In tema di responsabilità civile costituisce principio generale l’estensione della domanda svolta contro il convenuto nei confronti del terzo, che il convenuto abbia chiamato in corresponsabilità.
Tale principio tuttavia non opera laddove l’attore abbia esplicitamente dichiarato che non intende estendere la domanda nonché qualora in sede di formazione dello stato passivo il credito sia stato ammesso dal giudice delegato.
L’opzione put realizza una ipotesi di patto leonino soltanto qualora l’'esclusione di un socio dalle perdite o dagli utili sia assoluta e costante e non risponda a interessi meritevoli di tutela. Non viola dunque il divieto di patto leonino una opzione put che preveda l’esclusione dalle perdite non assoluta (riguardando soltanto una parte della quota di capitale sociale acquistata) e che non sia costante (dovendosi esercitare l’opzione all'interno di un limitato arco temporale) (vedi Cass., n. 2927/1994, n. 642/2000; Trib. Milano, n. 9301/2015 del 6 agosto 2015).
Non sussiste la nullità per difetto sopravvenuto della causa in concreto di un’'opzione put per effetto della totale perdita di valore della quota, in quanto neppure il fallimento di una società determina lo scioglimento per impossibilità sopravvenuta del contratto di compravendita delle azioni o quote della stessa società, essendo la dichiarazione di fallimento causa di scioglimento, ma non di immediata estinzione, della società, sicché la perdurante esistenza in vita dell’ente e della sua organizzazione sociale conferisce, di per sé, natura di beni commerciabili alle relative quote di partecipazione, con conseguente liceità dei negozi che abbiano ad oggetto il loro trasferimento (vedi Cass., n. 12831/2013, n. 11361/1999, n. 4584/1999; n. 7693/1998).
L'azione di responsabilità esercitata dal curatore del fallimento ai sensi dell'art. 146 l. fall. R.D. n. 267/1942 è frutto della confluenza in un unico rimedio delle due diverse azioni di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c. ed ha carattere unitario ed inscindibile.
In tema di responsabilità degli organi sociali, l'inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall'art. 2407, co. 2, c.c. non richiede l'individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è integrata laddove sia dimostrato che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti palesemente illegittimi e irregolari, così da omettere la doverosa diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all'assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti ai sensi dell'art. 2409 c.c..
In tema di responsabilità degli amministratori, nonostante il silenzio dell'art. 2476 c.c. circa il grado di diligenza richiesto, si ritiene ormai pacificamente che, come per gli amministratori di s.p.a. (art. 2392 c.c.), anche per quelli di s.r.l. debba farsi riferimento alla diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle specifiche competenze possedute, la quale (altro…)
In caso di fallimento di società, la legittimazione ad esercitare le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori e sindaci, spetta, in via esclusiva, al curatore fallimentare, e non soltanto quella c.d. sociale, per il ristoro di danni arrecati alla società, ma anche le cc.dd. azioni di massa, ovvero, quelle azioni finalizzate alla ricostituzione del patrimonio del debitore nella sua funzione di garanzia generica e avente carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del loro esito positivo, siano essi i soci o i creditori sociali, ed al cui novero non appartiene l'azione risarcitoria individuale, la quale, analogamente a quella prevista dall’art. 2395 c.c., costituisce strumento di reintegrazione del patrimonio del singolo creditore. (altro…)
In caso di fallimento di società sfugge al novero delle azioni ad esclusivo appannaggio ed esercizio della curatela l’azione individuale del creditore che agisca per la lesione di un danno proprio/diretto il quale è legittimato ad esperire l'azione di responsabilità verso gli amministratori al fine di ottenere il risarcimento del medesimo danno patrimoniale individuale subito.
In materia di responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata, l'articolo 2476, comma 3, c.c. sancisce una legittimazione straordinaria del singolo socio a proporre azione di responsabilità verso i membri dell'organo amministrativo. Detta legittimazione è accordata nell'interesse della società, sicché è necessaria la compartecipazione attiva di quest'ultima al giudizio in qualità di titolare del credito risarcitorio.
Deve ritenersi pertanto ammissibile una attività difensiva svolta dalla curatela speciale, anche con riferimento alle eventuali posizioni antagonistiche assunte con riferimento alle domande ed eccezioni svolte dagli attori.
