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Il requisito del fumus boni juris per l’accoglimento della domanda di descrizione
Il fumus boni juris per la descrizione si esprime in termini di una verosimiglianza di grado inferiore rispetto a quella...

Il fumus boni juris per la descrizione si esprime in termini di una verosimiglianza di grado inferiore rispetto a quella necessaria per il diverso strumento del sequestro attesa la funzione probatoria della misura in esame.

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Marchio debole e secondary meaning nel settore dell’autonoleggio
Un marchio è “forte” quando vi è un distacco concettuale tra il medesimo e il prodotto o il servizio a...

Un marchio è “forte” quando vi è un distacco concettuale tra il medesimo e il prodotto o il servizio a cui si riferisce; invece un marchio è “debole” quando risulta concettualmente legato al prodotto, perché la fantasia di chi lo ha concepito non è andata oltre il rilievo di un carattere o di un elemento del prodotto stesso, oppure quando è costituito da parole di comune diffusione che non sopportano di essere oggetto di un diritto esclusivo. Il marchio che utilizza parole o espressioni di uso comune, con bassa capacità distintiva (es. “RENT”), è qualificabile come “marchio debole” e riceve una tutela più limitata: sono sufficienti lievi differenze per escludere la confondibilità con altri segni simili​.

Il c.d. “secondary meaning” non può essere dimostrato soltanto sulla base dell’intensità della commercializzazione del prodotto o del servizio sul mercato ovvero della diffusione del sito web o della presenza dell’impresa in Internet, in quanto è necessario dimostrare la specifica ulteriore valenza acquisita dal segno distintivo nella percezione dei consumatori.

Ai fini della valutazione della rinomanza di un marchio occorre prendere in considerazione tutti gli elementi rilevanti nella fattispecie e cioè la quota di mercato coperta dal marchio, l’intensità, l’ambito geografico e la durata del suo uso, nonché l’entità degli investimenti realizzati dall’impresa per promuoverlo e le campagne pubblicitarie svolte.

La fattispecie della cd. concorrenza sleale “parassitaria” consiste in un continuo e sistematico operare sulle orme dell’imprenditore concorrente, mediante l’imitazione non tanto dei prodotti, quanto piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali tenuti da quest’ultimo, in un contesto temporale prossimo all’ideazione dell’opera, in quanto effettuata a breve distanza di tempo da ogni singola iniziativa del concorrente (c.d. concorrenza parassitaria diacronica) ovvero dall’ultima e più significativa di esse (c.d. concorrenza parassitaria sincronica). Perciò l’imitazione di un’attività, che al momento in cui è sorta e si è successivamente formata era originale, ma che poi si è generalizzata e spersonalizzata, non costituisce più un atto contrario alla correttezza professionale, idoneo a danneggiare l’altrui azienda.

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Fideiussioni omnibus, nullità parziale delle clausole conformi allo schema ABI e qualifica di “consumatore” in capo al fideiussore
I contratti di fideiussione “a valle” di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con...

I contratti di fideiussione “a valle” di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata - perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.

 

Nel contratto di fideiussione i requisiti soggettivi per l’applicazione della disciplina consumeristica devono essere valutati con riferimento alle parti di esso, senza considerare il contratto principale, dovendosi pertanto disattendere l’orientamento tradizionale del “professionista di rimbalzo” o “di riflesso”. Si dovrà perciò qualificare come consumatore il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professionale (o anche più attività professionali), stipuli il contratto di garanzia per finalità estranee alla stessa, nel senso che la prestazione della fideiussione non deve costituire atto espressivo di tale attività, né essere strettamente funzionale al suo svolgimento (c.d. “atti strumentali in senso proprio”). Ai fini di valutare l’applicabilità della disciplina consumeristica in relazione ad un contratto di fideiussione stipulato da un socio in favore della società, è necessario dare rilievo all’entità della partecipazione al capitale sociale detenuta dal garante nonché all’eventuale sua qualità di amministratore, trattandosi di elementi idonei a provare il coinvolgimento del fideiussore nell’attività imprenditoriale svolta dalla debitrice principale.

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La sostituzione dei moduli negoziali originariamente attuativi dell’intesa illecita impedisce la declaratoria di nullità dei contratti già emendati.
La sostituzione, in epoca anteriore all’introduzione del giudizio, dei moduli negoziali originari con altri moduli privi delle clausole (in tesi)...

