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Diritto del socio di minoranza agli utili nella S.p.a..
La decisione dell’assemblea dei soci di una società per azioni di destinare gli utili d’esercizio a riserva straordinaria, anziché distribuirli,...

La decisione dell'assemblea dei soci di una società per azioni di destinare gli utili d'esercizio a riserva straordinaria, anziché distribuirli, rientra nel legittimo esercizio del potere discrezionale riconosciuto dalla legge alla maggioranza assembleare. Tale scelta è censurabile solo se è frutto di iniziative dei soci di maggioranza volte ad acquisire indebiti vantaggi a danno degli altri soci; se è volta intenzionalmente a perseguire un obiettivo contrario all'interesse sociale, o se è finalizzata a ledere la posizione degli altri soci, violando il principio di buona fede nell'esecuzione del contratto sociale.
Spetta al socio di minoranza che impugna la delibera l'onere di provare che la decisione di non distribuire gli utili abbia ingiustificatamente sacrificato la sua legittima aspettativa a percepire la remunerazione del proprio investimento.
La destinazione degli utili a riserva, incrementando il patrimonio netto della società, accresce il valore di liquidazione o di scambio di tutte le partecipazioni sociali, incluse quelle di minoranza. Pertanto, in assenza di prove concrete di un pregiudizio o di una condotta dolosa preordinata dei soci di maggioranza, tale scelta non è sindacabile dall'autorità giudiziaria, rientrando nella discrezionalità imprenditoriale dell'assemblea.

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Delibera già eseguita e limiti operativi della tutela cautelare di cui all’art. 2378 c.c.
Lo strumento processuale di cui all’art. 2378, 3° e 4° comma, cc ha ad oggetto una tutela cautelare tipica, volta...

Lo strumento processuale di cui all’art. 2378, 3° e 4° comma, cc ha ad oggetto una tutela cautelare tipica, volta a paralizzare l’esecuzione della deliberazione impugnata, e costituisce un rimedio che per sua natura è distinto da quello, successivo, avente ad oggetto la caducazione della delibera stessa. La ratio della cautela prevista dall’art. 2378 cc è dunque quella di impedire che la delibera produca ulteriori effetti pregiudizievoli nell’attesa del giudizio di merito, e di assicurare che l’eventuale accoglimento della domanda non venga reso inutile dagli eventi che possono continuare a prodursi anche dopo l’impugnazione.

La tutela cautelare di cui all’art. 2378 cc trova applicazione non solo alle delibere che non sono ancora state eseguite, ma anche alle deliberazioni la cui esecuzione, pur avvenuta, continui ad esplicare effetti giuridici sull’organizzazione societaria, e quindi alle deliberazioni - quali la nomina dell’organo amministrativo o l’approvazione del bilancio - che, pur non abbisognevoli in senso proprio di atti esecutivi, o già iscritte presso il Registro delle Imprese con piena efficacia ed opponibilità nei confronti dei terzi, siano tuttavia suscettibili di esplicare i loro effetti pregiudizievoli per tutto il tempo in cui la situazione dalle stesse creata è destinata a perdurare. Tale impostazione si riferisce tuttavia alle deliberazioni per le quali non possa dirsi concretata una irreversibilità degli effetti, cioè le delibere suscettibili di dispiegare efficacia in modo continuativo. L’esaurimento degli effetti della deliberazione impugnata costituisce dunque il limite oltre il quale il provvedimento di sospensione non è più ammissibile, poiché l’adozione del provvedimento cautelare successivamente a tale momento non inciderebbe sugli effetti della deliberazione impugnata, ma ne integrerebbe una rimozione anticipata, che può discendere solo dalla pronuncia di merito, dalla quale possono derivare gli ulteriori effetti ripristinatori di cui all’art. 2377 cc, comma 7, e, eventualmente, anche gli effetti a cascata aventi ad oggetto la caducazione gli atti giuridici o negoziali posti in essere in esecuzione della deliberazione impugnata, ossia di effetti propri della sentenza costitutiva ex art. 2908 cc, che non possono discendere dalla sola sospensione cautelare della deliberazione.

