Ai fini della configurabilità dell'esistenza di un conflitto di interessi tra la società e il suo amministratore occorre accertare in concreto l'esistenza di un interesse dell'amministratore incompatibile, contrastante e inconciliabile con quello della società dal medesimo amministrata, non rilevando quale elemento sufficiente la circostanza che l'amministrazione delle due controparti contrattuali sia in capo alla stessa persona. La mera coincidenza nella stessa persona dei ruoli di amministratore delle contrapposte parti contrattuali non costituisce, invero, circostanza ed elemento sufficiente per la configurazione di un conflitto di interessi.
In caso di azione giudiziale del socio per la restituzione del finanziamento effettuato in favore della società, il giudice del merito deve verificare se la situazione di crisi prevista dall'art. 2467, co. 2, c.c. sussista, oltre che al momento della concessione del finanziamento, anche a quello della decisione, trattandosi di fatto impeditivo del diritto alla restituzione del finanziamento rilevabile dal giudice d'ufficio, in quanto oggetto di un'eccezione in senso lato, sempre che la situazione di crisi risulti provata ex actis, secondo quanto dedotto e prodotto in giudizio.
Il credito del socio, in presenza di un finanziamento concesso nelle condizioni di eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto o laddove sarebbe stato ragionevole un conferimento subisce una postergazione legale, la quale non opera una riqualificazione del prestito da finanziamento a conferimento con esclusione del diritto al rimborso, ma incide sull'ordine di soddisfazione dei crediti. L'effetto della postergazione è automatico, non dipendendo da una conoscenza effettiva dello stato della società o dall'intenzione delle parti, e impone al giudice, richiesto del rimborso, di accertare, sulla base delle risultanze processuali in atti, se la situazione sociale ricada in una delle fattispecie ex art. 2467 c.c., co. 2, c.c. L'eccessivo squilibrio nell'indebitamento o la situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento, da verificare sia al momento del prestito, sia della richiesta di rimborso e, quindi, in caso di controversia, della decisione giudiziale, costituiscono fatto impeditivo del diritto al rimborso oggetto di eccezione in senso lato.
L’amministratore della società è onerato dell’adempimento degli obblighi fiscali formali e sostanziali, assistiti da sanzioni amministrative e penali, che gravano sulla società amministrata. Quando l’amministratore sia inadempiente all’assolvimento degli obblighi fiscali formali e sostanziali e tale inadempimento abbia determinato l’irrogazione di sanzioni a carico della società, egli risponde, verso la società stessa, del pregiudizio che il suo comportamento le ha causato. Tale pregiudizio è pari all’ammontare di sanzioni, interessi e aggi, non rispondendo invece l’amministratore per l’omesso pagamento del debito per l’imposta, che è in ogni caso imputabile soltanto alla società. L’amministratore risponde di questo danno sia per gli inadempimenti occorsi nel periodo in cui la società era in bonis – poiché, in tal caso, il pregiudizio subito dalla società dipende proprio e soltanto dalla negligenza dell’amministratore nell’adempiere ai doveri sopra indicati –, sia per gli inadempimenti occorsi nel periodo in cui, perduto il capitale, l’attività della società è illegittimamente proseguita a fini non conservativi. In tal caso, infatti, il danno alla società è dovuto al fatto che l’amministratore ha proseguito illegittimamente l’attività economica della società così determinando il verificarsi dei presupposti per l’insorgere dei debiti fiscali poi non onorati.
La puntuazione, o minuta, non ha in linea di massima carattere vincolante, ma solo una funzione storica e probatoria della fase delle trattative contrattuali in quanto in essa le parti di solito intendono solo documentare l’intesa raggiunta su alcuni punti rinviando la conclusione del contratto al momento successivo nel quale avranno raggiunto l’accordo anche sugli altri. Non è escluso, tuttavia, che in concreto la minuta possa avere valore probatorio di un contratto già perfezionato quando contenga l’indicazione dei suoi elementi essenziali e risulti anche in base al comportamento successivo delle parti inteso a dare esecuzione all’accordo risultante da detta minuta, sempreché tale comportamento sia univoco e non consenta una diversa interpretazione, che le parti abbiano inteso vincolarsi definitivamente. A differenza del contratto preliminare, ove le parti si obbligano a prestare il loro consenso alla conclusione del contratto definitivo, i cui elementi essenziali e accidentali siano stati contestualmente precisati e i cui effetti si produrranno al momento della sua stipulazione, con la sottoscrizione della c.d. minuta o puntuazione di contratto le parti conservano la libertà di recesso dalle trattative, con il limite della responsabilità precontrattuale prevista dall’art. 1337 c.c.
