Ai fini dell’individuazione della giurisdizione competente l’espressione “luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire” deve essere inteso come quello in cui ha avuto luogo la condotta lesiva, ovvero quello in cui il danno si è concretizzato, tenendo presente tuttavia che tale luogo non riguarda quello del domicilio del ricorrente, in cui sarebbe localizzato il centro principale del proprio patrimonio, per il solo motivo che egli avrebbe ivi subìto un danno finanziario derivante dalla perdita di elementi del suo patrimonio avvenuta e subìta in un altro Stato membro.
Una impresa detiene una posizione dominante quando può comportarsi in modo significativamente indipendente dai concorrenti, dai fornitori e dai consumatori. Ciò avviene, in via generale, quando detiene quote elevate in un determinato mercato. Il fatto che un’impresa raggiunga grandi dimensioni non distorce di per sé il mercato. La legge non vieta, pertanto, la posizione dominante in quanto tale, ma il suo abuso (ex art. 3 l. 287/1990), che si concretizza quando l’impresa sfrutta il proprio potere a danno dei consumatori ovvero impedisce ai concorrenti di operare sul mercato causando conseguentemente un danno ai consumatori.
La capacità di impresa di imporre determinate condizioni in uno specifico rapporto contrattuale non determina di per sé una posizione dominante, ma lo sfruttamento di questo potere negoziale può comportare, quando ne ricorrano le condizioni, un abuso di dipendenza economica. Si ha, in particolare, abuso di dipendenza economica quando un’impresa è in grado di determinare con un’altra impresa un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi, dovendo essa essere valutata anche tenendo conto della reale possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti.
La vendita “sottocosto”, definita dall’art. 15, comma 7, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114, in tema di “vendite straordinarie”, secondo i parametri convenzionali di calcolo ivi indicati, rappresenta un’ipotesi di vendita di prodotti sul mercato ad un prezzo particolarmente basso, tale da non apparire (almeno nell’immediato) remunerativo per l’offerente, ma, per ciò stesso, idoneo a porre in difficoltà i concorrenti che praticano un prezzo più elevato o come artificioso abbattimento sottocosto dei prezzi non giustificato dalle obiettive condizioni di acquisto dei beni. La vendita sottocosto (o comunque a prezzi non immediatamente remunerativi) è contraria ai doveri di correttezza ex art. 2598, comma 1, n. 3, c.c. solo se si connota come illecito antitrust, in quanto posto in essere da una impresa in posizione dominante e praticata con finalità predatorie; è favorevole ai consumatori e al mercato sino a quando non giunga alla soppressione della concorrenza e, perciò, si traduca in un danno per gli stessi consumatori e il mercato, con la conseguenza che solo in tale ultima situazione si realizza l’illecito concorrenziale da dumping interno.