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Arturo Noviello

Arturo Noviello

Laureato a Napoli. Iscritto all'Ordine degli Avvocati di Milano. Master in Diritto e Impresa e in Diritto della Proprietà Intellettuale. Avvocato presso Fieldfisher. Specializzato in contenziosi e arbitrati in materia civile, commerciale e societaria.

22 Gennaio 2024

Responsabilità per danni diretti; il destinatario del risarcimento dell’azione di responsabilità ex art. 2394 c.c. è il creditore attore

L'azione individuale spettante ai soci o ai terzi (e, dunque, anche ai creditori sociali) per il risarcimento dei danni ad essi derivati per effetto di atti dolosi o colposi degli amministratori rientra nello schema della responsabilità aquiliana, costituendo una species della responsabilità extracontrattuale di cui all'art. 2043 c.c. L'utile accesso all'azione di cui all'art. 2476, co. 7, c.c. presuppone che i danni subiti dal socio o dal terzo non siano solo il riflesso di quelli arrecati eventualmente al patrimonio sociale, ma siano stati direttamente cagionati ai soci o terzi, come conseguenza immediata del comportamento degli amministratori medesimi; tale azione individuale, pertanto, è rimedio utilmente esperibile solo quando la violazione del diritto individuale del socio o del terzo sia in rapporto causale diretto con l'azione degli amministratori. L'azione contemplata dall'art. 2476, co. 7, c.c. riguarda fatti che siano addebitabili esclusivamente agli amministratori e non riversabili sulla società, onde differisce dall'azione che può essere proposta direttamente nei confronti della società per violazione di specifici obblighi contrattuali o extracontrattuali su di essa gravanti. Con riferimento all'azione individuale promossa dal terzo che abbia concluso con la società un contratto rimasto inadempiuto, la responsabilità che viene in rilievo per gli effetti di cui agli artt. 2476, co. 7, e 2395 c.c. non può farsi discendere da un mero inadempimento contrattuale della società, ma postula la addebitabilità all'amministratore di attività ulteriori e diverse che, per la loro illiceità di natura extracontrattuale, ledano il diritto soggettivo patrimoniale del terzo. Invero, l'inadempimento contrattuale di una società di capitali non può, di per sé, implicare responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell'altro contraente, secondo la previsione dell'art. 2395 c.c. o dell'art. 2476, co. 7, c.c., atteso che tale responsabilità postula fatti illeciti direttamente imputabili a comportamento colposo o doloso degli amministratori medesimi. L'insufficienza patrimoniale, cui si ricollega la responsabilità degli amministratori e dei sindaci della società verso i creditori, deve intendersi come eccedenza delle passività sulle attività del patrimonio netto dell'impresa, sussistendo allorquando l'attivo sociale, raffrontato ai debiti della società, sia insufficiente al loro soddisfacimento. L'insufficienza patrimoniale ex art. 2476, co. 6, e 2394 c.c. è una condizione più grave e definitiva della mera insolvenza, indicata dall'art. 5 l. fall. come incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, potendosi una società trovare nell'impossibilità di fare fronte ai propri debiti ancorché il patrimonio sia integro, così come potrebbe accadere l'opposto, vale a dire che l'impresa presenti una eccedenza del passivo sull'attivo, pur permanendo nelle condizioni di liquidità e di credito richieste. La situazione di insufficienza patrimoniale, inoltre, si differenzia anche dall'eventualità della perdita integrale del capitale sociale, dal momento che quest'ultima evenienza può verificarsi anche quando vi è un pareggio tra attivo e passivo perché tutti i beni sono assorbiti dall'importo dei debiti e, quindi, tutti i creditori potrebbero trovare di che soddisfarsi nel patrimonio della società. Il petitum dell'azione ex art. 2476, co. 6, e 2394 c.c. è rappresentato dalla riparazione del danno subito dal creditore attraverso la lesione della sua garanzia patrimoniale generica costituita dal patrimonio della società, e il danno consiste nella diminuzione del valore di realizzazione del credito per effetto della riduzione delle possibilità di soddisfacimento dello stesso dovuta alla sopravvenuta insufficienza (ovvero azzeramento) della massa disponibile. In questa prospettiva, la ricostruzione della domanda di cui all'art. 2476, co. 6, e 2394 c.c. in termini di domanda spettante al creditore in via autonoma e non già surrogatoria consente di affermare che il risarcimento ottenuto in esito alla proposizione della domanda in argomento non vada a vantaggio della società (e, quindi, solo indirettamente in favore del creditore attore), ma direttamente al creditore che agisce in giudizio, sebbene il danno che viene allegato consista, in primo luogo, nella lesione perpetrata dagli amministratori all'integrità del patrimonio sociale e, solo di riflesso, nella lesione al diritto del creditore sociale. [ Continua ]
3 Ottobre 2023