Qualora la deliberazione abbia prodotto i suoi effetti, non è escluso il ricorso ad ulteriori rimedi cautelari, volti a paralizzare non tanto l’efficacia della deliberazione, ma gli effetti materiali dei negozi giuridici che costituiscono atti esecutivi della deliberazione e che potrebbero essere travolti dall’efficacia ripristinatoria della pronuncia di merito, non ravvisandosi dunque una concreta compressione del diritto di difesa costituzionalmente orientato ex art. 24 Cost , che viene appunto garantito dalla possibilità di aggredire gi atti esecutivi della delibera stessa utilizzando gli strumenti all’uopo riconosciuti dall’ordinamento processuale (quali, a titolo meramente esemplificativo, il sequestro giudiziario o la tutela cautelare ex art. 700 cpc).

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Criteri di liquidazione del compenso dell’amministratore giudiziario nominato ex art. 2409 c.c.
La quantificazione del compenso dell’amministratore giudiziario nominato ex art. 2409 c.c. non risulta vincolata da criteri normativi specifici, limitandosi l’ultimo...

La quantificazione del compenso dell'amministratore giudiziario nominato ex art. 2409 c.c. non risulta vincolata da criteri normativi specifici, limitandosi l'ultimo comma dell'art. 92 disp. att. c.c. ad affidare al Tribunale la "determinazione" del compenso.

Va escluso sia il riferimento ai parametri in tema di compenso agli ausiliari del giudice, sia il riferimento al compenso spettante ex D.P.R. n. 177/2015 all'amministratore giudiziario nominato ex art. 35 d.lgs. n. 159/2011, trattandosi di prestazioni non omogenee.

Il compenso va determinato in via equitativa tenendo conto dell'attività svolta dall'amministratore giudiziario, della tempestività, puntualità e completezza delle operazioni effettuate in esecuzione dell'incarico.

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Natura dell’obbligo del socio di cooperativa edilizia di versare un contributo annuale per spese di gestione
L’impegno – specificamente assunto dal socio di società cooperativa assegnatario di un alloggio in proprietà indivisa nel relativo atto di...

L’impegno – specificamente assunto dal socio di società cooperativa assegnatario di un alloggio in proprietà indivisa nel relativo atto di assegnazione in godimento – a versare un contributo annuale per le spese di gestione e per l’attività della società cooperativa nella misura determinata anno per anno dal consiglio di amministrazione costituisce la regolamentazione negoziale di un obbligo già gravante sull’assegnatario dell’alloggio in ragione della sua qualità di socio che ne sancisce l’obbligo di pagare il contributo nella misura stabilita di anno in anno dal consiglio di amministrazione, così che mentre la società può esigere il contributo annuale solo nella misura in cui è stato legittimamente determinato di anno in anno dal consiglio di amministrazione, il socio, nell’esecuzione del rapporto contrattuale, può solo contestare la divergenza tra le determinazioni degli organi sociali e la pretesa avanzata nei suoi confronti dalla cooperativa, mentre deve muovere le sue censure avverso le decisioni assunte in materia dal consiglio di amministrazione e dall’assemblea mediante l’impugnazione delle relative delibere.

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Della responsabilità di amministratori e sindaci di s.p.a.
Ai fini della responsabilità individuale extracontrattuale degli amministratori ex art. 2395 c.c. non è sufficiente l’inadempimento contrattuale astrattamente imputabile alla...

