Il contratto di trasferimento di quote di partecipazione in una società a responsabilità limitata non richiede la forma scritta né ad substantiam né ad probationem. Invero, la forma scritta non è richiesta (altro…)
Qualora nel corso di un giudizio di impugnazione della deliberazione di scissione parziale si perfezioni la procedura di scissione, allora si avrà preclusione all’accertamento dell’invalidità della delibera e del conseguente atto di scissione. Infatti l’art. 2504 quater c.c. introduce un effetto sanante derivante dall’iscrizione dell’atto di scissione nel registro delle imprese, diretto a garantire la certezza dei rapporti societari. Visto il tenore della norma, l’effetto riguarda sia i vizi dell’atto finale, sia i vizi di nullità o annullabilità degli atti intermedi della procedura di scissione, in quanto la ratio legis è indiscutibilmente quella di assicurare la stabilità dell’operazione negoziale una volta perfezionata.
Non può ritenersi che la preclusione sancita dall’art. 2504 quater c.c. si riferisca alle sole ipotesi di invalidità dell’atto e non anche a quelle della sua inefficacia nei confronti dei creditori opponenti derivante dalla violazione del disposto dell’art. 2503 c.c., secondo il quale l’operazione non può essere attuata, salvo il provvedimento autorizzativo del Tribunale, se nel termine di sessanta giorni dall’iscrizione della deliberazione di scissione nel registro delle imprese sia stata proposta opposizione da parte di un creditore.
Le mere irregolarità formali nella redazione del bilancio ovvero nella tenuta della documentazione contabile, anche se potenzialmente indiziarie di condotte censurabili, non costituiscono di per sé fonte di danno per la società, occorrendo sempre la verifica circa l’esistenza di un pregiudizio patrimoniale concretamente sofferto dalla società in conseguenza di tali condotte.
Per ritratto si intende un’opera dell’arte figurativa, una fotografia o anche il fotogramma di un film, ove appaiano riconoscibili le sembianze di una determinata persona, anche se l’immagine è soltanto parte di una raffigurazione più vasta e complessa.
Coerentemente alla disciplina in materia di ritratto, si ritene illecita la divulgazione a fini pubblicitari dell’immagine di una persona nota senza il suo consenso, anche qualora la stessa immagine sia tratta da rappresentazioni (nel caso di specie, film) nelle quali la stessa ha prestato la propria opera, venendo in rilievo, nel caso di specie, non già lo sfruttamento delle opere cinematografiche nella loro interezza, bensì l’utilizzazione a fini pubblicitari/commerciali di singoli fotogrammi, del tutto avulsi dall’originario contesto per il quale era stata resa la prestazione artistica e con conseguente esclusivo rilievo dell’immagine in sé dell’artista.
La tutela dei diritti della personalità (al nome, all’immagine, all’identità personale) ed in particolare del diritto all’immagine-ritratto concorre necessariamente, ove la persona nota ritratta sia un interprete-attore cinematografico, con la tutela dei diritti di riproduzione e diffusione dell’opera cinematografica e della sequenza dei suoi fotogrammi, spettante al produttore, in via presuntiva, salvo prova contraria (di mancata cessione, da parte dell’artista, dei relativi diritti contestualmente alla stipula del contratto di produzione dell’opera cinematografica) ex art. 84 L.A.
Il diritto all’utilizzazione economica dell’opera originaria da parte del produttore e/o fotografo, non determina alcuna cessione del diritto allo sfruttamento dell’immagine degli attori che vi hanno partecipato e/o dei soggetti ritratti. Essi, infatti, salvo prova contraria, hanno prestato il loro consenso alla sola utilizzazione della propria interpretazione nell’opera cinematografica o alla messa in commercio della foto o del ritratto da parte del fotografo che ha ottenuto il loro consenso. Tale consenso, tuttavia, non si estende anche allo sfruttamento dell’immagine per ulteriori finalità commerciali e/o pubblicitarie con scopo di lucro. Essi pertanto (o i loro eredi) conservano il diritto di chiedere che sia inibita la pubblicazione, riproduzione o diffusione della propria immagine, su qualsiasi supporto e/o prodotto essa circoli, nonché di richiedere un risarcimento in ragione di tale abusiva circolazione. Peraltro, anche in assenza di precise limitazioni, siano queste espresse o desumibili dalle circostanze concrete, deve ritenersi operante il limite generale della prevedibilità dell’utilizzo dell’immagine, alla cui stregua non sono ammesse forme di divulgazione completamente avulse dal contesto nel quale le riproduzioni sono state eseguite e per finalità ultronee rispetto a quelle inizialmente prospettate.