I finanziamenti dei soci

L’art. 2467 c.c. formalizza la fattispecie dei “finanziamenti dei soci” nella forma più estesa possibile (“in qualsiasi forma effettuati”), così da includervi senz’altro anche qualunque posizione giuridica soggettiva qualificabile come “diritto di credito” nei confronti della società, indipendentemente dallo schema giuridico utilizzato per l’effettuazione del finanziamento e purché si tratti di un atto o di un comportamento volontario del socio. Poiché l’applicazione della regola di cui al primo comma dell’art. 2467 c.c. è circoscritta alle sole ipotesi di finanziamenti realizzati nelle circostanze anomale postulate dal secondo comma della norma e, viceversa, non si estende ai finanziamenti dei soci concessi in condizioni fisiologiche, non rilevando eventuali successivi peggioramenti della situazione patrimoniale della società, la parte che ha interesse a far valere la postergazione è gravata dell’onere di provare che il finanziamento è stato concesso in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento. La regola della postergazione del finanziamento-soci di cui all’art. 2467 c.c. si applica anche al di fuori di una fase di formale liquidazione della società, purché vi sia uno stato di sostanziale insolvenza che giustifichi l’anticipazione della tutela dei terzi creditori rispetto a quella dei soci finanziatori. La postergazione del credito vantato dal socio nei confronti della società ex art. 2467 c.c. costituisce una specifica eccezione in senso stretto che la società convenuta è onerata di opporre e provare, dimostrando non solo l’esistenza di “un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto” e quindi di “una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento” al momento in cui il socio effettuò il finanziamento, ma altresì la persistenza di tale stato di crisi economico-finanziaria della società al momento in cui il socio abbia chiesto il rimborso del finanziamento. [ Continua ]
23 Ottobre 2023

La destinazione degli utili, tra distribuzione e reimpiego degli stessi

Anche nelle società a responsabilità limitata, il diritto del socio a percepire gli utili presuppone una preventiva delibera assembleare che ne disponga la distribuzione, rientrando nei poteri dell’assemblea che approva il bilancio la facoltà di prevederne l’accantonamento o il reimpiego nell’interesse della stessa società con una decisione censurabile solo se frutto di iniziative dei soci di maggioranza volte ad acquisire posizioni di indebito vantaggio a danno degli altri soci cui sia resa più onerosa la partecipazione. Grava sul socio di minoranza che impugna la delibera l’onere di provare in giudizio che la decisione dell’accantonamento degli utili adottata a maggioranza abbia ingiustificatamente sacrificato la sua legittima aspettativa a percepire la remunerazione del suo investimento, avendo rivestito carattere abusivo perché volta intenzionalmente a perseguire un obiettivo antitetico all’interesse sociale o a provocare la lesione della posizione degli altri soci in violazione del canone di buona fede oggettiva che, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., deve informare l’esecuzione del contratto sociale ove l’esercizio in comune dell’attività economica avviene proprio allo scopo di dividerne gli utili. Il sindacato sull’esercizio del potere discrezionale della maggioranza, reputata dall’ordinamento migliore interprete dell’interesse sociale in considerazione dell’entità maggiore del rischio che corre nell’esercizio dell’attività imprenditoriale comune, deve, comunque, arrestarsi alla legittimità della deliberazione attraverso l’esame di aspetti all’evidenza sintomatici della violazione della buona fede e non può spingersi a complesse valutazioni di merito in ordine all’opportunità delle scelte di gestione e programma dell’attività comune sottese all’accantonamento dell’utile. La sistematica mancanza di distribuzione di dividendi può costituire un indice rivelatore dell’atteggiamento prevaricatore della maggioranza assembleare, ma non è di per sé sufficiente a dimostrare il suo intento di penalizzare i soci di minoranza dal momento che la destinazione degli utili a riserva è fonte, al contempo, di non trascurabili vantaggi per il patrimonio sociale: infatti, gli utili destinati ad incrementare le riserve vanno, comunque, ad accrescere il patrimonio netto della società a beneficio del valore di liquidazione o di scambio della partecipazione sociale anche di minoranza oltre che a realizzare l’interesse all’autofinanziamento dell’impresa sociale. [ Continua ]
13 Ottobre 2023

