore nel sequestro conservativo
In tema di sequestro conservativo il pericolo di pregiudizio per la garanzia patrimoniale del creditore in relazione all’ammontare del credito...

In tema di sequestro conservativo il pericolo di pregiudizio per la garanzia patrimoniale del creditore in relazione all’ammontare del credito azionato, deve essere valutato sulla base dei seguenti principi: 1) irrilevanza, ai fini della sua dimostrazione, del mero convincimento del creditore eo di mere ipotesi; 2) esclusiva rilevanza del riferimento ad indici oggettivamente rilevabili e dimostrabili, pur se dotati di rilievo solo indiziario (ad es. anomale e affrettate alienazioni di beni del debitore); 3) riferibilità tanto ad elementi obiettivi concernenti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all'entità del credito (in via esemplificativa si pensi quali le cattive condizioni economiche risultanti da pignoramenti, azioni esecutive etc.), tanto ad elementi soggettivi evincibili dal comportamento del debitore, tali da lasciare presumere che egli, al fine di sottrarsi all'adempimento, ponga in essere atti dispositivi idonei a provocare l'eventuale depauperamento del suo patrimonio; 4) conseguente sufficienza di una valutazione sommaria di probabilità attuale e concreta di un pericolo di verificazione di un depauperamento del patrimonio del debitore, non necessitando che il pericolo consista in un depauperamento in atto del debitore stesso; 5) riferimento, quale parametro complessivo di valutazione del periculum da parte del giudice, alla necessità di un prudente ed equo contemperamento dei riferiti elementi oggettivi e soggettivi, ove compresenti, pur non dovendo essere i detti criteri di valutazione necessariamente concorrenti, ma risultando invece questi tra di loro in rapporto di alternatività.

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Regime di postergazione dei finanziamenti dei soci nella s.n.c.: limiti di applicabilità
Il regime della postergazione di cui all’art. 2467 c.c. per i finanziamenti eseguiti dai soci nei confronti della s.r.l. è...

Il regime della postergazione di cui all'art. 2467 c.c. per i finanziamenti eseguiti dai soci nei confronti della s.r.l. è previsto dal legislatore a tutela dei creditori della s.r.l. e in considerazione del fatto che nella s.r.l. la responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali è limitata all'ammontare conferito. Diversamente, tale ratio non ricorre nel caso di una s.n.c., in quanto i soci di questa sono illimitatamente responsabili delle obbligazioni della società e i creditori sociali possono contare anche sulla garanzia generica data dal patrimonio dei soci. Ciò vale anche per il caso del socio defunto, posto che gli eredi del medesimo sono comunque illimitatamente responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al giorno in cui si è verificato il decesso del socio (cfr. art. 2290 c.c.).

In ipotesi di domande di liquidazione della quota del socio defunto e di rimborso del finanziamento da parte dell'erede nei confronti della società, quest'ultimo è legittimato a convenire in giudizio anche i soci superstiti della medesima per procurarsi un titolo esecutivo nei confronti di questi ultimi. L'autonomia patrimoniale tipica della s.n.c., infatti, implica che i soci siano solidalmente e illimitatamente responsabili con la società relativamente al pagamento delle obbligazioni sociali (art. 2291 c.c.), tra le quali vi sono anche il debito verso l’erede del socio defunto avente ad oggetto il valore di liquidazione della quota di quest’ultimo e i debiti per finanziamenti erogati dai soci; né i soci convenuti in giudizio possono invocare il beneficio di escussione previsto dall’art. 2304 c.c., posto che quest’ultima norma vale soltanto in fase esecutiva e non impedisce al creditore di agire in sede di cognizione per procurarsi il titolo esecutivo nei confronti dei soci superstiti.

Il legittimario totalmente pretermesso non diventa erede per effetto della mera apertura della successione ma soltanto a seguito del positivo esperimento dell’azione di riduzione.

Ai fini dell'individuazione della natura di un finanziamento a favore della società, non sono rilevanti le modalità con le quali i versamenti sono stati eseguiti, ma il risultato finale, ossia che, attraverso i medesimi, il socio contribuisce al fabbisogno finanziario della società. Laddove il soggetto che li ha erogati sia lo stesso tenuto a iscrivere gli importi nella contabilità sociale, va attribuita valenza decisiva alle modalità con le quali gli importi sono stati iscritti.