La violazione del diritto di marchio deriva dal rischio di confusione per il pubblico e può consistere anche nel rischio di associazione tra i due segni in conflitto; inoltre, il rischio di confusione per il pubblico non si esaurisce nella mera confondibilità fra segni o fra prodotti, ma attiene - coerentemente alla funzione distintiva del marchio - alla origine dei prodotti o dei servizi, pertanto, l'uso da parte di un terzo di un segno uguale o simile per prodotti uguali o affini manca di novità e diventa contraffattorio quando è possibile ritenere che si tratti di un uso idoneo a indurre il pubblico a pensare che i suoi prodotti provengano in realtà dall'impresa del titolare del segno anteriore.
In presenza di una “famiglia” di marchi, il rischio di confusione è determinato dal fatto che il consumatore possa ingannarsi circa la provenienza o l’origine dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio in contraffazione, e ritenga, erroneamente, che questo appartenga a tale “famiglia” o “serie” di marchi. Perché sussista un simile rischio di confusione, occorre che, da un lato, sia provato l’uso di un numero sufficiente di marchi in grado di costituire una “famiglia” o una “serie” e, dall’altro lato, che il consumatore individui un elemento comune in tale “famiglia” o “serie” di marchi e associ a tale “famiglia” o “serie” un altro marchio contenente il medesimo elemento comune.
I presupposti dell'azione individuale esperibile ex art. 2395 c.c. da parte del singolo socio o del terzo che siano stati direttamente danneggiati dagli atti colposi o dolosi degli amministratori sono l'evento dannoso, il dolo o la colpa dell'amministratore, la diretta incidenza di tale evento sul patrimonio del socio o del terzo e la sussistenza di un nesso eziologico tra la condotta dell'amministratore e l'evento prodotto. Diversamente dall'azione sociale di responsabilità (art. 2393 c.c.) e dall'azione dei creditori sociali (art. 2394 c.c.), l'azione individuale del socio o del terzo postula una lesione di un diritto soggettivo che non sia conseguenza del depauperamento patrimoniale della società. Come indicato nella norma, l'utilizzo dell'avverbio "direttamente" delimita l'ambito di operatività dell'art. 2395 c.c. ai soli casi in cui il danno, conseguenza di atti colposi o dolosi degli amministratori, sia immediato e investa direttamente la sfera patrimoniale dei soggetti danneggiati, a nulla rilevando, invece, la sussistenza di un rapporto diretto tra la condotta degli amministratori e il soggetto leso.
La mancanza di un vincolo contrattuale tra amministratore e terzi che esercitano l'azione consente di qualificare tale fattispecie come responsabilità di natura extracontrattuale, che richiede al terzo danneggiato l'onere di provare la riferibilità dell'evento dannoso all'amministratore, nonché il dolo o la colpa di quest'ultimo e l'incidenza negativa di tale atto sul patrimonio personale.
[Nel caso di specie, la falsa rappresentazione della situazione contabile della società nel bilancio redatto da parte degli amministratori, seppur sia sintomo di scarsa diligenza nell'espletamento delle funzioni dell'organo gestorio, non è sufficiente per far valere la responsabilità risarcitoria di questi ultimi. Il socio o il terzo che agisce ex art. 2395 c.c. deve provare non soltanto la falsità del bilancio, ma anche l'idoneità del comportamento illecito degli amministratori a incidere negativamente sulla condotta del socio o del terzo.
La presenza del socio attore nel consiglio di amministrazione della società per il tramite di due consiglieri di sua nomina, nonché il voto favorevole da parte di quest'ultimo all'approvazione in sede assembleare dei singoli bilanci di esercizio, senza alcun rilievo sul loro contenuto, sono sintomatici di un comportamento negligente del socio che ha acquistato le azioni della società.
Al contrario, come argomenta codesto Tribunale, l'insussistenza di un equilibrio economico-finanziario della società doveva essere desunta dallo stesso socio che ha presentato azione di responsabilità, tramite una corretta lettura delle risultanze contabili, mentre le determinazioni del socio di acquistare nuove azioni erano state assunte all'esito di una relazione sulla situazione patrimoniale di natura previsionale e non consuntiva. Inoltre, successivamente all'acquisizione della maggioranza delle azioni della società, la nomina da parte del socio attore di un nuovo consiglio di amministrazione, con lo scopo precipuo di rivalutare la situazione patrimoniale della società, mette in luce la consapevolezza del socio della diversità esistente tra la situazione economico-finanziaria espressa nella contabilità societaria e la situazione effettiva in cui risultava la società.]