La disciplina di cui all’art. 2932 c.c. mal si attaglia all’impegno assunto di costituire una nuova società (c.d. preliminare di società), presupponendo la vincolatività di un siffatto preliminare l’impegno avente contenuto dinamico all’esercizio in comune di attività economica, con implicazioni alquanto ampie e non preventivamente determinabili, non da ultimo in ordine anche alla fattiva collaborazione della parte inadempiente, sicché l’esecuzione dell’obbligo in forma specifica non offre, invero, alcuna garanzia quanto all’effettivo svolgimento dell’attività sociale e, anzi, potrebbe determinare la paralisi della società prima ancora che questa possa cominciare ad operare.
La responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. costituisce una responsabilità contrattuale da contatto sociale. La regola posta dall’art. 1337 c.c. non si riferisce alla sola ipotesi di rottura ingiustificata delle trattative, ma ha valore di clausola generale. La violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la parte vittima dell’altrui comportamento scorretto.
In tema di liquidazione del danno, la locuzione "perdita subita", con la quale l’art. 1223 c.c. individua il danno emergente, non può essere considerata indicativa dei soli esborsi monetari o di diminuzioni patrimoniali già materialmente intervenuti, bensì include anche l’obbligazione di effettuare l’esborso, in quanto il "vinculum iuris", nel quale l’obbligazione stessa si sostanzia, costituisce già una posta passiva del patrimonio del danneggiato, consistente nell’insieme dei rapporti giuridici, con diretta rilevanza economica, di cui una persona è titolare.
Ciascuna società componente di un gruppo costituisce un soggetto giuridico distinto e dotato di autonomia patrimoniale perfetta che risponde unicamente con il suo patrimonio solo verso i suoi creditori: possono così configurarsi solo creditori di ogni singola società, garantiti esclusivamente dal patrimonio della loro debitrice, mentre persiste sempre il diaframma della personalità giuridica tra il socio di ciascuna società o ente componente il gruppo e i suoi creditori. Neanche la previsione dell’art. 2497, co. 3, c.c. in materia di responsabilità da abuso dell’attività di direzione e coordinamento, che riconosce al creditore sociale l’azione nei confronti dell’ente o della società dominante solo se non sia stato soddisfatto dalla società eterodiretta, può essere interpretata in modo tale da trarvi il fondamento normativo di una responsabilità sussidiaria della holding per il pagamento dei debiti della società dominata. La situazione non muta ove al vertice della struttura del gruppo si collochi un ente pubblico controllante di una società c.d. in house, dal momento che neanche il peculiare rapporto corrispondente al c.d. controllo analogo, indispensabile ai fini l’affidamento diretto dei servizi pubblici in deroga alla disciplina dell’evidenza pubblica, vale a determinare la dissolvenza dell’autonomia patrimoniale delle singole società del gruppo e meno che mai a creare la confusione tra i patrimoni del socio pubblico e delle diverse società del gruppo che solo potrebbe giustificare una responsabilità patrimoniale diretta dell’ente holder per le obbligazioni sociali contratte con i terzi dalle società controllate. Al riguardo è sufficiente evidenziare che nessuna previsione normativa consente di trarre una simile conseguenza dalla speciale relazione che si instaura tra il socio pubblico e la società in house in forza del c.d. controllo analogo. Una diversa conclusione, del resto, contrasterebbe con lo scopo stesso della disciplina legislativa che consente all’ente l’adozione della peculiare struttura organizzativa dei servizi pubblici mediante affidamento diretto alla società in house proprio per sfruttare il vantaggio della separazione del patrimonio sociale destinato all’attività della gestione dei servizi pubblici secondo criteri di economicità dal patrimonio comunale a fini di contenimento della spesa pubblica.
