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Responsabilità degli amministratori di società di capitali: natura contrattuale
La responsabilità degli amministratori di società di capitali per i danni cagionati nella gestione della società ha natura contrattuale. Pertanto,...

La responsabilità degli amministratori di società di capitali per i danni cagionati nella gestione della società ha natura contrattuale. Pertanto, la società (o il curatore nel caso di fallimento) deve provare le violazioni compiute dagli amministratori e il nesso di causalità tra queste e il danno. Viceversa, gli amministratori sono onerati della prova della corretta osservanza dei doveri previsti dalla legge o dallo statuto.

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Contratto di investimento finanziario e competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa
Secondo quanto previsto dall’art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 168 del 2003, sostituito dall’art. 2, comma 1, lett. d), d.l....

Secondo quanto previsto dall'art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 168 del 2003, sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. d), d.l. n. 1 del 2012, conv. con modif. in l. n. 27 del 2012, nel testo attualmente in vigore, le Sezioni specializzate in materia di impresa sono competenti a conoscere, relativamente alle società ivi indicate, delle controversie relative ai rapporti societari e di quelle relative al trasferimento delle partecipazioni sociali od ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti. Nell’interpretazione della richiamata norma contenuta nell’art. 3 succitato si deve tenere conto, oltre che del dato letterale, anche della ratio ad essa sottesa, con cui il legislatore ha inteso concentrare presso il giudice specializzato le controversie relative alle società ed alle loro vicende, a favore della certezza del diritto e contro il pericolo di moltiplicazione di liti inutili, che potrebbe verificarsi ove si operassero continui distinguo. Ai fini della competenza per materia, si deve allora avere riguardo al petitum sostanziale dedotto in giudizio, da identificarsi in funzione della causa petendi. Va, pertanto, affermata la competenza della sezione specializzata qualora il petitum sostanziale della controversia verta sui rapporti societari e sulle partecipazioni sociali. Ciò posto, tuttavia, esula dalla competenza del tribunale specializzato in materia d'impresa la controversia relativa all'acquisto di azioni del capitale di una banca nell'ambito di un contratto di investimento finanziario nella quale l'attore lamenti, ai sensi del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, la violazione delle disposizioni che regolano la prestazione dei servizi di investimento ed il mancato rispetto da parte della banca delle norme legali di comportamento poste in capo agli intermediari finanziari.

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Causa di ineleggibilità e decadenza dell’amministratore: la nomina di un amministratore di sostegno ex art. 404 c.c.
L’art. 2382 c.c. prevede lo stato di interdizione o inabilitazione come cause di ineleggibilità e di decadenza degli amministratori. Ciò...

L’art. 2382 c.c. prevede lo stato di interdizione o inabilitazione come cause di ineleggibilità e di decadenza degli amministratori. Ciò non vale anche per la nomina dell'amministratore di sostegno data la peculiarità di tale istituto, caratterizzato dalla modularità in funzione di supporto all’amministrato e non già dalla sottrazione generalizzata di capacità. La decadenza potrebbe predicarsi solo ove il giudice tutelare nel nominare un amministratore di sostegno avesse espressamente disposto, ex art. 411 comma 4 c.c., l'estensione alla fattispecie della specifica decadenza di cui all’art. 2382 c.c..

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Responsabilità degli amministratori per irregolare tenuta della contabilità sociale
Nel caso di irregolare tenuta della contabilità sociale, integrante indubbiamente una grave violazione dei doveri gravanti sull’amministratore, l’intero deficit fallimentare...

Nel caso di irregolare tenuta della contabilità sociale, integrante indubbiamente una grave violazione dei doveri gravanti sull’amministratore, l’intero deficit fallimentare non può essere essere automaticamente attribuito ad atti di mala gestio, a prescindere dall’identificazione di tali atti e della loro finanche solo presunta idoneità pregiudizievole, in quanto la contabilità registra gli accadimenti economici, ma non li determina. Il criterio del deficit fallimentare resta sì applicabile, ma soltanto come criterio equitativo per l’ipotesi di impossibilità di quantificare esattamente il danno in conseguenza dell’affermazione di esistenza della prova almeno presuntiva di condotte di tal genere. Sul piano del nesso causale, infatti, il risultato negativo di esercizio non è conseguenza immediata e diretta della mancata o dell’irregolare tenuta delle scritture contabili ma del compimento da parte dell’amministratore di un atto di gestione contrario ai doveri di diligenza, prudenza, ragionevolezza e corretta gestione. L’amministratore deve sì dare conto di tale atto di gestione nelle scritture contabili, ma laddove ometta tale rilevazione non è necessariamente detto che sussista una perdita di gestione né che quest’ultima, laddove esistente, dipenda dall’irregolarità della tenuta dei registri contabili e della documentazione che l’impresa ha l’obbligo di conservare. In quest’ottica, è onere di colui che afferma l’esistenza di una responsabilità dell’amministratore allegare specificamente l’atto o gli atti contrari ai doveri gravanti sull’amministratore, dimostrare l’esistenza di tale atto e del danno al patrimonio sociale. Soltanto una volta soddisfatti tali oneri, la mancanza delle scritture contabili rileverà quale presupposto per l’utilizzo dei criteri equitativi “differenziali”.  Sul piano dei principi generali, d’altronde, il potere del giudice di liquidare equitativamente il danno ai sensi dell’art. 1226 c.c. presuppone pur sempre che vi sia la prova dell’esistenza del medesimo e del nesso di causalità ma che la quantificazione del danno non sia agevole; il potere, invece, non può essere esercitato né invocato dal danneggiato quale modalità per aggirare l’onere della prova relativamente agli elementi costitutivi.