Cessione di quote e revoca dell’amministratore

Ai sensi dell’art. 1395 c.c. è esclusa l’annullabilità del contratto stipulato dal rappresentante con se stesso in due ordini di casi: nel caso in cui a ciò sia stato autorizzato il procuratore con la procura ovvero nel caso in cui il contenuto del contratto sia predeterminato in modo da prevenire la possibilità di un conflitto di interessi che è visto come intrinseco in tale modalità di stipulazione. Nell’ipotesi di mandato conferito nell’interesse del mandatario con attribuzione di procura, la irrevocabilità del mandato è limitata al rapporto interno tra il mandante ed il mandatario e, pertanto, la validità del contratto concluso con il terzo dal mandatario, resta subordinata alla permanenza del potere di rappresentanza ed alla mancanza di revoca della procura. La revoca della procura determina la estinzione del potere di rappresentanza (art. 1396 c.c.) con la conseguenza che il contratto concluso dal rappresentante senza potere è privo di efficacia La scelta di revocare gli amministratori è dalla legge rimessa all’assemblea ma è contemperata dalla previsione, per il caso di revoca senza giusta causa, del diritto dell’amministratore revocato al risarcimento del danno prodotto dallo scioglimento anticipato del rapporto; in difetto di giusta causa di revoca spetta all’amministratore rimosso dall’ufficio il diritto a percepire il compenso (pattuito o stabilito giudizialmente) fino alla scadenza (cd. periodo differenziale) o in caso di incarico a tempo indeterminato, alla percezione di un compenso la cui quantificazione è determinata nella misura del periodo di mancato preavviso o in via equitativa. Se è certamente vero che, in caso di revoca senza giusta causa, all'amministratore revocato non è data altra tutela che quella risarcitoria, non può negarsi, tuttavia, che l’amministratore revocato mantenga la propria legittimazione ad impugnare la deliberazione di revoca qualora intenda lamentare che la stessa non è stata correttamente assunta. Invero, la legittimazione degli amministratori ad impugnare le deliberazioni assembleari si fonda non già su un proprio interesse, ma sull’esigenza di tutela dell’interesse generale alla legalità societaria, che implica l’esistenza di un diritto ad impugnare anche nel caso in cui la decisione invalida sia stata approvata dai soci all’unanimità. Nelle società di capitali, il divieto per l'amministratore, ai sensi dell'art 2390 primo comma cod. civ., di assumere la qualità di socio illimitatamente responsabile in società concorrenti, o di esercitare comunque attività concorrente, tendendo ad evitare che l'amministratore durante il suo ufficio, si trovi in situazioni di dannoso antagonismo con la società amministrata, opera a prescindere dal momento in cui egli abbia assunto la qualità incompatibile, od intrapreso l'attività concorrente, ed anche, quindi, se le indicate situazioni siano non successive, ma preesistenti alla sua nomina. In entrambi i casi pero, l'inosservanza del divieto in questione non tocca la validità della delibera assembleare di nomina dell'amministratore, né determina, nella seconda ipotesi, l'ineleggibilità del medesimo, ma comporta solo l'obbligo per l'amministratore di dismettere la qualità o l'attività incompatibile, al fine di non esporsi alla sanzione della revoca, salvo che abbia ricevuto autorizzazione in forza di rituale delibera della assemblea dei soci, od in forza di espressa clausola dello statuto. Non si ha, quindi, né invalidità della delibera né ineleggibilità dell’amministratore che operi quale amministratore anche di altra società concorrente, ma solo causa di revoca rimessa all’assemblea. [ Continua ]
14 Novembre 2023

Responsabilità dell’amministratore per il rimborso di un finanziamento postergato

Il credito del socio, in presenza di un finanziamento concesso nelle condizioni di eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto o laddove sarebbe stato ragionevole un conferimento, subisce una postergazione legale, la quale non opera una riqualificazione del prestito da finanziamento a conferimento con esclusione del diritto al rimborso, ma incide sull’ordine di soddisfazione dei crediti. La postergazione prevista dalla norma finisce, così, per operare come una condizione legale integrativa del regolamento negoziale circa il rimborso, la quale statuisce l’inesigibilità del credito in presenza di una delle situazioni previste dal secondo comma dell’art. 2467 c.c., con un impedimento (solo temporaneo) alla restituzione della somma mutuata. Ne deriva l’ulteriore conseguenza che l’organo amministrativo deve rifiutare il rimborso del prestito, sino a quando non siano venute meno le predette condizioni. Ai fini dell’applicabilità dell’art. 2467 c.c., vale il momento della concessione del finanziamento e non rileva il deterioramento della situazione patrimoniale della società successivo al finanziamento. Il momento della restituzione del finanziamento è invece decisivo per verificare se la situazione di dissesto è definitivamente cessata [ Continua ]
16 Novembre 2023

La rinuncia alla carica di amministratore nella s.r.l.