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Divieto di assistenza finanziaria ex art. 2358 c.c.: applicabilità alle società cooperative per azioni ed alle banche popolari
L’art. 2358 c.c., nel testo vigente dal 2008, prevede un divieto in generale per la società per azioni di accordare...

L’art. 2358 c.c., nel testo vigente dal 2008, prevede un divieto in generale per la società per azioni di accordare prestiti e di fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni, consentendo alla società di concedere “assistenza finanziaria” solo alle condizioni specificate nella norma stessa, tra cui vi è la necessità che dette operazioni siano preventivamente autorizzate dall’assemblea straordinaria, dovendo essere illustrate nella relazione accompagnatoria degli amministratori indicante le relative condizioni, quali il prezzo delle azioni, l’interesse praticato, la valutazione del merito creditizio dell’acquirente, nonché indicante la convenienza rispetto alle ragioni, agli obiettivi imprenditoriali, ai rischi che esse comportano per la solvibilità e la liquidità della società, dovendo il verbale dell’assemblea e la relazione degli amministratori essere iscritti nel registro delle imprese. Da detta disciplina emerge che l’interesse preminente tutelato dal legislatore è quello della società e dei creditori all’integrità del capitale sociale; interesse rilevante anche per le società cooperative per azioni, alle quali si ritiene applicabile la norma in esame.
Tale norma non è, infatti, incompatibile con la finalità mutualistica propria delle cooperative, tanto che l’art. 2529 c.c. prevede una regolamentazione specifica in tema di acquisto di azioni proprie, pur non derogando espressamente alla disciplina delle altre operazioni vietate, quali quelle di assistenza finanziaria.
L’art. 2358 c.c. è inoltre applicabile anche alle banche popolari, a seguito dell’entrata in vigore del nuovo testo unico bancario, introdotto con il D.lgs. n. 310/2004, che all’art. 150 bis indica espressamente quali norme del codice civile non si applicano alle banche popolari, non escludendo il citato art. 2358 c.c. dal novero delle norme applicabili.
L’art. 2358 c.c. che prevede le condizioni che rendono possibile l’assistenza finanziaria, afferma nel suo principio generale un divieto che ha carattere imperativo, posto che detto divieto, laddove non derogato in ragione della sussistenza delle condizioni di ammissibilità dell’assistenza finanziaria, è diretto ad impedire operazioni che possano determinare un’erosione anche potenziale del capitale sociale, nell’interesse anche dei creditori della società.
Ne consegue che la violazione dell’art. 2358 c.c., che prevede obblighi comportamentali aventi come destinatari gli organi sociali, produce effetti non solo in ambito “endosocietario” ma determina anche una nullità negoziale (nella fattispecie in esame, è stata ravvisata una nullità negoziale nel rapporto tra la banca e il cliente in quanto ricorreva un collegamento tra negozi volto al perseguimento di quello specifico comune interesse costituito dall’acquisto finanziato dalla Banca delle azioni proprie della stessa, con ciò integrandosi sul piano negoziale la violazione di una norma imperativa comportante nullità negoziale).

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Clausola compromissoria e competenza arbitrale
L’indisponibilità del diritto conteso costituisce l’unico limite posto all’autonomia negoziale nella devoluzione agli arbitri della risoluzione delle controversie nascenti dal...

L’indisponibilità del diritto conteso costituisce l’unico limite posto all’autonomia negoziale nella devoluzione agli arbitri della risoluzione delle controversie nascenti dal vincolo societario e previsto dall’art. 34 comma 1 del d. lgs. 5/2003, secondo cui “Gli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell'articolo 2325-bis del codice civile, possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale”.
Nella delimitazione della categoria delle controversie societarie aventi ad oggetto diritti indisponibili la giurisprudenza di legittimità ha espresso, in relazione alle impugnazioni di delibere assembleari, un orientamento più drastico secondo cui l'area della non compromettibilità è ristretta all'assoluta indisponibilità del diritto e, quindi, alle sole nullità insanabili, inducendo a considerare compromettibili in arbitri anche tutte le impugnazioni per nullità delle delibere assembleare soggette a termini di decadenza, e un orientamento più elastico che configura l’indisponibilità del diritto solo laddove l’impugnazione riguardi censure relative alla violazione di norme che trascendono l’interesse del socio in quanto tale, coinvolgendo invece interessi dell’intera collettività.
I diritti contenziosi non possono essere ritenuti indisponibili e, dunque, non compromettibili in arbitri, laddove le censure attengono non alla violazione di norme imperative poste a tutela dell’interesse generale dei terzi e del mercato, quanto alla violazione di disposizioni a rilevanza meramente endosocietaria.