La sostituzione, in epoca anteriore all’introduzione del giudizio, dei moduli negoziali originari con altri moduli privi delle clausole (in tesi) attuative dell’intesa illecita fa sì che gli attori non possano ottenere la declaratoria di nullità di contratti ormai emendati e perciò resi non più conformi allo schema ABI oggetto di contestazione. [Nel caso di specie, gli attori agivano in giudizio per ottenere la declaratoria di nullità  totale e, in subordine, parziale, di alcuni contratti di fideiussione stipulati nel maggio 2007, sostenendo che le clausole di deroga all’art. 1957 c.c., di “reviviscenza” e di “sopravvivenza” fossero conformi a quelle dello schema ABI censurato da Banca d'Italia con provvedimento n. 55/2005 per violazione della normativa antitrust. Il Tribunale, tuttavia, ha rigettato le domande attoree in quanto gli stessi contratti risultavano essere stati sostituiti con altri non più riproduttivi delle clausole oggetto di censura].

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Diffusione illecita di immagini sul web: periculum in mora ai fini della tutela inibitoria
Sussiste il presupposto cautelare del grave pregiudizio nel ritardo per concedere la tutela inibitoria di cui all’art. 163 l.d.a. in...

Sussiste il presupposto cautelare del grave pregiudizio nel ritardo per concedere la tutela inibitoria di cui all'art. 163 l.d.a. in un caso in cui la diffusione incontrollata e incontrollabile sul web di immagini protette dal diritto d'autore e da un diritto di sfruttamento economico in esclusiva - senza alcuna indicazione dei relativi titolari - rende le immagini potenzialmente accessibili a titolo gratuito ad un numero indeterminato di utenti, poiché essa comporta, da un lato, il continuo protrarsi e aggravarsi nel tempo della lesione del diritto di sfruttamento economico delle immagini in esame, in termini di costante perdita di valore commerciale delle fotografie poiché introduce un elemento di forte dissuasione all’acquisto da parte di potenziali clienti alla ricerca di immagini più esclusive e, dall’altro, l’estrema difficoltà di una successiva quantificazione del danno da ristorare per equivalente.

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Responsabilità extracontrattuale per “bullismo mediatico” e risarcimento del danno
Non è configurabile un comportamento integrante un illecito di concorrenza sleale per atti di “bullismo mediatico” qualora non sia provata...

Non è configurabile un comportamento integrante un illecito di concorrenza sleale per atti di "bullismo mediatico" qualora non sia provata da chi si assume danneggiato la qualifica di imprenditore del danneggiante, necessaria ai fini di un’ipotesi di cui all’art. 2598, n. 2, c.c.. Presupposto della configurabilità di un atto di concorrenza sleale è infatti la sussistenza di una situazione di concorrenzialità tra due o più imprenditori, con la conseguenza che essa ricorre solo se entrambi i soggetti, attivo e passivo, dell’illecito rivestono la qualità di imprenditori secondo la nozione delineata dall’art. 2082 c.c. Ai fini di tale prova, è irrilevante il fatto che il danneggiante avesse pacificamente provveduto alla commercializzazione di alcune magliette e adesivi contenenti messaggi volti a ridicolizzare l'altra parte, essendo tale circostanza, in sé considerata, insufficiente.

Quanto all'elemento soggettivo, ai fini della configurazione di un illecito diffamatorio, integrante responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., non è necessaria la prova della sussistenza di un animus inuriandi vel diffamandi, essendo sufficiente la volontà di comunicare a più persone il fatto lesivo dell’altrui reputazione, nella volontà cosciente e libera di usare espressioni offensive.

In tema di responsabilità civile per diffamazione, il pregiudizio all'onore ed alla reputazione, di cui si invoca il risarcimento, non è "in re ipsa", identificandosi il danno risarcibile non con la lesione dell'interesse tutelato dall'ordinamento ma con le conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni, assumendo a tal fine rilevanza, quali parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della vittima.

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È contraffazione la vendita dei prodotti in licenza successiva alla risoluzione del contratto
Costituisce contraffazione di marchio e di design la condotta di una società che, nonostante la risoluzione del contratto di licenza...

Costituisce contraffazione di marchio e di design la condotta di una società che, nonostante la risoluzione del contratto di licenza ed esorbitando i limiti delle prorogate facoltà di produzione e commercializzazione, ha venduto al dettaglio gli stessi capi oggetto di licenza, tra i quali anche esemplari fallati, eccedenze di produzione e articoli non ritirati dai clienti, in quanto si tratta di attività commerciali che non aveva più alcun legittimo titolo di svolgere utilizzando il marchio ed il design oggetto del contratto di licenza risolto.

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Accordo di coesistenza e clausola compromissoria
È fondata l’eccezione di incompetenza del giudice ordinario rispetto ad una domanda giudiziale di accertamento di contraffazione che, pur formalmente...

