L'autorizzazione del sequestro giudiziario ex art. 670 c.p.c. presuppone la sussistenza di una controversia sulla proprietà o sul possesso del bene e l'opportunità di provvedere alla sua custodia o alla sua gestione temporanea, essendo irrilevante la capacità di gestione del bene da parte di chi lo possiede.
In relazione al requisito del periculum in mora per la concessione del sequestro giudiziario, non si richiede, come per il sequestro conservativo, che ricorra il pericolo, concreto ed attuale, di sottrazione o alterazione del bene, essendo invece sufficiente, ai fini dell'estremo dell'opportunità richiesto dall'art. 670 n. 1 cod. proc. civ., che lo stato di fatto esistente in pendenza del giudizio comporti la mera possibilità, sia pure astratta, che si determinino situazioni tali da pregiudicare l'attuazione del diritto controverso.
Nel caso di sopravvenuta inefficacia del contratto per avveramento della condizione risolutiva, l'autonomia contrattuale può derogare all'applicazione, in via generale, delle norme relative all’indebito giusta il combinato disposto degli articoli 1353 e 1360 c.c. [nel caso di specie, il Tribunale ha reputato legittima la previsione, per tale ipotesi, della restituzione del doppio degli importi convenuti a titolo di caparra].
Proposta domanda di ripetizione di indebito, l'attore ha l'onere di provare l'inesistenza di una giusta causa delle attribuzioni patrimoniali compiute in favore del convenuto, ma solo con riferimento ai rapporti specifici tra essi intercorsi e dedotti in giudizio, costituendo una prova diabolica esigere dall'attore la dimostrazione dell'inesistenza di ogni e qualsivoglia causa di dazione tra solvens e accipiens.
La delibera assembleare con cui la società decide la vendita di un immobile per ripianare l’esposizione debitoria e risanare la situazione finanziaria non è illegittima per abuso della maggioranza, non essendo diretta al perseguimento di un interesse dei soci di maggioranza personale e antitetico rispetto a quello sociale o teso alla lesione intenzionale gli interessi del socio di minoranza, bensì alla tutela dell’interesse sociale. Ciò tanto più ove il prezzo di cessione del cespite sia di mercato e non vile e ove l’immobile alienato non sia strumentale all’attività sociale. Sotto il profili risarcitorio, poi, il singolo socio non è legittimato a pretendere alcun risarcimento del danno per l’eventuale pregiudizio subito per pretesa dismissione a prezzo non congruo di un cespite sociale, potendo solo agire per il danno diretto subito nella sua qualità di socio e non per danno indiretto, patito direttamente dalla società.
Il difetto di legittimazione del soggetto che ha predisposto la bozza di bilancio - per essere l’amministratore di fatto della società, non investito efficacemente dall’assemblea della carica - non si trascina né inficia la costituzione dell'assemblea né le sue scelte, poiché tale vizio è circoscritto alla sola fase di redazione della bozza. Nel momento in cui tale bozza è presentata all'assemblea e approvata a maggioranza dei soci, il vizio di procedibilità è assorbito dall'espressione dei volontà dei soci. Costituisce, invece, un vizio rilevante ai fini dell’annullabilità della delibera il mancato deposito del progetto di bilancio e dei suoi allegati presso la sede sociale nei quindici giorni precedenti all’assemblea ai sensi dell’art. 2429, comma 3 c.c. richiamato dall’art. 2429 ter c.c..
Per ritenere insufficiente la verbalizzazione della delibera assembleare non rileva la eventuale mancata compiuta indicazione dell’intervento del soggetto revocato, che non attiene alla dichiarazione di voto del socio unico ed atteso che la revoca può essere disposta (art. 2383 c.c.) anche senza giusta causa, per il solo venir meno del rapporto fiduciario, fatto salvo il risarcimento del danno.
Non può darsi luogo a pronunzia di nullità di delibera assembleare per la mancanza della sottoscrizione del verbale da parte del Presidente se ai sensi dell'art. 2377, co. 8, c.c. la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto.
La legittimazione ad agire spetta a chiunque faccia valere nel processo un diritto assumendo di esserne titolare. Ciò che rileva è la prospettazione. Naturalmente ben potrà accadere che poi, all'esito del processo, si accerti che la parte non era titolare del diritto che aveva prospettato come suo (o che la controparte non era titolare del relativo obbligo), ma ciò attiene al merito della causa, non esclude la legittimazione a promuovere un processo. L'attore perderà la causa, con le relative conseguenze, ma aveva diritto di intentarla.
La cessione delle azioni di una società di capitali o di persone fisiche ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale – e, di riverbero, alla consistenza economica della partecipazione – possono giustificare l’annullamento del contratto per errore o, ai sensi dell’art. 1497 c.c., la risoluzione per difetto di “qualità” della cosa venduta (necessariamente attinente ai diritti e obblighi che, in concreto, la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire e non al suo valore economico), solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un contraente, quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l’inganno ed idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza. Ciò vuol dire che – salvo il caso di dolo – in assenza di espresse garanzie contrattuali risulta preclusa alla parte la possibilità di chiedere sia l’annullamento del contratto per errore o la sua risoluzione ex art. 1497 c.c., sia qualsivoglia risarcimento, indennizzo o revisione del prezzo di compravendita delle partecipazioni a fronte di questioni inerenti la composizione del patrimonio della società partecipata.