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Clausola compromissoria e competenza arbitrale
L’indisponibilità del diritto conteso costituisce l’unico limite posto all’autonomia negoziale nella devoluzione agli arbitri della risoluzione delle controversie nascenti dal...

L’indisponibilità del diritto conteso costituisce l’unico limite posto all’autonomia negoziale nella devoluzione agli arbitri della risoluzione delle controversie nascenti dal vincolo societario e previsto dall’art. 34 comma 1 del d. lgs. 5/2003, secondo cui “Gli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell'articolo 2325-bis del codice civile, possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale”. L'area della non compromettibilità è ristretta all'assoluta indisponibilità del diritto e, quindi, alle sole nullità insanabili.
Nella delimitazione della categoria delle controversie societarie aventi ad oggetto diritti indisponibili la giurisprudenza di legittimità ha espresso, in relazione alle impugnazioni di delibere assembleari, un orientamento più drastico secondo cui l'area della non compromettibilità è ristretta all'assoluta indisponibilità del diritto e, quindi, alle sole nullità insanabili, inducendo a considerare compromettibili in arbitri anche tutte le impugnazioni per nullità delle delibere assembleare soggette a termini di decadenza, e un orientamento più elastico che configura l’indisponibilità del diritto solo laddove l’impugnazione riguardi censure relative alla violazione di norme che trascendono l’interesse del socio in quanto tale, coinvolgendo invece interessi dell’intera collettività.
Ciò premesso, anche a voler seguire l’orientamento più elastico, i diritti contenziosi non possono essere ritenuti indisponibili e, dunque, non compromettibili in arbitri, laddove le censure attengono non alla violazione di norme imperative poste a tutela dell’interesse generale dei terzi e del mercato, quanto alla violazione di disposizioni a rilevanza meramente endosocietaria.

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Invalidità della delibera di scioglimento della società per abuso della maggioranza
Il fondamento positivo della fattispecie concretante l’abuso della maggioranza sta nelle clausole generali di correttezza e buona fede oggettiva nell’esecuzione...

Il fondamento positivo della fattispecie concretante l’abuso della maggioranza sta nelle clausole generali di correttezza e buona fede oggettiva nell’esecuzione del contratto; il canone della buona fede rileva come limite esterno all’esercizio del diritto di voto nel senso che il socio può liberamente esercitare le sue scelte per il soddisfacimento dei suoi interessi individuali con il limite dell’altrui potenziale danno accompagnato da un esercizio di voto fraudolento ovvero ingiustificato.
La stessa disciplina legale del fenomeno societario consente a che la maggioranza dei soci ponga fine all'impresa comune senza subordinare tale decisione ad alcuna condizione e, in applicazione del principio di buona fede in senso oggettivo al quale deve essere improntata anche l'esecuzione del contratto di società, il socio di maggioranza può esercitare liberamente e legittimamente il diritto di voto per il perseguimento di un proprio interesse fino al limite esterno dell'altrui potenziale danno. L'abuso della regola di maggioranza (altrimenti detto abuso o eccesso di potere) è, quindi, causa di annullamento delle deliberazioni assembleari allorquando la delibera non trovi alcuna giustificazione nell'interesse della società - per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale - oppure sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione (nel caso di specie si deduce il diritto di partecipare alla gestione della società) e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza "uti singuli".
Va tenuto presente che la società non è portatrice di un interesse alla prosecuzione della sua attività di impresa e che rientra tra gli interessi dedotti nel contratto di società anche quello di scioglimento anticipato ex art 2484 n. 6) c.c., quindi può individuarsi in questa fattispecie l’ipotesi dell’abuso se la decisione è stata assunta con lo scopo e l’intendo esclusivo di danneggiare il socio di minoranza.
Ciò posto, risulta evidente come resti preclusa ogni possibilità di valutazione dei motivi che abbiano indotto la maggioranza alla votazione della delibera di scioglimento anticipato della società, essendo insindacabili le esigenze personali, individuali del socio che possano averlo indotto a votare per tale soluzione, se si esclude quell’esercizio "ingiustificato" ovvero "fraudolento" del potere di voto ad opera dei soci maggioritari posto come limite esterno al voto.