È fondata l'eccezione di incompetenza del giudice ordinario rispetto ad una domanda giudiziale di accertamento di contraffazione che, pur formalmente qualificata come illecito contrattuale quale violazione di marchi registrati in titolarità dell'attrice, in realtà presuppone l'interpretazione del contenuto e dei limiti di un accordo di coesistenza, demandata ad arbitri irrituali in forza di clausola compromissoria contenuta nello stesso accordo: pertanto la domanda è improcedibile a causa del potere attribuito agli arbitri dalla clausola compromissoria.

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Fideiussioni omnibus: i limiti del provvedimento n. 55/2005 di Banca d’Italia
Qualunque fattispecie al di fuori del perimetro oggettivo e temporale dell’accertamento contenuto nella decisione n. 55/2005 di Banca d’Italia non...

Qualunque fattispecie al di fuori del perimetro oggettivo e temporale dell'accertamento contenuto nella decisione n. 55/2005 di Banca d’Italia non può essere risolta semplicemente applicando le conclusioni cui l’Autorità è pervenuta, non estendendosi esse automaticamente a fatti diversi e/o successivi a quelli specificamente indagati. In quella sede, l’Autorità di vigilanza aveva infatti accertato l’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza limitatamente al settore delle fideiussioni omnibus bancarie e nel solo periodo compreso tra il 2002 e il 2005. Al di fuori del perimetro oggettivo e temporale dell'accertamento di Banca d'Italia, come in qualunque causa stand alone, l’onere della prova dell’illecito anticoncorrenziale grava allora sulla parte che ne assume l’esistenza secondo le regole ordinarie del processo civile. [Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto inutilizzabile la decisione della Banca d’Italia come prova privilegiata dell’illecito anticoncorrenziale in quanto i contratti di cui gli attori invocavano la nullità erano qualificabili come contratti autonomi di garanzia e non come fideiussioni. Peraltro, erano stati stipulati dopo il 2005 ed erano volti a garantire non per operazioni bancarie ma di leasing].

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Fideiussioni omnibus: clausole conformi al modello ABI e divieto di doppia garanzia ex art. 4.4, Parte II, All., DM 23.9.2005
Il provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2 maggio 2005 costituisce prova privilegiata dell’esistenza di una intesa illecita anticoncorrenziale...

Il provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2 maggio 2005 costituisce prova privilegiata dell’esistenza di una intesa illecita anticoncorrenziale con riferimento alle sole fideiussioni omnibus che si collocano nell’arco temporale (ottobre 2002 - maggio 2005) oggetto dell’istruttoria condotta dalla Banca d’Italia, all’epoca Autorità Garante per la concorrenza tra istituti di credito, sfociata nell’emanazione del provvedimento stesso. Esso non è invece applicabile alle fideiussioni specifiche, le quali si collocano al di fuori del campo di indagine oggetto dell’istruttoria svolta dalla Banca d’Italia, riferito alle sole fideiussioni omnibus (par. 9 provvedimento) e del conseguente ambito di produzione di effetti del provvedimento stesso, nè a fideiussioni stipulate tra il 2014 e il 2016, per la distanza temporale che intercorre tra l’illecito accertato dalla Banca d’Italia nel lontano 2005 e l’epoca di sottoscrizione delle fideiussioni dedotte in giudizio. In tali casi, l’azione di nullità va inquadrata nelle azioni c.d. “stand alone”, in cui l’attore è chiamato a dar prova dei fatti costitutivi della domanda ex art. 2697 c.c. Lo stesso, quindi, deve dimostrare la persistenza e attualità, all’epoca della stipula delle fideiussioni, di una intesa illecita fra istituti di credito relativa all’applicazione uniforme e, quindi, anticoncorrenziale delle clausole 2, 6 e 8 previste dallo schema ABI del 2003, intesa accertata col provvedimento del 2005, il cui valore di prova privilegiata di una intesa antitrust tuttavia si affievolisce, sino a esaurirsi, con riguardo a condotte tenute in epoca distante da quella oggetto dell’accertamento risalente al 2005. Peraltro, a prescindere dal profilo antitrust, le singole clausole di una fideiussione corrispondenti alle clausole 2, 6 e 8 dello schema ABI del 2003, censurate dalla Banca d’Italia con il provvedimento n. 55/2005, non sono, per il resto, contrarie a norme imperative, bensì legittimamente derogatorie di norme codicistiche.