Ai fini della responsabilità individuale extracontrattuale degli amministratori ex art. 2395 c.c. non è sufficiente l’inadempimento contrattuale astrattamente imputabile alla società né una cattiva amministrazione del patrimonio sociale ma è richiesta la compresenza dei seguenti elementi: i) una condotta illecita dolosa o colposa ascrivibile al singolo amministratore; ii) un danno diretto al patrimonio del terzo; iii) il nesso eziologico tra la suddetta condotta ed il danno diretto sofferto. Non è sufficiente per integrare la fattispecie la presenza di carenze organizzative con riferimento ai presidi sulle situazioni di conflitto di interessi e di verifica del rispetto della normativa in materia di adeguatezza degli investimenti. Per configurare la responsabilità degli amministratori per danno diretto a terzi ex art. 2395 c.c., muovendo dall’inadempimento di obblighi organizzativi interni e rispetto a comportamenti che si prospettano in primis integranti inadempimenti contrattuali imputabili alla società amministrata [nel caso di specie investimenti negligenti e non avveduti], il terzo deve provare non solo che l’ assetto organizzativo ed amministrativo non era adeguato rispetto alla natura ed alle dimensioni dell’impresa finanziaria, ma anche e soprattutto, in modo preciso e puntuale: (i) quali sarebbero stati, ex ante ed evitando fuorvianti ricostruzioni ex post, gli specifici assetti adeguati rispetto all’impresa; (ii) che l’implementazione di tali adeguati assetti avrebbe evitato il prodursi dell’evento dannoso.

Il sistema di diritto societario configura in capo ai sindaci, ai sensi dell'art. 2407 c.c., una responsabilità per fatto proprio omissivo, da correlarsi alla condotta degli amministratori.
I doveri di controllo imposti ai sindaci sono certamente contraddistinti da una particolare ampiezza, poichè si estendono a tutta l'attività sociale, in funzione della tutela e dell'interesse dei soci e di quello, concorrente, dei creditori sociali. Di modo che ad affermarne la responsabilità può ben esser sufficiente l'inosservanza del dovere di vigilanza.
Questo accade, in particolare, quando i sindaci non abbiano rilevato una macroscopica violazione o non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, poiché in tal caso il mantenimento di un comportamento inerte implica che non si sia vigilato adeguatamente sulla condotta degli amministratori (o dei liquidatori) pur nella esigibilità di un diligente sforzo per verificare la situazione anomala e porvi rimedio, col fine di prevenire eventuali danni. Come in tutti i casi di concorso omissivo nel fatto illecito altrui, è però altrettanto certo che la fattispecie dell'art. 2407 c.c. richiede la prova di tutti gli elementi costitutivi del giudizio di responsabilità. E quindi: (i) dell'inerzia del sindaco rispetto ai propri doveri di controllo; (ii) dell'evento da associare alla conseguenza pregiudizievole derivante dalla condotta dell'amministratore (o, come nella specie, del liquidatore); (iii) del nesso causale, da considerare esistente ove il regolare svolgimento dell'attività di controllo del sindaco avrebbe potuto impedire o limitare il danno. Il nesso, in particolare, va provato da chi agisce in responsabilità nello specifico senso che l'omessa vigilanza è causa del danno se, in base a un ragionamento controfattuale ipotetico, l'attivazione del controllo lo avrebbe ragionevolmente evitato (o limitato). Il sindaco non risponde, cioè, in modo automatico per ogni fatto dannoso che si sia determinato pendente societate, quasi avesse rispetto a questo una posizione generale di garanzia. Egli risponde ove sia possibile dire che, se si fosse attivato utilmente (come suo dovere) in base ai poteri di vigilanza che l'ordinamento gli conferisce e alla diligenza che l'ordinamento pretende, il danno sarebbe stato evitato. Pertanto, l’assenza di una condotta illecita dolosa o colposa imputabile all’organo gestorio e foriera di danno diretto nei confronti del terzo ex art. 2395 c.c. conduce de plano ad escludere qualsivoglia responsabilità dell’organo di controllo per i medesimi addebiti.

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Poteri di convocazione dell’assemblea e di esclusione del socio nelle società a responsabilità limitata
I soci di società a responsabilità limitata, che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale, possono sottoporre alla decisione assembleare...