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Cause d’ineleggibilità e di decadenza dei sindaci
I sindaci devono svolgere il loro incarico con obiettività e integrità e nell’assenza di interessi, diretti o indiretti, che ne...

I sindaci devono svolgere il loro incarico con obiettività e integrità e nell'assenza di interessi, diretti o indiretti, che ne compromettano l'indipendenza; la compromissione dell'indipendenza del sindaco sussiste non solo quando il controllore sia direttamente implicato nell'attività sulla quale dovrebbe esercitare il controllo, ma anche quando l'attività di consulenza sia prestata da un socio o un collaboratore dello studio di cui faccia parte il sindaco. L'espressione “altri rapporti patrimoniali che ne compromettano l'indipendenza" all’art. 2299 c.c., nella sua indeterminatezza, infatti, affida al prudente apprezzamento del giudice di merito l'individuazione del criterio da seguire nella concreta fattispecie sottoposta al suo esame. L'ineleggibilità e la decadenza del sindaco, conseguenti alla mancanza del requisito dell'indipendenza, operano automaticamente, anche in assenza di un procedimento accertativo, perché rendono nulla la delibera di nomina per illiceità dell'oggetto, anche con riferimento al "gruppo di fatto". L’esercizio di fatto della funzione da parte del sindaco ineleggibile o decaduto trova il suo titolo non certo nel rapporto sindacale – di natura contrattuale ed avente ad oggetto la prestazione di un’opera professionale verso l’obbligo della società di pagare il corrispettivo pattuito – che non può essere instaurato o vien meno, ma appunto nel mero fatto che del suo esercizio operato volontariamente dal professionista.

 

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Delibera negativa e abuso o eccesso di potere
Deve ritenersi senz’altro ammissibile l’impugnazione della delibera a contenuto negativo. Ove il giudice accolga l’impugnazione, dovrà emettere una sentenza che...

Deve ritenersi senz'altro ammissibile l'impugnazione della delibera a contenuto negativo. Ove il giudice accolga l'impugnazione, dovrà emettere una sentenza che assicuri la c.d. tutela reale in presenza della relativa domanda, con accertamento della diversa deliberazione, frutto di una volontà non viziata.

Ai sensi dell'art. 2479 ter, comma 2, rileva il solo conflitto tra l'interesse della società e quello perseguito dal socio, il cui voto è stato determinante per l'adozione della delibera, e non la situazione di conflitto tra i vari soci che possono avere degli interessi diversi e che devono essere liberi di esprimere il proprio voto a vantaggio della propria posizione personale. Il conflitto di interessi, in particolare, è un vizio rilevante per l'annullamento di una delibera assembleare solo qualora la scelta del voto sia stata adottata per conseguire interessi extrasociali e, quindi, in danno della società.

L'abuso o eccesso di potere è causa di annullamento o di invalidità delle deliberazioni assembleari allorquando la delibera non trovi alcuna giustificazione nell'interesse della società e costituisca una deviazione dell'atto dallo scopo economico-pratico del contratto per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico rispetto a quello sociale ovvero quando costituisca il portato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci di maggioranza diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli. L'attore, in questo caso, ha l'onere di allegare i c.d. sintomi di illiceità della delibera e di dimostrare che i comportamenti del socio di maggioranza siano rispondenti ad un esercizio fraudolento del diritto di voto ovvero nella compressione degli altrui diritti in assenza di apprezzabile interesse del votante, non potendo essere considerata abusiva la mera valutazione discrezionale – da parte del medesimo socio di maggioranza – dei propri interessi.