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Criterio della differenza del netti patrimoniali: applicazione retroattiva
In caso di accertata violazione dell’art. 2486 c.c., il danno va misurato secondo i criteri oggi cristallizzati da detta norma...

In caso di accertata violazione dell’art. 2486 c.c., il danno va misurato secondo i criteri oggi cristallizzati da detta norma (c.d. differenza fra patrimoni netti), quale modificata nel 2019, ma applicabili anche alle condotte anteriori in quanto già precedentemente elaborati e applicati dalla giurisprudenza tutte le volte in cui il danno per deterioramento del patrimonio sociale derivante dalla gestione non liquidatoria non era il frutto di singoli ed individuabili atti gestori, ma della miriade delle condotte di impresa, proprie dell’operare della società nel mercato.

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Esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto di cessione di quote sociali in caso di omesso deposito del bilancio
È ammissibile l’esecuzione in forma specifica del contratto preliminare di cessione di quote sociali, ai sensi dell’art. 2932 c.c., anche...

È ammissibile l’esecuzione in forma specifica del contratto preliminare di cessione di quote sociali, ai sensi dell’art. 2932 c.c., anche nell’ipotesi in cui la società non abbia depositato il bilancio per più esercizi e/o versi in una situazione di irregolarità amministrativa o fiscale. La previsione dell’art. 2490, sesto comma, c.c., che contempla la cancellazione d’ufficio delle società in liquidazione in caso di omesso deposito del bilancio per tre esercizi consecutivi, non è di per sé ostativa alla cessione delle partecipazioni sociali, in assenza di un provvedimento effettivo di cancellazione dal Registro delle Imprese.

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Estinzione dei debiti sociali e responsabilità degli amministratori di s.r.l. in sede fallimentare
Nel caso in cui l’amministratore della società conceda al creditore sociale un’ipoteca di maggiore valore rispetto al debito effettivo, il...

Nel caso in cui l’amministratore della società conceda al creditore sociale un’ipoteca di maggiore valore rispetto al debito effettivo, il danno all'integrità del capitale sociale deriva non tanto dalla costituzione della garanzia reale, ma dal riconoscimento del maggior debito da parte dell’amministratore. L’amministratore che erroneamente riconosca un maggior debito rispetto a quello effettivo a favore del creditore sociale non risponde ai sensi dell’art. 2476 c.c. se il creditore sociale ha poi rinunciato al maggior credito riconosciutogli, atteso che detta rinuncia è idonea a interrompere il nesso causale tra il riconoscimento del maggior debito e il danno all’integrità del capitale sociale.

Risponde dei danni all'integrità del capitale sociale l’amministratore in carica che, in presenza di una rinuncia parziale del credito da parte del creditore sociale, non si opponga al pagamento della maggior somma anteriormente riconosciutagli dall’amministratore cessato.

In materia di fallimento, l’amministratore non risponde nel caso in cui la società estingua il mutuo erogato a suo favore prima della scadenza contrattuale: infatti, non può ritenersi che tale operazione abbia natura distrattiva (ove non vi siano elementi circa lo stato di insolvenza della società), trattandosi dell'estinzione di un debito effettivamente contratto dalla società e, dunque, del versamento di una somma effettivamente dovuta.

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Conflitto di interessi, curatore speciale, impugnativa della delibera di S.r.l. per abuso di maggioranaza
Non sussiste un conflitto immanente d’interessi, tale da condurre in ogni caso alla nomina di un curatore speciale ex art....

