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Tribunale di Venezia, 09/12/2024, n. 4529/2024

Concorrenza sleale per storno di dipendenti: animus nocendi ed elementi indicativi dell’antigiuridicità del comportamento del concorrente

Tribunale di Venezia, 09/12/2024, n. 4529/2024
Concorrenza sleale per storno di dipendenti: animus nocendi ed elementi indicativi dell’antigiuridicità del comportamento del concorrente

Per la configurabilità di atti di concorrenza sleale contrari ai principi della correttezza professionale, commessi per mezzo dello storno di dipendenti, è necessario che l’attività distrattiva delle risorse di personale dell’imprenditore sia stata posta in essere dal concorrente con modalità tali da non potersi giustificare, in rapporto ai principi di correttezza professionale, se non supponendo nell’autore l’intento di recare pregiudizio all’organizzazione e alla struttura produttiva del concorrente (animus nocendi), disgregando in modo traumatico l’efficienza dell’organizzazione aziendale del competitore e procurandosi un vantaggio competitivo indebito.

Attesa l’esigenza di salvaguardare sia il diritto al lavoro e alla sua adeguata remunerazione (artt. 4 e 36 Cost.), sia il diritto alla libera iniziativa imprenditoriale (art. 41 Cost.), la mera assunzione di personale proveniente da un’impresa concorrente non può essere considerata di per sé illecita, essendo espressione del principio di libera circolazione del lavoro e della libertà di iniziativa economica. La condotta del concorrente non è, pertanto, di per sé censurabile quando questi agisca con il semplice obiettivo di recare a sé un vantaggio competitivo, ma solo quando agisca con il proposito supposto di procurare un danno eccedente il normale pregiudizio che ad ogni imprenditore può derivare dalla perdita dei dipendenti o collaboratori in conseguenza della loro scelta di lavorare presso altra impresa, ove si traduca in comportamenti obiettivamente contrassegnati dall’attitudine a disarticolare con modi scorretti l’altrui attività imprenditoriale. Dunque, mentre non può considerarsi intrinsecamente contraria alla correttezza professionale la condotta dell’imprenditore che si adoperi perché il lavoratore dell’impresa concorrente si trasferisca alle proprie dipendenze, deve reputarsi illecita, in quanto contraria alla nominata correttezza, l’attività che, attraverso lo storno, risulti deliberatamente preordinata a danneggiare l’altrui azienda.

All’accertamento dell’animus nocendi si procede (in mancanza di prova diretta di tale animus) con criterio solitamente oggettivo, ossia attraverso un’indagine di fatto della sussistenza di una serie di elementi indicativi dell’antigiuridicità del comportamento, che vengono tradizionalmente rinvenuti dalla giurisprudenza nelle modalità del passaggio dei dipendenti e collaboratori dall’una all’altra impresa, che non può che essere diretto, ancorché eventualmente dissimulato; nella quantità e nella qualità del personale stornato, nella sua posizione nell’ambito dell’organigramma dell’impresa concorrente; nelle difficoltà ricollegabili alla sua sostituzione e nei metodi adottati per indurre i dipendenti o collaboratori a passare all’impresa concorrente.

Spetta, infatti, a chi denuncia un c.d. «storno di dipendenti» sotto il profilo dell’illecito ex art. 2598, n. 3, c.c. fornire la prova degli elementi destrutturanti della propria organizzazione imprenditoriale causati dall’acquisizione di suoi dipendenti da parte di un concorrente, fornendo in giudizio, quantomeno, concreti elementi per conoscere l’organigramma complessivo dell’azienda, il ruolo ricoperto dai dimissionari, le difficoltà incontrate per sostituire i fuoriusciti in relazione alle mansioni dagli stessi svolte ed alla reperibilità di analoghe professionalità al proprio interno o comunque sul mercato del lavoro .

L’imprenditore che recluti il lavoratore dimissionario non è vincolato al rispetto degli accordi che inerivano al precedente rapporto, di talché l’assunzione di un lavoratore che non abbia osservato il preavviso non implica necessariamente una condotta disgregatrice dell’altrui impresa, salvo dimostrare la sussistenza di detta precipua intenzionalità .

La concorrenza sleale per «illecito sviamento di clientela» è un concetto estremamente vago e non tipizzato, e pertanto non assimilabile ad altre figure sintomatiche di concorrenza sleale scorretta elaborate in modo tradizionalmente consolidato dalla giurisprudenza (storno di dipendenti, violazione di norme pubblicistiche, boicottaggio, vendita sottocosto…). Il tentativo di sviare la clientela (che non «appartiene» all’imprenditore) di per sé rientra nel gioco della concorrenza (che altro non è che contesa della clientela), sicché per apprezzare nel caso concreto i requisiti della fattispecie di cui all’articolo 2598, n.3, e ritenere illecito lo sviamento, occorre che esso sia provocato, direttamente o indirettamente, con un mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale (intesa come il complesso di regole desunte dalla coscienza collettiva imprenditoriale di una certa epoca, socialmente condivise dalla categoria). Non è, quindi, sufficiente il tentativo di accaparrarsi la clientela del concorrente sul mercato nelle sue componenti oggettive e soggettive, ma è imprescindibile il ricorso ad un mezzo illecito secondo lo statuto deontologico degli imprenditori.

Al fine di mantenere segrete le informazioni, l’imprenditore deve intervenire su più livelli, adottando misure che possono ricondursi a tre categorie: le misure di carattere fisico (quali l’utilizzo di archivi cartacei protetti da chiavi e accessibili solo ad alcuni dei dipendenti), le misure di carattere tecnologico (quali l’utilizzo di sistemi che rendano accessibili le informazioni solo a particolari soggetti, mediante l’utilizzo di accorgimenti tecnici) e le misure di carattere organizzativo (quali ad esempio circolari interne, protocolli, ordini di servizio, patti di non concorrenza o accordi di segretezza che consentano di rendere manifesta la volontà del titolare delle informazioni di mantenerle segrete). L’idoneità delle misure adottate deve essere valutata caso per caso, considerando vari fattori, tra i quali rilevano le dimensioni dell’impresa, la natura dell’informazione, il numero di soggetti che vi abbiano accesso e la tipologia di accesso previsto all’informazione stessa.

 

Data Sentenza: 09/12/2024
Carica: Presidente
Giudice: Lina Tosi
Relatore: Maddalena Bassi
Registro: RG 7391 / 2018
Allegato:
Stampa Massima
Data: 27/05/2025
Massima a cura di: Elisa Babbini
Elisa Babbini

L’Avv. Elisa Maria Babbini si occupa di proprietà intellettuale, con competenze che comprendono brevetti, marchi, diritto d’autore, segreti commerciali, concorrenza sleale e comunicazione commerciale, sia in ambito giudiziale che stragiudiziale.

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