Deve escludersi la competenza per materia delle Sezioni Specializzate in materia di impresa nel caso in cui la controversia, avuto riguardo al petitum e alla causa petendi della domanda attorea, non abbia ad oggetto un rapporto societario, poiché l’azione svolta non involge questioni inerenti la partecipazione sociale, che rileva solo in via mediata, ma attiene alla validità o meno di una serie di contratti di finanziamento asseritamente collegati ad acquisti azionari, rispetto ai quali l’acquisto delle azioni e la relativa titolarità non rileva quale partecipazione effettiva alle dinamiche societarie dell’impresa ovvero ai benefici di essa.
Secondo quanto previsto dall’art. 3, comma 2, D.lgs. n. 168 del 2003, sostituito dall’art. 2, comma 1 lett. d), d.l. n. 1 del 2012, conv. con modif. in l. n. 27 del 2012, nel testo attualmente in vigore, le Sezioni specializzate in materia di impresa sono competenti a conoscere, relativamente alle società ivi indicate, delle controversie relative ai rapporti societari e di quelle relative al trasferimento delle partecipazioni sociali od ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti. Deve essere pertanto esclusa la speciale competenza delle sezioni specializzate per l’impresa allorchè non di rapporto societario in senso proprio si tratti, ma di mero e occasionale coinvolgimento in causa, quale oggetto di pretese affatto estranee alla compagine societaria, di partecipazioni al capitale dell’ente collettivo.
Le scritture private provenienti da terzi estranei alla lite possono essere liberamente contestate dalle parti, non applicandosi alle stesse né la disciplina sostanziale di cui all'art. 2702 c.c., né quella processuale di cui all'art. 214 c.p.c., atteso che esse costituiscono prove atipiche il cui valore probatorio è meramente indiziario, e che possono, quindi, contribuire a fondare il convincimento del giudice unitamente agli altri dati probatori acquisiti al processo. La querela di falso civile ha, infatti, la finalità di privare il documento della sua efficacia probatoria privilegiata ed è ammissibile solo avverso il documento o la scrittura che ne siano dotati non essendo affatto necessaria per contestare ed accertare la non corrispondenza al vero delle risultanze di scritture che non fanno piena prova fino a querela di falso.
In tema di responsabilità degli amministratori ex artt. 2486 e 2476 c.c., risponde direttamente verso il terzo creditore l’amministratore che, successivamente alla perdita del capitale sociale e in assenza di tempestiva convocazione dell’assemblea per l’adozione delle misure necessarie, contragga obbligazioni non riconducibili a finalità meramente conservative. In tale ipotesi non può essere invocata l’esenzione prevista dalla normativa emergenziale (art. 1, comma 266, l. 178/2020) qualora l’assemblea non sia stata convocata “senza indugio”, né la perdita correttamente documentata nella nota integrativa.
Non rispondono, invece, gli amministratori nominati successivamente ove la durata del mandato sia stata talmente breve da non permettere iniziative adeguate.
La responsabilità dei soci ex art. 2476, comma 8, c.c. non è configurabile in assenza di un consapevole comportamento positivo di adesione all’illecito dell’amministratore.
La giusta causa di revoca dell'amministratore di società di persone sussiste nel caso di situazioni sopravvenute (provocate o meno dall'amministratore stesso) che minino il pactum fiduciae, elidendo l'affidamento inizialmente riposto sull'idoneità dell'organo di gestione o nel caso di violazioni di obblighi di lealtà, correttezza e di diligenza da parte dell'amministratore, che incidano negativamente sul carattere fiduciario del rapporto o rendano impossibile l'assolvimento del mandato, anche se in considerazione di circostanze obiettive ed estranee alla persona del revocato. Ad ogni modo, non deve necessariamente trattarsi di un grave inadempimento, fermo restando l’esigenza di situazioni sopravvenute che minino irrimediabilmente il rapporto fiduciario che deve intercorrere tra amministratore e società amministrata, non consentendone neppure in via provvisoria l’esecuzione. Nel rifiuto del socio di prestare consenso alla modifica dell'atto costitutivo non può ravvisarsi un grave inadempimento degli obblighi sociali che legittimi l'esclusione del socio.
Nella locuzione di “amministratore nominato con contratto sociale” di cui all’art. 2259 c.c. può farsi rientrare anche il socio amministratore nominato con l’atto, pur successivo a quello di originaria costituzione della società, con cui egli è entrato a far parte della compagine sociale. Anche in tale caso, infatti, tale atto realizza nei confronti del nuovo socio amministratore un contratto sociale, necessitando l’integrazione della compagine sociale dell’accettazione da parte di tutti i soci.
La revoca della facoltà di amministrare non risulta assimilabile alla nozione di sopravvenuta inidoneità a svolgere l’opera conferita ex art. 2286, 2 comma c.c.. La revoca dell’amministratore e l’esclusione del socio costituiscono situazioni distinte, legate a presupposti non necessariamente coincidenti. Quanto all’ipotesi di esclusione del socio per sopravvenuta inidoneità a svolgere l’opera conferita, essa necessita la ricorrenza di cause oggettive che precludano in modo definitivo la prestazione d’opera.