I soci di società a responsabilità limitata, che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale, possono sottoporre alla decisione assembleare determinati argomenti ex art. 2749, comma 1, c.c., rientrandovi dunque anche, per via estensiva, il potere di convocazione diretta su quegli stessi argomenti, anche in contrasto con la diversa opinione degli amministratori. Tale potere, peraltro, è configurato anche in deroga alle diverse previsioni statutarie -che non possono dunque neutralizzare, comprimendolo, tale diritto attribuito al singolo socio-, e comunque senza necessità di ricorrere ad alcun provvedimento del Tribunale, non essendo prevista con riferimento alle società a responsabilità limitata una norma quale l’art. 2367 c.c. dettata per le società per azioni.

L'art. 2473 c.c. richiede, ai fini dell'individuazione statutaria di cause di esclusione dei soci, il duplice requisito della specificità e della giusta causa: la specificità delle cause di esclusione statutarie è finalizzata ad ovviare possibili abusi degli altri soci e compendia l'impossibilità di prevedere una generica causa di esclusione per “gravi inadempienze”, dovendo essere specificate quelle particolari condotte ritenute idonee a determinare la risoluzione del rapporto sociale, affinché l'esclusione del socio non dipenda dalla mera volontà della maggioranza, ma si configuri come conseguenza rispetto al verificarsi di circostanze previste ex ante nell'atto costitutivo e corrispondenti ad un catalogo statutario; la giusta causa, invece, limita le ipotesi in cui sia possibile escludere il socio, legittimando tale deliberazione solamente al verificarsi di condotte realmente idonee a compromettere le finalità sociali, ossia scelte che - pur previste nello Statuto - siano incompatibili con la prosecuzione del rapporto di fiducia.

In ossequio al requisito di specificità delle cause statutarie di esclusione, deve ritenersi contraria alla legge la previsione statutaria che non individui specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa e lasci alla discrezionalità dei soci la decisione in relazione all'esclusione medesima,

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Difetto di legittimazione alla denuncia ex art. 2409 c.c. del sindaco dimissionario
Il ricorso proposto ai sensi dell’art. 2409 c.c. dal Presidente del Collegio sindacale dimissionario è inammissibile per difetto di legittimazione...

Il ricorso proposto ai sensi dell'art. 2409 c.c. dal Presidente del Collegio sindacale dimissionario è inammissibile per difetto di legittimazione alla denuncia.

La previsione della legittimazione a proporre la denuncia del Collegio sindacale, riferita all'organo collegiale in carica e non ai suoi singoli componenti, non consente di riconoscere alcuna legittimazione in capo ai singoli componenti del cessato organo di controllo.

La fattispecie della rinuncia del sindaco alla carica prima della scadenza è disciplinata dall'art. 2401 c.c. con la previsione del subentro ai sindaci dimissionari dei componenti supplenti e dell'onere dell'assemblea, nel caso in cui con i sindaci supplenti non sia completa la compagine del collegio sindacale, di convocare immediatamente l'assemblea per l'integrazione dell'organo di controllo, senza possibilità di "prorogatio" dei membri dimissionari, prevista dall'ordinamento, dopo la riforma del diritto societario del 2003, all'art. 2400 comma 1 c.c. solo nell'ipotesi specifica della scadenza del termine.

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Liquidazione della quota del defunto: tutela dei diritti dei terzi in buona fede
L’impugnativa di una delibera assembleare che dispone l’utilizzo di riserve al fine di liquidare la quota del socio defunto in...

L'impugnativa di una delibera assembleare che dispone l'utilizzo di riserve al fine di liquidare la quota del socio defunto in favore degli eredi non può sovvertire gli effetti del già avvenuto pagamento (in favore degli eredi), in virtù della regola di salvezza dei diritti dei terzi in buona fede ex art. 2388, ultimo comma, c.c., espressione di principio generale.

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Questioni in tema di azione di responsabilità nei confronti di amministratori di s.r.l
La legittimazione attiva alla proposizione dell’azione di responsabilità nei confronti di amministratori della s.r.l. non è di competenza esclusiva del...