L'approvazione da parte dell'assemblea dei soci del bilancio d'esercizio dal quale risultano compensi a favore degli amministratori non comporta un'implicita approvazione da parte dell'organo assembleare dei compensi suddetti. Invero, guardando alla disciplina delle società di capitali, laddove l'atto costitutivo non dovesse prevedere la misura del compenso da accordarsi agli amministratori, è necessaria una esplicita delibera assembleare, autonoma rispetto a quella di approvazione del bilancio.
Gli amministratori sono responsabili nei confronti della società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società ai sensi dell’art. 2476 c.c.
È pacifico che in caso di contestazioni dell’operato di un amministratore in merito ad erogazioni in danaro da lui disposte, egli sia onerato dell’obbligo di fornire la prova dell’interesse sociale che ne giustifichi la disposizione. La mera registrazione nella contabilità sociale delle erogazioni non è sufficiente a dimostrarne la ragion d’essere.
Quanto alla responsabilità del socio in solido con l’amministratore, in ordine agli atti dannosi, il presupposto necessario ai fini della sua configurabilità è insito nella decisione o autorizzazione intenzionale, sicché, risulta necessaria la sussistenza della prova del deliberato concorso del socio.
L’azione di responsabilità ex art. 2476 c.c. è promossa dal socio in nome proprio, ma per conto della società, titolare del patrimonio leso dagli atti dell’amministratore, pertanto la condanna al risarcimento dei danni deve avvenire in favore della società.
La valenza anti-elusiva della postergazione dei finanziamenti dei soci ex art. 2467 c.c. appare espressione di un principio generale, volto ad evitare uno spostamento del rischio di impresa sui creditori. Tale principio è esplicitato per le s.r.l., in quanto tendenzialmente più esposte al rischio di sottocapitalizzazione, ma è comunque applicabile alle s.p.a., in particolare modo quando queste siano connotate da: i) base azionaria familiare o ristretta; ii) coincidenza delle figure di soci e amministratori; iii) connessa possibilità per il socio di poter apprezzare la situazione di capitalizzazione della società.
(altro…)
In tema di invalidità delle deliberazioni assembleari delle società di capitali vige il principio in virtù del quale la regola generale è quella dell'annullabilità. La nullità è limitata ai soli casi di impossibilità o illiceità dell'oggetto che ricorrono quando il contenuto della deliberazione contrasta con norme dettate a tutela degli interessi generali, che trascendono l'interesse del singolo socio, dirette ad impedire deviazioni dallo scopo economico-pratico del rapporto di società, con la conseguenza che la violazione di norme di legge, anche di carattere imperativo, in materia societaria, comporta la mera annullabilità della delibera.
Può, invece, argomentarsi di delibera inesistente esclusivamente nel caso in cui esista, nella sua materialità, un atto astrattamente qualificabile come tale e, tuttavia, lo scostamento della realtà dal modello legale risulti così marcato da non permettere di ricondurre l'atto alla categoria stessa di deliberazione assembleare, per difetto degli elementi essenziali del tipo legale, non già quando addirittura manchi ogni sostrato e ci si trovi innanzi ad un caso di inesistenza materiale dell’atto stesso.
Non può essere considerata inesistente la delibera adottata con il voto determinante di soggetti non legittimati al voto ex art. 2352 c.c. In tal caso, non è ravvisabile una inadeguatezza strutturale e funzionale della stessa rispetto alla fattispecie normativa tale da renderla non sussumibile nella categoria giuridica delle delibere assembleari. In definitiva, non è inesistente, ma tutt’al più invalida, se vi è comunque una parvenza di delibera (cioè di formale, esteriore, apparente provenienza della delibera dall’organo competente).
I vizi di verbalizzazione e/o quelli afferenti al mancato aggiornamento della qualifica e/o carica dei soggetti presenti in assemblea non inficiano l’essenza della delibera, ma possono, eventualmente, costituire delle mere irregolarità che, in quanto inidonee a compromettere la conformità strutturale e funzionale della stessa rispetto al paradigma legale, sono suscettibili di rettifica endosocietaria e non rappresentano neppure vizi deducibili sub specie di annullabilità e, meno che meno, di nullità, vigendo, per quest’ultima categoria il generale principio di tassatività.
Affinché si verta nell'ipotesi di conflitto di interessi ex art. 2373 c.c., è necessario che la deliberazione assembleare abbia ricadute opposte, anche mediate ma dirette e determinate - in termini di danno emergente, lucro cessante, incremento patrimoniale o risparmio di spesa - sul patrimonio dei soggetti in conflitto (i.e. soci e società) e che tali ricadute vengano specificamente individuate da chi agisce per l'annullamento della delibera.