La circostanza che un determinato potere dell’assemblea sia ad essa conferito direttamente dalla legge non implica che esso non debba essere indicato specificatamente nell’ordine del giorno contenuto nell’avviso di convocazione dell’assemblea medesima; il potere dell’assemblea di deliberare su un dato argomento è, infatti, comunque condizionato dalla previsione di quell’argomento nell’ordine del giorno e solo tale inserimento legittima l’assemblea ad assumere una determinata decisione. Allorquando il legislatore ha ritenuto di derogare alla previsione generale dell’inserimento di un determinato argomento (e, quindi, di una determinata deliberazione) lo ha fatto espressamente: è il caso, ad es., della deliberazione concernente la responsabilità degli amministratori che può essere assunta in occasione della discussione del bilancio, anche se non è indicata nell'elenco delle materie da trattare, quando si tratta di fatti di competenza dell'esercizio cui si riferisce il bilancio (art. 2393 secondo comma c.c.).
In definitiva, la previsione di legge che attribuisce un determinato potere all’organo assembleare non può supplire alle carenze dell’ordine del giorno. Pertanto, la circostanza che la deliberazione di rinunzia all'azione di responsabilità sia prevista dall'art. 2393 c.c. (peraltro, contornata da specifiche cautele) implica la necessità che della possibilità che l’assemblea assuma quella deliberazione deve essere fatta espressa (e non implicita o generica) menzione nell’ordine del giorno contenuto nell’avviso di convocazione.
Non è la discussione assembleare che legittima l’assemblea a deliberare su un dato argomento, ma è l’indicazione dell’argomento nell’ordine del giorno che legittima l’assemblea a discutere e, poi, a deliberare su di esso.
Ai fini della determinazione del quantum dovuto al socio recedente di società cooperativa edilizia – avente, quindi, per scopo la costruzione di alloggi, l’assegnazione ai soci in godimento e il successivo trasferimento in proprietà individuale a questi ultimi - devono tenersi distinte due posizioni: da un lato quella attinente all’attività sociale, che comporta l’obbligo della prestazione del conferimento e della contribuzione alle spese comuni di organizzazione e di amministrazione (in definitiva debiti di conferimento ai sensi dell'art. 2530 c.c.); dall’altro il gruppo di rapporti relativi alla peculiarità dello scopo perseguito, che comportano anticipazioni ed esborsi di carattere straordinario.
Da ciò consegue che solo il secondo gruppo di rapporti, che hanno gravato sul socio che ha operato gli esborsi, devono essere a quest’ultimo restituiti nel caso in cui il rapporto sociale venga meno (per scioglimento della società, recesso od esclusione). Quindi tutte le anticipazioni e gli esborsi – nella specie effettuati da un socio per l’acquisto dell’immobile e prima che sia stata effettivamente conseguita la proprietà di quest’ultimo – pongono il socio in posizione di creditore, posizione non rientrante, salva diversa regolamentazione pattizia, nella disciplina legislativa relativa alla quota sociale.
La cessione d'azienda, trasformando l'attività dell'impresa cedente da produttiva a finanziaria, rientra tra gli atti che certamente modificano l'oggetto sociale stabilito nell'atto costitutivo e modificano in maniera rilevante i diritti dei soci. Ne consegue che il difetto del potere rappresentativo rende invalido l'atto di cessione ed è opponibile ai terzi indipendentemente da qualsiasi indagine sull'elemento soggettivo.
Si afferma in dottrina ed in giurisprudenza che, nella categoria generale di atti ultra vires, si distinguono quelli che, sebbene estranei all’oggetto sociale, non comportano una sua modifica, da quelli estranei in quanto modificativi dell’oggetto sociale. I primi, da individuarsi negli atti aventi contenuto intrinsecamente esorbitante dal perseguimento dello specifico programma economico della società, sono
opponibili ai sensi dell’art. 2475 bis co. 2. I secondi sono sempre opponibili in quanto posti in essere in violazione di una limitazione
legale. Soltanto in relazione a tale ultima categoria di operazioni (quali, ad es., la cessione dell’azienda con modifica di fatto dell’oggetto sociale da società operativa a holding), il legislatore stabilisce, da un lato, la competenza decisoria dei soci, dall’altro, l’opponibilità incondizionata ai terzi della violazione di tale regola di competenza da parte degli amministratori.
L’assenza di una decisione dei soci configura, così, la violazione di una norma inderogabile posta a presidio dei limiti non convenzionali,
bensì legali del potere di rappresentanza degli amministratori con la conseguenza che non può essere invocata l’inopponibilità dell’atto di cessione.