La disciplina delle s.r.l. nulla dispone in materia di cessazione dell’incarico degli amministratori, lasciando ampio spazio all’autonomia privata. Nell’ipotesi in cui lo statuto nulla prevede al riguardo, può allora trovare applicazione, in via analogica, l’art. 2385 c.c. dettato in tema di s.p.a., ai sensi del quale la rinunzia all’ufficio di amministratore ha effetto immediato se rimane in carica la maggioranza del consiglio di amministrazione La rinuncia all’ufficio di amministratore integra atto unilaterale recettizio, che produce il suo effetto nel momento in cui la comunicazione perviene al consiglio di amministrazione e dal quel momento essa diviene irrevocabile. L’atto unilaterale ricettizio non può, infatti, essere revocato o posto nel nulla dallo stesso soggetto che ha emesso la dichiarazione di volontà, dopo che la conoscenza da parte del destinatario lo abbia perfezionato. [ Continua ]
24 Agosto 2023

Simulazione di un atto di conferimento in sede di costituzione della società

Ai sensi degli artt. 1414 ss. c.c., la simulazione è un fenomeno di c.d. apparenza giuridica, in base al quale le parti pongono in essere un negozio giuridico (atto simulato) del quale non vogliono alcun effetto – per il caso di simulazione assoluta – o del quale vogliono effetti diversi, riconducibili ad altro negozio giuridico (negozio dissimulato), in ipotesi di simulazione relativa. Con l’accordo simulatorio, dunque, i contraenti stabiliscono che l’atto posto in essere non produrrà effetti nei loro confronti o ne produrrà di diversi, propri di un differente assetto negoziale, del quale devono essere rispettati gli eventuali requisiti formali imposti ex lege. Il contratto simulato, dunque, è destinato a creare l’apparenza giuridica di conformità tra il dichiarato e voluto unicamente nei confronti dei terzi estranei al rapporto, ai quali, se in buona fede, la simulazione non potrà essere opposta. Tra le parti, invece, salvo l’ipotesi di illiceità del contratto dissimulato (il negozio realmente voluto), la simulazione potrà essere provata esclusivamente tramite la c.d. controdichiarazione, di cui all’art. 1417 c.c., consistente in un documento di riconoscimento della simulazione, ossia dell’accordo simulatorio. In caso di aumento di capitale sociale, ancorché con la partecipazione del rappresentante legale dell’ente previa delega da parte dell’assemblea, l’eventuale simulazione dell’atto di conferimento non può essere opposta alla società di capitali, avente propria personalità giuridica e, dunque, da ritenersi terza alla simulazione. Ugualmente deve concludersi nell’ipotesi di un conferimento effettuato all’atto di costituzione di una s.r.l., che non ha visto la partecipazione della società conferitaria, la quale senz’altro deve dirsi terza estranea all’accordo simulatorio intercorso tra i conferenti, al più qualificabile come patto parasociale. Sul punto, infatti, il conferimento di beni va inteso come atto traslativo a titolo oneroso, dacché comporta il trasferimento dei beni che ne formano oggetto nel patrimonio dal patrimonio del conferente a quello della società conferitaria, che è soggetto terzo, distinto dalle persone dei soci. E ciò anche in un’ottica di tutela dell’interesse generale dei creditori sociali e dei terzi, i quali subirebbero un pregiudizio se fosse possibile per i soci pretendere la restituzione dell’oggetto del conferimento asseritamente simulato, a seguito della dichiarazione di simulazione dello stesso. [ Continua ]
14 Ottobre 2023

La responsabilità del socio di società a responsabilità limitata

I soci della società a responsabilità limitata rispondono limitatamente alla quota sociale, ma, ove ricorra la responsabilità prevista dall’art. 2476, co. 8, c.c., essi sono solidalmente e illimitatamente responsabili per i danni provocati unitamente all’amministratore o al liquidatore. La responsabilità dei soci di società a responsabilità limitata è concorrente rispetto a quella dell’amministratore o liquidatore ed è per legge solidale, con conseguente applicazione (tra gli altri) degli artt. 1294 e 2055 c.c. La misura dell’apporto causale della condotta del socio assume rilevanza solo in sede di azione di regresso per determinare il quantum che il socio, il quale abbia risarcito il danno per intero, dovrà rivendicare nei confronti dell’amministratore o liquidatore e/o di eventuali altri soci compartecipi. [ Continua ]
8 Maggio 2024

Criteri di imputazione dei finanziamenti soci

Il fatto che il finanziamento provenga da una società interamente partecipata dal socio non consente di per sé di imputarlo al socio: anche la società a socio unico, infatti, è soggetto distinto dal socio, dotato di piena autonomia patrimoniale, che non imputa affatto al socio gli effetti della propria attività negoziale in mancanza di elementi che consentano in modo inequivoco di affermare che le sia stata da lui delegata. [ Continua ]