Ricerca Sentenze
Impugnazione del bilancio finale di liquidazione
Il reclamo ex art. 2492 c.c. attribuisce al singolo socio la facoltà di censurare il bilancio finale di liquidazione sia...

Il reclamo ex art. 2492 c.c. attribuisce al singolo socio la facoltà di censurare il bilancio finale di liquidazione sia sotto il profilo formale, sia sotto il profilo sostanziale.  Tuttavia, sebbene la giurisprudenza di legittimità ritenga illecito il bilancio di una società che violi i precetti di chiarezza e precisione di cui all'art. 2423, comma 2, c.c. non soltanto quando la violazione determini la divaricazione tra il risultato effettivo di esercizio, o la rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società, e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l'intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste scritte, la contestazione al bilancio deve essere specifica ed avere ad oggetto le singole poste che si assumono viziate, non potendo risolversi in una generica impugnazione.

Leggi tutto
Insussistenza di irregolarità della notificazione
La relazione di notifica che indica un destinatario diverso dalla parte processuale non integra i presupposti per l’irregolarità della notificazione,...

La relazione di notifica che indica un destinatario diverso dalla parte processuale non integra i presupposti per l'irregolarità della notificazione, in quanto il soggetto indicato può essere diverso dalla parte processuale. Ciò, infatti, non impedisce che nei confronti del rappresentante del soggetto convenuto in giudizio possa essere eseguita anche la notifica a mezzo posta elettronica certificata, indistintamente all'indirizzo pec personale o a quello relativo all'attività professionale del soggetto.

Inoltre, ai fini dell'identificazione del destinatario, ai sensi dell'art. 145  comma 1 ultima parte c.p.c., è sufficiente cha la relata non lasci alcun dubbio né sulle generalità della persona né sul luogo di consegna: tale requisito è soddisfatto anche laddove queste ultime informazioni siano indicate nell'atto (e non nella relata di notifica).

Leggi tutto
Responsabilità per mancata redazione dei bilanci e delle scritture contabili e per prosecuzione dell’attività d’impresa in assenza dei requisiti di capitale sociale: criteri di determinazione del danno risarcibile
Il curatore che eserciti l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori ha l’onere di allegare la specifica violazione dei doveri...

Il curatore che eserciti l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori ha l’onere di allegare la specifica violazione dei doveri loro imposti dalla legge e di provare che quelle violazioni abbiano cagionato un pregiudizio alla società. Tale principio opera anche nel caso in cui venisse riconosciuta la violazione relativa alla mancata redazione dei bilanci e delle scritture contabili. Ciò significa che la mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili, ancorché addebitale all’organo amministrativo, non giustifica che il danno da risarcire sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza fra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare (c.d. deficit fallimentare). Tale criterio di quantificazione del danno, almeno astrattamente, potrebbe essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizioni e purché il ricorso a tale criterio, in ragione delle circostanze del caso concreto, risulti plausibile e, in ogni caso, la curatela abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del pregiudizio lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’organo amministrativo. In questo senso, è tuttavia possibile che l’irregolare tenuta delle scritture contabili – non permettendo alla curatela di ricostruire le vicende che hanno condotto all’insolvenza dell’impresa – possa essere addotta, essa stessa, quale causa del danno rappresentato dai maggiori oneri nell’espletamento dei compiti e dall’aggravio dei costi della procedura, non apparendo, invece, plausibile farne discendere la conseguenza dell’insolvenza o dello sbilancio patrimoniale.

Nel caso di prosecuzione di attività d’impresa nonostante l’erosione totale del capitale sociale, l’organo amministrativo può essere ritenuto responsabile delle perdite maturate, laddove sia fornita la prova che le stesse sono state conseguenza delle scelte gestorie assunte dopo la riduzione del capitale sociale e, in ogni caso, può essere chiamato a rispondere solo dell’aggravamento del dissesto cagionato dalle ulteriori perdite che siano derivate dalla condotta illegittima, in quanto commessa al di fuori dei poteri di conservazione del patrimonio sociale. Pertanto, la curatela che intenda far valere la responsabilità dell’organo amministrativo per violazione degli obblighi derivanti dalla perdita del capitale sociale, è tenuta a provare che sono state intraprese iniziative imprenditoriali connotate dall’assunzione di nuovo rischio economico-commerciale e compiute al di fuori di una logica meramente conservativa, ad individuare siffatte iniziative e ad indicare quali conseguenze negative ne siano derivate al netto dei ricavi.