Se, da una parte, l'atto di disposizione d'azienda che esaurisca il patrimonio della società eccede i poteri che per legge spettano agli amministratori e implica una violazione del riparto legale delle competenze tra assemblea ed amministratori, dall'altra, la sanzione va individuata non già nella annullabilità del contratto, ma nella sua nullità. Sul punto, a nulla vale la considerazione che l'art. 2479 comma 2 n. 5 c.c. non prevede il rimedio della nullità, quale conseguenza della sua violazione, in quanto come ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, in presenza di un negozio contrario a norme imperative, la mancanza di un'espressa sanzione di nullità non è rilevante ai fini della nullità dell'atto negoziale in conflitto con il divieto, in quanto vi sopperisce l'art. 1418 comma 1, c.c., che rappresenta un principio generale rivolto a prevedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione dei precetti imperativi non si accompagna una previsione di nullità.
In conclusione, la cessione dell'azienda che esaurisce il patrimonio sociale della società a responsabilità limitata deve essere dichiarata nulla ove posta in essere in assenza di deliberazione da parte dei soci.
La riassegnazione del nome a dominio è suscettibile di acquistare una definitiva efficacia regolatoria solo se accettata da entrambe le parti; pertanto il giudizio ordinario instaurato a seguito della decisione adottata nel procedimento di riassegnazione non ne costituisce un riesame.
La titolarità del marchio (non rinomato) non importa automaticamente, in favore del suo titolare, la riserva della registrazione del corrispondente nome a dominio, che sarebbe comunque preclusa dal principio di relatività del marchio. Dunque per i marchi non rinomati la prevalenza sul nome a dominio successivo richiede il rischio di confusione fra i prodotti o servizi, che a sua volta presuppone lo svolgimento da parte dei rispettivi titolari di attività di impresa identiche o affini.
In mancanza di notorietà e distintività del marchio costituito da una parola in lingua inglese, il cui significato sia immediatamente percepibile, la registrazione del corrispondente nome a dominio da parte del terzo, anche considerando che l’inglese è il linguaggio universale della rete internet, non costituisce ipotesi di registrazione in mala fede.
Quando viene disposta nei confronti di un consorzio la procedura di prevenzione ai sensi del D.lgs. n. 159/2011 e si applica, in relazione all'accertamento del passivo, l'art. 52 del citato decreto, i crediti di terzi devono essere accertati in conformità con gli art. 57 e ss., e, poiché la misura di prevenzione è volta a regolare, successivamente all'accertamento del passivo e del piano di pagamento, lo stato dei crediti vantati da terzi nei confronti di società sottoposte a misure di prevenzione antimafia - essendo, inoltre, tale procedura concorsuale alternativa al fallimento - è improcedibile la domanda di accertamento del credito vantata davanti al giudice civile secondo le norme del rito ordinario di cognizione. Inoltre, l'improcedibilità della domanda di parte attrice comporta sia l'assorbimento della riconvenzionale diretta all'accertamento del credito nei confronti di controparte sia il trasferimento dell'azione avanti al giudice penale secondo le modalità previste dal d.lgs. n. 159/2011 - e non l' immediata realizzazione di una delle ipotesi di inefficacia del sequestro giudiziario previste dall'art. 669 novies c.p.c.
Nell'azione di responsabilità ex art. 146 l.fall., esercitata dal curatore nei confronti di amministratori e sindaci di S.p.A. fallita, l'inadempimento si presume colposo: se l'allegazione della violazione degli obblighi (che, nel caso della fattispecie dell'azione sociale riguarda doveri imposti dalla legge, dallo statuto o obblighi generali di vigilanza e intervento, mentre, nel caso dell'azione spettante ai creditori sociali, riguarda comportamenti lesivi dell'integrità patrimoniale) grava sul curatore, la prova della mancanza del nesso di causalità tra tali comportamenti e il fatto dannoso, e quindi la prova positiva dell'osservanza di tali doveri, grava sugli amministratori. In questo contesto, il nesso di causalità non è solo presupposto necessario e sufficiente per affermare la responsabilità risarcitoria, ma anche parametro per l'entità del risarcimento. In particolare, gli obblighi che riguardano la riduzione del capitale per perdite al disotto del minimo legale - prevista come causa di scioglimento, la quale conferisce agli amministratori il potere di gestire la società ai fini della liquidazione - implicano responsabilità non solo per mancanza di accertamento della menzionata causa ma anche per il suo non tempestivo riconoscimento: chi agisce ex art. 2486 c.c. deve dunque fornire evidenza della prosecuzione dell'attività imprenditoriale, dell'avvenuta perdita di capitale e gli atti negoziali posti in essere successivamente - e nonostante - la conoscenza della predetta causa di scioglimento; spetta invece agli amministratori provare che la protrazione dell'attività è dovuta a finalità liquidatorie, connesse all'ordinaria attività di impresa e non comportanti nuovi rischi.