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Holding di fatto di tipo personale
la Holding di fatto di tipo personale può assumere anche la veste di una società di persone di fatto, composta...

la Holding di fatto di tipo personale può assumere anche la veste di una società di persone di fatto, composta dunque da due o più persone fisiche, ed esiste per il sol fatto di esser stata costituita tra i soci col fine della direzione unitaria delle società commerciali figlie, vale a dire per l’effettivo esercizio dell’attività di direzione e controllo esplicitamente considerata dagli artt. 2497 e seg. cod. civ., per essere stati i soci animati dall’intento di far operare le singole società eterodirette come strumenti strategici per un interesse sovradimensionato, corrispondente all’interesse della Holding.
L’Holding di tipo personale (che abbia assunto la veste di società di fatto), agisce dunque in nome proprio per il perseguimento di un risultato economico da ottenersi attraverso l'attività svolta, professionalmente, con l'organizzazione ed il coordinamento dei fattori produttivi del proprio gruppo d'imprese. Deve trattarsi, cioè, di una stabile organizzazione volta a determinare l'indirizzo, il controllo ed il coordinamento di altre società (non limitandosi al mero esercizio dei poteri inerenti alla qualità di socio): il che, appunto, ne consente la configurabilità come un'autonoma impresa assoggettabile a fallimento sia quando la suddetta attività si esplichi nella sola gestione del gruppo, sia quando abbia natura ausiliaria o finanziaria.
In quest'ottica, allora, le società coordinate devono risultare destinate a realizzare un medesimo scopo economico non corrispondente con quello proprio ed autonomo di ciascuna di queste esse, né coincidente con un mero godimento degli utili eventualmente prodotti dalle medesime. Peraltro, se è pacifico che, in caso di attività di direzione e coordinamento abusiva, l'holder miri a realizzare un fine di lucro tendenzialmente distinto da quello perseguito dalle singole società eterodirette, esso può, tuttavia, anche coincidere con quest'ultimo, allorquando il profitto conseguito rifluisce nel patrimonio dell'imprenditore capogruppo. Non occorre, per converso, che l'attività di direzione risulti idonea a far conseguire al gruppo vantaggi economici diversi ed ulteriori rispetto a quelli realizzabili in mancanza dell'opera di coordinamento, né che le attività di servizi realizzate dall'holder disvelino un'economicità autonoma rispetto a quella propria delle attività svolte dalle società controllate. Trattandosi di società occulta, l’esistenza della stessa non può essere ricercata nelle risultanze formali dei pubblici registri, ma è dimostrata alla presenza di alcuni elementi sintomatici individuati dalla dottrina e giurisprudenza, quali, a titolo esemplificativo, l’identità (anche parziale) delle compagini sociali e delle sedi delle società eterodirette; la presenza dei soci della Holding di fatto, con funzione di gestione, nelle medesime società; la identità dell'oggetto sociale tra le società del gruppo; l’esistenza di rapporti infragruppo quali ad esempio, cessioni di ramo aziendale; finanziamenti infragruppo o spostamenti di flussi di denaro intercorsi tra le tre società appartenenti al gruppo.

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Compenso del sindaco unico e compensazione
E’ legittima la compensazione tra il credito del sindaco unico al compenso ed il credito della società derivante dal godimento...

E' legittima la compensazione tra il credito del sindaco unico al compenso ed il credito della società derivante dal godimento del sindaco di un bene aziendale. Tale accordo, pur non potendo modificare né sostituire quanto stabilito dall’assemblea dei soci in merito al compenso dovuto, può tuttavia incidere sulla determinazione del quantum effettivamente dovuto al sindaco.

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L’adeguatezza dell’assetto contabile-amministrativo: requisiti
Un sistema amministrativo-contabile può ritenersi adeguato quando permette la completa, tempestiva ed attendibile rilevazione contabile, la rappresentazione dei fatti di...

Un sistema amministrativo-contabile può ritenersi adeguato quando permette la completa, tempestiva ed attendibile rilevazione contabile, la rappresentazione dei fatti di gestione, la produzione di informazioni valide ed utili per le scelte di gestione e per la salvaguardia del patrimonio aziendale, la produzione di dati attendibili per la formazione del bilancio di esercizio. Un assetto amministrativo adeguato deve dunque consentire di documentare e ricostruire l'attività di impresa, anche attraverso la prova dei titoli e dell'oggetto dei principali rapporti creditori e debitori.

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