L’assolvimento di tale onere di allegazione può risultare difficoltoso se si considera la natura dinamica e complessa dell’attività d’impresa, e per questa ragione è ammissibile il ricorso a criteri presuntivi e sintetici di prova, e in particolare alla determinazione del danno in via equitativa ex art. 1226 c.c. mediante l’utilizzo del criterio della differenza fra i netti patrimoniali (cioè il patrimonio netto della società al momento in cui l’organo amministrativo avrebbe dovuto accorgersi del verificarsi della causa di scioglimento e il patrimonio netto al momento della sentenza dichiarativa di fallimento). Resta fermo, in ogni caso, che il suddetto criterio presuntivo deve essere applicato con prudente apprezzamento tenendo conto che, in astratto, la prosecuzione dell’attività d’impresa, anche non conservativa, ben potrebbe non aver cagionato alcun danno.

Leggi tutto
Mancato richiamo dei decimi e responsabilità dei sindaci
La responsabilità dell’organo amministrativo che abbia mancato di richiamare i decimi non versati si estende anche ai sindaci, i quali...

La responsabilità dell’organo amministrativo che abbia mancato di richiamare i decimi non versati si estende anche ai sindaci, i quali sono corresponsabili del danno subito dalla società (da quantificarsi in misura corrispondente al valore nominale dei decimi non versati), laddove gli stessi, in violazione dell’art. 2407 c.c., si siano limitati a sistematici richiami formali senza adottare alcuna fattiva iniziativa per indurre gli amministratori ad adottare i rimedi prescritti dall’art. 2344 c.c.

Leggi tutto
Concorrenza sleale, imitazione servile del prodotto altrui e necessaria proporzionalità della sazione di cui all’art. 124, comma 2, c.p.i.
L’imitazione rilevante ai fini della concorrenza sleale per confondibilità di cui all’art. 2598 c.c., n. 1, non si identifica con...

L’imitazione rilevante ai fini della concorrenza sleale per confondibilità di cui all’art. 2598 c.c., n. 1, non si identifica con la riproduzione di qualsiasi forma del prodotto altrui, ma solo con quella che riguarda le caratteristiche esteriori dotate di efficacia individualizzante, ovvero quelle che sono idonee, proprio in virtù della loro capacità distintiva, a ricollegare il prodotto ad una determinata impresa; ciò comporta che non possa attribuirsi carattere individualizzante alla forma funzionale, cioè a quella resa necessaria dalle stesse caratteristiche funzionali del prodotto. Ne discende che la fabbricazione di prodotti identici nella forma a quelli realizzati da impresa concorrente costituisce atto di concorrenza sleale soltanto se la ripetizione dei connotati formali non si limiti a quei profili resi necessari dalle stesse caratteristiche funzionali del prodotto, ma investa elementi del tutto inessenziali alla relativa funzione. La parte che agisce ex art. 2598 n. 1 c.c. non può, dunque, limitarsi a provare che il proprio prodotto è imitato “fedelmente” da quello del concorrente, ma deve anche dimostrare che tale imitazione è confusoria, perché investe quegli elementi che servono a distinguere il suo prodotto nel mercato. L’art. 2598 n. 1 c.c. chiarisce infatti che la fattispecie costitutiva della concorrenza sleale non si esaurisce nell’imitazione servile, ma richiede l’attitudine a creare confusione, effetto che, evidentemente, non può neppure ipotizzarsi quando il prodotto imitato non si distingua dai prodotti similari già presenti al suo ingresso nel mercato, siccome privo di forma individualizzante. La tutela di cui alla norma indicata concerne, pertanto, le forme aventi efficacia individualizzante e diversificatrice del prodotto rispetto ad altri simili, non essendo tuttavia compresi nella tutela medesima gli elementi formali dei prodotti imitati che nella percezione del pubblico non assolvano ad una specifica funzione distintiva del prodotto stesso, intesa nel duplice effetto di differenziarlo rispetto ai prodotti simili e di identificarlo come riconducibile ad una determinata impresa. In definitiva, poichè l’originalità del prodotto e la sua capacità distintiva integrano entrambi fatti costitutivi della contraffazione per imitazione servile, essendo i medesimi requisiti necessari non in via alternativa, ma in via cumulativa, l’onere della prova con riguardo ad entrambi i fatti costitutivi incombe - in ossequio alle regole generali in tema di onere della prova di cui all’art. 2697 c.c. - su chi agisce in contraffazione, mentre spetta al convenuto l’onere di dimostrare la mancanza di novità del prodotto o la perdita sopravvenuta della sua capacità distintiva, quali fatti estintivi dell’altrui diritto.