Non sussiste un conflitto immanente d'interessi, tale da condurre in ogni caso alla nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c., nei giudizi di impugnazione delle deliberazioni assembleari di società, tenuto conto che, in tali giudizi, il legislatore prevede la legittimazione passiva esclusivamente in capo alla società in persona di chi ne ha la rappresentanza legale, né è fondata una valutazione del menzionato conflitto in capo all'amministratore che rappresenti in giudizio detta società, solo in ragione del fatto che la deliberazione impugnata ha ad oggetto profili di pertinenza di quest'ultimo (come avviene per l'approvazione del bilancio, redatto dall'organo gestorio, o per la determinazione del compenso spettante ex art. 2389 c.c. o per l'autorizzazione al compimento di un atto gestorio ex art. 2364, comma 1, n. 5, c.c.), poiché ravvisare in tali ipotesi una situazione di conflitto di interessi indurrebbe alla nomina di un curatore speciale in tutte (o quasi tutte) le cause di impugnazione delle deliberazioni assembleari (o consiliari), con l'effetto distorsivo, non voluto dal legislatore processuale, per cui il socio impugnante tenterebbe sempre di ottenere, mediante il surrettizio ricorso al procedimento di nomina di un curatore speciale, l'esautoramento dell'organo amministrativo dalla decisione delle strategie di tutela a nome della stessa.

 

La circostanza che l’amministratore abbia redatto la situazione patrimoniale oggetto di impugnativa non è certamente idonea ad integrare un confitto di interessi con la società convenuta; diversamente opinando, sussisterebbe tale conflitto tutte le volte in cui sia impugnato un bilancio redatto dall’amministratore in carica al momento in cui viene proposta l’impugnazione. Del pari, la circostanza che l'amministratore sia il socio di maggioranza non integra, di per sé sola, la sussistenza di un conflitto di interessi con la società.

 

Il conflitto di interessi di cui all’art. 78 cpv. c.p.c. sussiste in tutti e soli i casi in cui vi sia un contrasto fra la società e il suo legale rappresentante, per essere quest’ultimo giuridicamente (e non solo in via di fatto) e direttamente interessato ad un esito della lite diverso da quello che possa invece avvantaggiare l’ente; tale giuridico conflitto non sussiste, invece, quando gli interessi confliggenti appartengano in realtà ai soci o a gruppi di essi, dei quali alcuni, fisiologicamente dissenzienti ma minoritari e altri, maggioritari, che abbiano concorso con il loro voto all’adozione di determinate decisioni assembleari o ad esprimere l’organo amministrativo.

 

La perdita della qualità di socio in capo a chi non abbia sottoscritto la propria quota di ricostituzione del capitale sociale non incide sulla legittimazione ad esperire le azioni di annullamento e di nullità della deliberazione assembleare adottata ex art. 2447 o 2482 c.c., che rimane inalterata, in quanto sarebbe logicamente incongruo, oltre che in contrasto con il principio di cui all'art. 24, comma 1, Cost., ritenere come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l'istante assume essere "contra legem" e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti.

 

Una deliberazione assembleare può essere annullata, sotto il profilo dell'abuso della regola di maggioranza, quando risulti arbitrariamente o fraudolentemente preordinata dai soci maggioritari al solo fine di perseguire interessi divergenti da quelli societari, ovvero di ledere gli interessi degli altri soci. La relativa prova incombe sul socio di minoranza il quale dovrà a tal fine indicare i "sintomi" di illiceità della delibera – deducibili non solo da elementi di fatto esistenti al momento della sua approvazione, ma anche da circostanze verificatesi successivamente – in modo da consentire al giudice di verificarne le reali motivazioni e accertare se effettivamente abuso vi sia stato. Peraltro, all'infuori della ipotesi di un esercizio "ingiustificato" ovvero "fraudolento" del potere di voto ad opera dei soci maggioritari, resta preclusa ogni possibilità di controllo in sede giudiziaria sui motivi che hanno indotto la maggioranza alla votazione della deliberazione, essendo insindacabili le esigenze relative all'economia individuale del socio che possano averlo indotto a votare per una soluzione dissolutiva.

 

Nell’ambito della disciplina delle delibere assembleari, la regola della maggioranza, secondo cui i soci dissenzienti di minoranza si trovano vincolati alla decisione adottata, trova il suo limite nel necessario rispetto dei principi di correttezza a buona fede, che trovano espressione anche nell’esecuzione del contratto sociale, posto che, ove la maggioranza abbia espresso il suo voto in modo arbitrario e tale da ledere ingiustificatamente gli interessi della minoranza, la delibera medesima potrà essere legittimamente impugnata. L’abuso di maggioranza costituisce, in estrema sintesi, un vizio che va ad inficiare una delibera il cui profilo di invalidità consiste appunto nell’avere piegato fraudolentemente la maggioranza ad un proprio interesse personale, in danno di un altro socio, senza che l’operazione sia assistita da un interesse sociale. In altre parole, l’elemento di discrimine tra legittima soggezione della minoranza al principio maggioritario ed abuso di detto principio, tale da rendere arbitrario e ingiustificato il voto apparentemente vincolante, è la ricorrenza dell’interesse sociale: ove nel voto espresso dalla maggioranza non si possa individuare alcun interesse sociale, il pregiudizio sopportato dalla minoranza potrà considerarsi arbitrario ed ingiustificato, diversamente dal caso in cui il sacrificio della minoranza sia giustificato dal superiore interesse sociale.