Il c.d. controllo analogo consiste nella particolare relazione statutaria o pattizia che lega il socio pubblico alla società in house riconoscendogli un complesso di poteri aggiuntivi straordinari, per lo più di carattere automatico, di ingerenza sulla gestione economica e finanziaria della società tale da assicurargli un controllo analogo a quello normalmente esercitato in regime di subordinazione gerarchica sui propri uffici. Il controllo analogo è, però, una fattispecie corrispondente al particolare rapporto statutario o pattizio tra l’ente pubblico socio e la società in house che, o è configurato come tale nello statuto e nei patti parasociali e allora assicura al socio pubblico un potere assoluto pressoché connaturato di ingerenza nella gestione sociale, o non esiste e allora il rapporto tra il socio pubblico e la società partecipata resta, una volta escluso l’effettivo esercizio di un’attività di direzione e coordinamento, un semplice rapporto di controllo societario. E, in tal caso, non è un controllo predicabile in termini di dovere di “vigilanza” sulla gestione o di obbligo di “ingerenza” nell’attività della partecipata, passibile di essere o meno assolto dal socio pubblico posto che il socio unico, in quanto tale, non ha obblighi o doveri di simile natura e meno che mai il dovere di ripatrimonializzare e rifinanziare la società in perdita, in modo tale da assicurare protezione dall’insolvenza ai creditori sociali.
L’azione risarcitoria proposta verso l'ente pubblico per “omissione del controllo analogo nella gestione in house” va ricondotta alla fattispecie della responsabilità aquiliana per c.d. lesione del credito ai sensi dell’art. 2043 c.c.
In tema di impugnazione delle deliberazioni assembleari della società, il sopravvenuto fallimento di quest'ultima comporta il venir meno dell'interesse ad agire per ottenere una pronuncia di annullamento dell'atto impugnato, quando l'istante non deduca e argomenti il suo perdurante interesse, avuto riguardo alle utilità attese dopo la chiusura della procedura fallimentare. Pertanto, rispetto alla delibera relativa all'autorizzazione all’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore, il fallimento priva di qualsivoglia interesse il suo annullamento, tenuto conto che sarà il curatore fallimentare, nei modi e nei tempi previsti dalla legge, a valutare nella sua autonomia la sussistenza dei presupposti per agire nei confronti degli ex amministratori, previa autorizzazione del giudice delegato. Per cui alcun beneficio recherebbe l’eventuale pronuncia favorevole alla società attrice, né la sussistenza di una eventuale e astratta possibilità di ritorno della società in bonis può essere sufficiente a radicare in capo all’attrice un interesse concreto e attuale alla emissione di un provvedimento nel merito.
Ai sensi dell’art. 651 c.p.p., la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel processo civile di risarcimento del danno quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, mentre non ne ha con riferimento alle valutazioni attinenti agli effetti civili della pronuncia, che spettano esclusivamente al giudice civile.
Il patto di manleva è l’accordo con il quale un soggetto si impegna a sollevare la controparte dalle eventuali conseguenze patrimoniali dannose derivanti da un determinato evento o dal fatto di una delle due parti o di terzi; tale patto viene inquadrato tra i contratti tipici ex art. 1322 c.c., fonte di un autonomo rapporto giuridico sostanziale.
Ai sensi di cui all’art. 1299 c.c., a cui rimanda l’art. 2055 c.c. in tema di responsabilità solidale in caso di fatto dannoso, solo al debitore in solido che abbia pagato l’intero debito spetta il diritto di ripetere dai condebitori la parte di ciascuno di essi. La norma, dunque, richiede quale condizione per l’esercizio del diritto di regresso nei confronti degli altri condebitori che uno di essi abbia effettuato il pagamento dell’intero in favore del creditore. D’altra parte, il principio secondo cui la condanna del condebitore solidale, chiamato in causa in via di regresso, è ammissibile a condizione che l’altro condebitore abbia adempiuto l’obbligazione solidale opera soltanto quando il simultaneus processus sul credito principale giustifichi, in termini di economia processuale, la contemporanea pronuncia sul regresso, e sia definitivamente accertata, a carico del condebitore che chiede la condanna condizionata, la pretesa del credito.