La ratio della forma di coercizione indiretta all’adempimento di cui all’art. 124, comma 2, c.p.i. è quella di rafforzare l’inibitoria, cui si accompagna, per indurre il debitore verso lo spontaneo adempimento, prevedendo una sanzione per il caso di inottemperanza al provvedimento definitivo o anche solo emesso in via cautelare. Si tratta dunque di un rimedio sanzionatorio e non risarcitorio, che è indirettamente a presidio e tutela dell’inibitoria, costituendo una rilevante e autonoma misura di prevenzione nella contraffazione. La natura sanzionatoria del provvedimento non esclude, però, che la misura non debba essere eccessivamente afflittiva, perché vige nel nostro ordinamento il principio della necessaria proporzione tra violazioni e sanzioni. Tale principio è espressamente sancito anche nell’art. 124, comma 6, c.p.i., ai sensi del quale nell’applicazione delle sanzioni l’autorità giudiziaria tiene conto della necessaria proporzione tra la gravità delle violazioni e le sanzioni, nonché l’interesse dei terzi.

Leggi tutto
Incompetenza per materia della sezione imprese
L’incompetenza per materia della sezione impresa non dà luogo a declaratoria di incompetenza, ma a mera ripartizione interna degli affari,...

L’incompetenza per materia della sezione impresa non dà luogo a declaratoria di incompetenza, ma a mera ripartizione interna degli affari, nel caso in cui la sezione impresa e la sezione ordinaria competente fanno parte del medesimo ufficio giudiziario.

Leggi tutto
L’azione individuale del socio/terzo e la responsabilità dell’amministratore ex art. 2395 c.c.
I creditori sociali di società posta in fallimento possono agire nei confronti dell’amministratore a norma dell’art. 2395 c.c. anche dopo...

I creditori sociali di società posta in fallimento possono agire nei confronti dell’amministratore a norma dell’art. 2395 c.c. anche dopo il fallimento della società, allo scopo di ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della mala gestio, dovendosi, viceversa, proporre l’azione ex art. 2394 c.c. esperibile in caso di fallimento della società dal curatore, ai sensi dell’art. 146 L.F.

L’azione sociale mira al risarcimento del danno al patrimonio sociale, il quale incide indirettamente sul patrimonio dei soci per la diminuzione di valore delle loro azioni o della loro quota sociale; l’azione individuale richiede invece la lesione di un diritto soggettivo patrimoniale del socio/terzo che non sia conseguenza del depauperamento del patrimonio della società.

Comunicare informazioni consapevolmente distorte, nonché rappresentazioni artefatte della situazione economico-patrimoniale della società e quindi celare lo stato di grave difficoltà economica e della relativa esposizione debitoria al fine di ottenere un finanziamento con la consapevolezza di non averne i requisiti e di non poterne onorare il pagamento, comporta la responsabilità dell’amministratore, il quale risponde ex art. 2395 c.c. e deve provvedere al risarcimento del danno conseguente.

Leggi tutto
Efficacia reale della clausola statutaria che prevede il diritto di prelazione
In virtù della natura organizzativa della clausola statutaria che prevede un diritto di prelazione, nel caso di vendita di partecipazioni...

In virtù della natura organizzativa della clausola statutaria che prevede un diritto di prelazione, nel caso di vendita di partecipazioni societarie in violazione di tale diritto, la conseguenza è la mera inefficacia dell'atto di vendita nei confronti della società e degli altri soci. L'acquisto è inopponibile nei confronti di questi ultimi,  mentre la cessione resta perfettamente valida tra le parti contraenti.

Dal patto di opzione scaturisce una proposta irrevocabile cui corrisponde una facoltà di accettazione. Con il patto di opzione è, quindi, contrattualmente convenuta la irrevocabilità della proposta di una delle parti, contenente tutti gli elementi essenziali dell’ulteriore contratto da concludere, in modo da consentirne il perfezionamento nel momento e per effetto della adesione dell’altra parte, senza necessità di ulteriori pattuizioni. Ciò in quanto la causa del patto d’opzione consiste nel rendere ferma per il tempo pattuito la proposta relativamente alla conclusione di un ulteriore contratto, con correlativa attribuzione all’altra parte del diritto di decidere circa la conclusione di quel contratto entro quel medesimo tempo. Ne consegue che il patto di opzione integra una fattispecie a formazione successiva (rectius, progressiva), costituita inizialmente dall’accordo avente a oggetto l’irrevocabilità della proposta e, successivamente, dall’accettazione definitiva del promissario che, saldandosi con la proposta, perfeziona il contratto.