La legittimazione attiva alla proposizione dell’azione di responsabilità nei confronti di amministratori della s.r.l. non è di competenza esclusiva del socio ma disgiuntiva e concorrente rispetto a quella che può intentare la società, della quale il socio assume la veste di sostituto processuale. L’art. 2476, comma 3, c.c. riconosce, infatti, al socio di s.r.l. una legittimazione straordinaria riconducibile alla figura della sostituzione processuale contemplata dall’art. 81 c.p.c.; tale legittimazione pur presentando «assonanze col diritto di agire in via surrogatoria ex art. 2900 c.c., non può considerarsi puntuale declinazione di tale diritto.
Per quanto in concreto infrequente, non può escludersi che la società deliberi l’azione di responsabilità contro l’amministratore senza deliberarne preventivamente la revoca, scelta neppure ritenuta automatica rispetto all’azione di responsabilità.
Il Presidente dell'assemblea non ha il potere di escludere dal voto gli amministratori di fatto nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità. Invero tale potere non discende né dalla regola di cui all’art. 2373 c.c. per cui “gli amministratori non possono votare nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità”: tale disposizione disciplina l’ipotesi di conflitto di interesse del solo socio-amministratore di diritto, ma non può essere estesa anche al socio-amministratore di fatto; né dalla disposizione di cui art. 2368 c.c. per cui è il socio che si ritiene in conflitto di interessi a dichiarare che intende astenersi.

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Azione revocatoria ordinaria: il requisito della scientia damni
In tema di azione revocatoria ordinaria degli atti a titolo gratuito (nella specie negozio costitutivo di fondo patrimoniale), il requisito...

In tema di azione revocatoria ordinaria degli atti a titolo gratuito (nella specie negozio costitutivo di fondo patrimoniale), il requisito della "scientia damni" richiesto dall'art. 2901, comma 1, n. 1), c.c. si risolve, non già nella consapevolezza dell'insolvenza del debitore, ma nella semplice conoscenza del danno che ragionevolmente può derivare alle ragioni creditorie dal compimento dell'atto.

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Cessione di partecipazioni sociali: buona fede, garanzie e qualità promesse
Posto che la clausola generale di buona fede nell’esecuzione del contratto impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di...

Posto che la clausola generale di buona fede nell’esecuzione del contratto impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali e da quanto espressamente stabilito da singole norme di legge e che in virtù di tale principio ciascuna parte è tenuta, da un lato, ad adeguare il proprio comportamento in modo da salvaguardare l’utilità della controparte e, dall’altro, a tollerare anche l’inadempimento della controparte che non pregiudichi in modo apprezzabile il proprio interesse, nel caso di cessione di partecipazioni sociali non si configura alcuna violazione della clausola di buona fede, né sorgono obblighi ulteriori e diversi da quelli previsti nel contratto con riferimento al raggiungimento di obiettivi imprenditoriali della società target. Pertanto in assenza di elementi che provino la specifica assunzione di determinate obbligazioni in capo alla cedente ulteriori rispetto a quelle nascenti dal contratto di cessione, la mancanza di redditività dell’investimento nella target non può essere invocato ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1460 c.c. quale inadempimento della cedente da parte della cessionaria che, in forza exceptio non adimpleti contractus rifiuti di adempiere all’obbligazione di pagamento del prezzo della cessione delle quote cedute. Né la consistenza patrimoniale della società target assume rilevanza, ai fini dell’azione di cui all’art. 1427 - 1429 c.c. (annullamento per errore) e a quella di cui all’art. 1497 c.c. (risoluzione per mancanza delle qualità promesse o essenziali), ove non sia stata prevista una specifica garanzia in tal senso assunta dal venditore; diversamente il difetto di qualità, previsto come causa di annullamento può riguardare solo la qualità dei diritti e degli obblighi, che la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire, e non anche la qualità dei beni che costituiscono il patrimonio sociale (fermo, in ogni caso, il regime decadenziale di cui all’art. 1495 c.c.).

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