Con riguardo alla questione della legge applicabile all’azione di responsabilità introdotta dalla socia di una società “limited” di diritto tanzaniano, in mancanza di specifiche convenzioni con la Tanzania, che non è stato membro dell’Unione Europea, la norma di conflitto applicabile per l’individuazione della legge che regola l’ente, la c.d. lex societatis, è l’articolo 25 della legge di diritto internazionale privato (l. 31 maggio 1995, n. 218). Ai fini dell’individuazione della lex societatis, la norma richiamata stabilisce la regola generale secondo cui alla società si applica la legge dello Stato ove si è concluso il procedimento costitutivo dell’ente, in applicazione della c.d. teoria dell’incorporazione, e due eccezioni ispirate, invece, alla c.d. teoria della sede reale, secondo cui si applica la legge italiana (i) se la sede dell’amministrazione è situata in Italia ovvero (ii) se in Italia si trova l’oggetto principale di tali enti.
Il criterio di collegamento in questione ricalca quello del previgente art. 2505 c.c. relativo alle società c.d. pseudo straniere e viene inteso dalla dottrina per lo più in senso non restrittivo, privilegiando nell’applicazione della regola l’effettività della sede dell’attività di direzione dell’ente rispetto alle risultanze formali. Per il criterio di collegamento dell’oggetto principale dell’attività, dunque, al fine di stabilire se una società costituita all’estero abbia o meno la sede amministrativa in Italia è necessario avere riguardo alla situazione sostanziale ed effettiva senza limitarsi a quella formale o apparente. La prova dell’effettiva sede dell’amministrazione della società deve essere fornita dalla parte che pretende l’applicazione della legge italiana e deve essere oltremodo rigorosa, essendo l’individuazione del regime che regola la vita dell’ente in un complesso ordinamentale diverso da quello della sua costituzione potenzialmente gravida di conseguenze sull’operatività corrente della società. In particolare, deve essere provato attraverso elementi presuntivi che non ammettano equivoci il luogo in cui vengono assunte dall’organo amministrativo le decisioni sulla gestione e direzione dell’impresa (il luogo in cui, ad esempio, si tiene il CdA o vengono impartite le istruzioni e direttive al management o vengono conclusi i contratti dell’impresa) e ove viene materialmente svolta l’attività di amministrazione (ad esempio, la redazione e tenuta delle scritture contabili, l'esecuzione degli adempimenti fiscali e contributivi, la gestione del personale, ecc.).
La clausola contrattuale con cui un soggetto si impegni in favore di un altro a non espletare attività in concorrenza con quest'ultimo in un determinato settore è valida se: (i) è circoscritta temporalmente, (ii) è onerosa (tale dovendosi ritenere pure la clausola che preveda un corrispettivo inglobato nel prezzo delle partecipazioni sociali cedute), (iii) prevede una sufficiente determinatezza delle attività vietate.
Lo storno di dipendenti, oltre a costituire al ricorrere dei requisiti una fattispecie di concorrenza sleale, può integrare una fattispecie tipica di attività di concorrenza vietata contrattualmente.
L’art. 1460 c.c. non attribuisce ai contraenti la facoltà di non adempiere le proprie obbligazioni in caso di violazioni altrui, avendo la più limitata funzione di proteggere la parte diligente dal rischio dell’inadempimento dell’altro contraente, consentendogli, in via eccezionale e cautelativa, di autotutelarsi. L’eccezione di inadempimento non costituisce un rimedio contro l’inadempimento altrui, bensì un rimedio contro il rischio dell’inadempimento altrui, fornendo, nei contratti con prestazioni corrispettive, il potere di paralizzare la richiesta di adempimento del contraente a sua volta inadempiente.
La configurazione strutturale dei dispositivi descritti nelle rivendicazioni dei brevetti deve essere valutata nei limiti in cui essa è stata predisposta e descritta, senza poter considerare effetti in essi non considerati e sulla cui effettiva rilevanza e incidenza sull’ottenimento degli effetti tecnici del trovato nessun elemento determinante e riconoscibile univocamente come modificativo delle capacità operative delle soluzioni tecniche contemplate dai brevetti in esame sia stato concretamente posto all’attenzione del Tribunale.
Pone in essere atti di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c., il soggetto che riproduce pedissequamente e successivamente nella propria attività commerciale manuali operativi, tabelle e data base di un concorrente con modalità grafiche equivalenti a quelle di quest’ultimo.