Leggi tutto
Il curatore fallimentare di s.r.l. è legittimato all’esercizio sia dell’azione sociale di responsabilità, che dell’azione prevista a favore dei creditori sociali
In materia di responsabilità degli amministratori di s.r.l., deve ribadirsi, in aderenza con la consolidata giurisprudenza di Cassazione formatasi sul...

In materia di responsabilità degli amministratori di s.r.l., deve ribadirsi, in aderenza con la consolidata giurisprudenza di Cassazione formatasi sul punto, la legittimazione in capo al curatore fallimentare di esperire nei confronti dell’organo gestorio di società a responsabilità limitata, non soltanto l’azione sociale di responsabilità, ma anche l’azione dei creditori sociali, nonostante la specifica normativa in materia di s.r.l., diversamente da quella relativa alle s.p.a., a seguito dell’intervenuta riforma, non ne faccia puntuale menzione. Deve, infatti, (altro…)

Leggi tutto
Il divieto di patto leonino si applica anche ai patti parasociali se finalizzati a realizzare l’effetto vietato dalla legge
Il divieto di patto leonino ex art. 2265 c.c. si applica a tutti i tipi di società ed anche in...

Il divieto di patto leonino ex art. 2265 c.c. si applica a tutti i tipi di società ed anche in relazione a quei patti parasociali che comportino l’esclusione totale e costante di uno o più soci dal rischio d’impresa o dalla partecipazione agli utili. A ben vedere, infatti, nel contemplare la nullità del patto leonino, la disposizione di legge non distingue fra patto inserito nel contratto di società e patto autonomo. Inoltre, sebbene il patto parasociale assuma valenza meramente obbligatoria fra coloro che l’hanno sottoscritto (senza vincolare la società), nondimeno, lo stesso si presenta collegato al contratto di società poiché tendente a realizzare un risultato economico unitario, il che vale a ricondurre il patto formalmente estraneo al contratto di società all’interno dell’operazione societaria ed a sottoporlo alla relativa disciplina. Di conseguenza, il patto parasociale utilizzato dalle parti come strumento elusivo del divieto previsto all’art. 2265 c.c. è nullo allorquando sia finalizzato alla realizzazione dell’effetto vietato dalla legge e non tuteli un interesse meritevole ai sensi dell’art. 1322 c.c.

Leggi tutto
Interesse ad agire per la nullità dell’atto di cessione di quote sociali aventi ad oggetto un credito
La locuzione contenuta nell’art. 1421 c.c. “chiunque vi abbia interesse” si riferisce ai soggetti terzi che si sentano minacciati dall’apparenza...

La locuzione contenuta nell'art. 1421 c.c. "chiunque vi abbia interesse" si riferisce ai soggetti terzi che si sentano minacciati dall'apparenza creata dal contratto nullo o dai danni che ne potrebbero derivare. L'interesse ad agire, quindi, deve essere concreto ed attuale. Tali requisiti non sono soddisfatti nell'ipotesi in cui la società che agisce per la nullità di un contratto di cessione quote inter alios vanti un credito che, oltre ad essere di modesto ammontare rispetto a quello oggetto del contratto di cessione, è stato acquistato solo successivamente rispetto alla predetta cessione.

Leggi tutto
Frazionamento giudiziale abusivo del credito
In tema di risarcimento del danno da responsabilità civile, il danneggiato, a fronte di un unitario fatto illecito non può...

In tema di risarcimento del danno da responsabilità civile, il danneggiato, a fronte di un unitario fatto illecito non può frazionare la tutela giudiziaria agendo separatamente, neppure mediante riserva di far valere in altri procedimenti diverse voci di danno, in quanto si tratterebbe di una condotta che aggrava la posizione del debitore, ponendosi in contrasto con il generale dovere di correttezza e buona fede e risolvendosi, quindi, in un abuso dello strumento processuale. Non costituisce, tuttavia, ipotesi di frazionamento abusivo del credito (e, quindi, violazione dell’art. 1175 c.c.) la formulazione di domande in autonomi giudizi solo se risulti, in capo al creditore, un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (qualora, ad esempio, uno dei crediti originati da un medesimo rapporto obbligatorio possa essere accertato mediante il ricorso ad uno strumento processuale di più veloce definizione rispetto a quello necessario per accertare la sussistenza degli altri crediti originati dallo stesso rapporto). In assenza di un interesse oggettivamente valutabile del creditore, la condotta frazionata deve ritenersi strumentale e, pertanto, non meritevole di protezione dall’ordinamento giuridico.

 

Leggi tutto
logo