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Abuso di maggioranza e mancata nomina del socio di srl come amministratore
L’abuso di maggioranza costituisce violazione dei doveri contrattuali, che nascono dal contratto di società e, pertanto,  la lesione del socio...

L'abuso di maggioranza costituisce violazione dei doveri contrattuali, che nascono dal contratto di società e, pertanto,  la lesione del socio minoritario, per essere rilevante, deve attenere, in via di principio, al suo diritto partecipativo, cioè al medesimo diritto che entra in gioco nel contratto sociale [nella specie il socio di minoranza contestava di non essere stato nominato amministratore, come invece costantemente avvenuto in passato].

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Marchi raffiguranti giocatori di polo e legittimazione del licenziatario: il Tribunale di Venezia esclude la confondibilità e rigetta l’azione cautelare
Una volta avviata la controversia da parte del titolare del marchio, il licenziatario perde la legittimazione ad agire in proprio...

Una volta avviata la controversia da parte del titolare del marchio, il licenziatario perde la legittimazione ad agire in proprio ma può far valere esclusivamente il proprio diritto ad intervenire nella causa già promossa dal titolare. Tale interpretazione consente al licenziatario di ottenere una piena ed integrale tutela ma, al contempo, evita il proliferare di contenziosi.

L’accertamento circa la confondibilità tra marchi in conflitto deve compiersi in via globale e sintetica, avendo riguardo all'insieme dei loro elementi salienti grafici, visivi e fonetici, nonché di quelli concettuali o semantici, ove esistenti. La valutazione della somiglianza tra due marchi non può limitarsi a prendere in considerazione solo un elemento di un marchio complesso e a confrontarlo con un altro marchio. È necessario, invece, effettuare il confronto esaminando i marchi in questione, considerati ciascuno nel loro insieme, il che non esclude che l'impressione complessiva prodotta nella memoria del pubblico di riferimento da un marchio complesso possa, in determinate circostanze, essere dominato da uno o più dei suoi componenti.

E' noto che il marchio deve possedere capacità distintiva, normalmente garantita attraverso un distacco concettuale, più o meno accentuato, fra il segno e il bene (prodotto o servizio) a cui si riferisce, secondo una ideale curva progressiva del parametro della capricciosità e dell’arbitrarietà del collegamento, che va dalla generica denominazione del prodotto o servizio stesso (che possiede un tasso di distintività pari a zero), sino all’assenza assoluta di collegamento logico (distintività massima), attraverso gradini intermedi che declinano in via decrescente l’intensità del collegamento logico fra segno e prodotto o servizio. Se il collegamento logico è intenso, si parla di marchio debole, se il collegamento logico si fa sempre più evanescente, si parla di marchio sempre più forte.

Quando un marchio è composto da elementi denominativi e da elementi figurativi sebbene i primi siano, in linea di principio, maggiormente distintivi rispetto ai secondi – dato che il consumatore medio farà più facilmente riferimento ai prodotti in oggetto citando il nome del marchio piuttosto che descrivendone l’elemento figurativo – non ne consegue che gli elementi denominativi di un marchio debbano essere sempre considerati più distintivi rispetto agli elementi figurativi, in quanto l’elemento figurativo può, in particolare per la sua forma, le sue dimensioni, il suo colore o la sua collocazione nel segno, occupare una posizione equivalente a quella dell’elemento denominativo; - tale principio – non nuovo nella giurisprudenza comunitaria. Il riferimento al gioco del polo è ampiamente diffuso nel settore della moda e degli accessori e pertanto non costituisce un particolare pregio.

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Natura ed onere probatorio dell’azione sociale di responsabilità ex art. 146 l. fall.
L’azione sociale di responsabilità ex art. 146 l. fall. ha natura contrattuale, sicché il curatore può limitarsi a dimostrare la...

L’azione sociale di responsabilità ex art. 146 l. fall. ha natura contrattuale, sicché il curatore può limitarsi a dimostrare la qualità di amministratore del soggetto convenuto e allegare specificamente l’inadempimento agli obblighi di diligenza, mentre grava sull’amministratore l’onere di dimostrare di aver correttamente adempiuto agli obblighi gestori.

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