Colui che agisce in giudizio con l'azione di risarcimento nei confronti degli amministratori di una società di capitali, che abbiano compiuto, dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, attività gestoria non avente finalità meramente conservativa del patrimonio sociale, ai sensi dell'art. 2486 c.c., ha l'onere di allegare e provare l'esistenza dei fatti costitutivi della domanda e, quindi, la ricorrenza delle condizioni per lo scioglimento della società e il successivo compimento di atti negoziali da parte degli amministratori, ma non è tenuto a dimostrare che tali atti, benché effettuati in epoca successiva al verificarsi della causa di scioglimento, non comportino un nuovo rischio d'impresa, come tale idoneo a pregiudicare il diritto dei creditori e dei soci, ma siano giustificati dalla finalità liquidatoria o comunque risultino necessari. Pertanto, qualora l'addebito gestorio, ai sensi dell'art. 2486 c.c., si basi su delle censure al bilancio, parte attrice avrebbe l'onere di allegare le ritenute violazioni nella redazione del bilancio, con esplicitazione sia delle ragioni, sia dei fatti per i quali le singole poste debbano ritenersi scorrette, sia degli importi per i quali esse debbano essere rettificate.
Al fine di indicare correttamente i fatti ai sensi dell'art. 164, co. 5, c.p.c. è sufficiente che parte attrice ponga l'accento sulla gravità dei discostamenti dal vero delle poste di bilancio censurate e sul dovere certificatorio del revisore, circa la verità e correttezza del bilancio nella sua funzione di rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società, con ciò implicando che il mancato rilievo di tali discostamenti sia segno di inescusabile negligenza del revisore. E', invece, onere del revisore dimostrare, qualora vi sia uno scostamento dal vero, di avere operato diligentemente e incolpevolmente.
Il termine di prescrizione per l'esercizio dell'azione di cui all'art. 2476 co. 6 non inizia a decorrere dal momento in cui risulta pubblicata la determinazione del CdA di presentare proposta di concordato preventivo, non essendo tale elemento sufficiente ad esporre l'insufficienza patrimoniale della società. L'insufficienza patrimoniale della società risulta, invero, dalla pubblicazione della proposta di concordato, nella quale non sia previsto il pagamento integrale dei creditori.
L'accoglimento dell'eccezione di prescrizione sollevata da un coobbligato solidale nei confronti del creditore comune produce effetto anche a favore dell'altro coobbligato convenuto non eccipiente nello stesso processo, tutte le volte in cui la mancata estinzione del rapporto obbligatorio nei confronti di quest'ultimo possa generare effetti pregiudizievoli per il condebitore eccipiente, senza che assuma rilevanza la distinzione tra il coobbligato contumace e quello costituito che non abbia proposto l'eccezione ovvero l'abbia abbandonata, ipotesi tutte che non comportano rinuncia sostanziale alla prescrizione maturata e neppure rinuncia tacita all'azione di regresso verso il coobbligato eccipiente.
Non risultano idonei a fondare un’ispezione giudiziale ai sensi dell’art. 2409 c.c. gli addebiti relativi a violazioni di carattere formale (quale, ad esempio, è la mancata tempestiva trascrizione della delibera assembleare nel relativo libro) o, ancora, attinenti al merito delle scelte gestorie degli amministratori, non sindacabili in sede processuale.
L’articolo 2479 bis, comma 1, c.c. demanda all’atto costitutivo la determinazione delle modalità di convocazione dell’assemblea dei soci in modo tale da assicurare la tempestiva informazione dei soci sugli argomenti da trattare. In mancanza, la convocazione va effettuata mediante lettera raccomandata spedita ai soci almeno otto giorni prima dell’adunanza nel domicilio risultante dal registro delle imprese. La legge nulla dice in ordine alla ricezione della raccomandata. Salvo diverse previsioni dell’atto costitutivo di una società a responsabilità limitata, deve presumersi che l’assemblea dei soci sia validamente costituita ogniqualvolta i relativi avvisi di convocazione siano stati spediti agli aventi diritto almeno otto giorni prima dell’adunanza (o nel diverso termine indicato nell’atto costitutivo). Tale presunzione di legittimità della delibera, derivante dal rispetto del termine indicato dalla legge o dallo statuto per la spedizione dell’avviso di convocazione, può essere vinta qualora il destinatario dimostri che, per causa a lui non imputabile, egli non lo abbia affatto ricevuto o lo abbia ricevuto così tardi da non consentirgli di prendere parte all’adunanza.
L’art. 2479 bis c.c. prevede che l’assemblea deve essere convocata presso la sede della società (mentre per le s.p.a. l’assemblea deve essere convocata nel Comune ove ha sede la società ex art. 2363 c.c.). Si tratta di previsioni strumentali alla tutela dell’interesse dei soci ad intervenire alla riunione, finalizzate a evitare incertezze o eccessivi disagi per i soci.