 

In tema di fideiussione per obbligazioni future (e, quindi, solo di fideiussioni omnibus) per l’applicazione dell’art.1956 c.c. – a mente del quale il fideiussore è liberato in caso di finanziamenti al terzo nonostante il sopravvenuto deterioramento delle sue condizioni economiche, conosciuto dal creditore – devono ricorrere sia il requisito oggettivo della concessione di un ulteriore finanziamento successivo al deterioramento delle condizioni economiche del debitore, sopravvenuto alla prestazione della garanzia, sia il requisito soggettivo della consapevolezza del creditore del mutamento delle condizioni economiche del debitore, raffrontate a quelle esistenti all’atto della costituzione del rapporto. Inoltre, il fideiussore che invochi l’applicazione dell’art. 1956 c.c. ha l’onere di provare, ai sensi dell’art.2697 c.c. che successivamente alla prestazione della fideiussione per obbligazioni future, il creditore, senza l’autorizzazione del fideiussore, abbia fatto credito al terzo pur essendo consapevole dell’intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche in misura tale da ingenerare il fondato timore che questi potesse divenire insolvente. Quindi, la violazione da parte del fideiussore dell’art.1956 c.c., ricollegabile al principio di buona fede nell’esecuzione del rapporto, presuppone l’onere per il fideiussore di dimostrare che la banca conosceva il peggioramento della situazione del debitore principale e che lo abbia occultato al garante, prova che tuttavia gli attori non hanno fornito nel presente giudizio

 

Con riguardo alla violazione del divieto di doppia garanzia sulla quota di finanziamento che beneficia della garanzia pubblica del Fondo di Garanzia, previsto dal punto sub 4.4. della Parte II dell’Allegato al DM 23 settembre 2005, che preclude all’istituto di credito erogante il finanziamento di munirsi di ulteriore garanzia reale, bancaria o assicurativa sulla parte del finanziamento garantita dal Fondo di Garanzia, si rileva che tale divieto non risulta testualmente esteso anche alle garanzie personali (come la fideiussione). Inoltre, il disposto dell’art. 4.4 è applicabile solo nell’ambito del rapporto interno tra il Fondo di Garanzia e il soggetto finanziatore (banca), rapporto rispetto al quale il soggetto beneficiario del finanziamento si pone come terzo estraneo. Ne consegue che il predetto divieto, contenuto in una norma di rango secondario relativa alle condizioni di ammissibilità della garanzia pubblica, non può incidere sul rapporto contrattuale che intercorre tra i fideiussori e la banca. Pertanto, la surroga legale del Fondo di Garanzia non soffre limitazioni e si realizza anche nei confronti dei fideiussori.

 

Nel contratto di fideiussione i requisiti soggettivi per l’applicazione della disciplina consumeristica devono essere valutati con riferimento alle parti di esso e non già al distinto contratto principale, dando rilievo all’entità della partecipazione al capitale sociale, nonché all’eventuale qualità di amministratore della società garantita assunta dal fideiussore.

 

La decadenza del creditore dal diritto di pretendere l’adempimento dell’obbligazione fideiussoria, sancita dall’art. 1957 c.c., per effetto della mancata tempestiva proposizione delle azioni contro il debitore principale, può formare oggetto di rinuncia preventiva da parte del fideiussore o essere comunque derogata dalle parti, sia esplicitamente sia implicitamente, attraverso un comportamento concludente, trattandosi di pattuizione rimessa alla disponibilità delle parti che non urta contro alcun principio di ordine pubblico, comportando soltanto l’assunzione, da parte del fideiussore, del maggior rischio inerente al mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore. La clausola relativa a detta rinuncia non rientra, inoltre, tra quelle particolarmente onerose per le quali l’art. 1341, comma 2, c.c. esige, nel caso che siano predisposte da uno dei contraenti, la specifica approvazione per iscritto dell’altro contraente

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Domanda di nullità della fideiussione omnibus e mancata produzione del Provvedimento di Banca d’Italia n. 55/2005
Il modello predisposto dall’ABI e giudicato contrastante con la normativa antitrust con provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2005...

Il modello predisposto dall’ABI e giudicato contrastante con la normativa antitrust con provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2005 conteneva clausole che, se applicate in modo uniforme, sarebbero risultate in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/1990. Si trattava delle clausole di deroga al termine di decadenza previsto dall’art. 1957 c.c., di c.d. “reviviscenza” e di c.d. “sopravvivenza”. La Banca d’Italia aveva evidenziato in particolare come le verifiche compiute nel corso dell’istruttoria avessero mostrato, con riferimento alle clausole esaminate, la sostanziale uniformità dei contratti utilizzati dalle banche rispetto allo schema standard dell’ABI e come tale uniformità discendesse da una consolidata prassi bancaria preesistente rispetto allo schema dell’ABI, che non era ancora diffuso presso le associate, che avrebbe potuto però essere perpetuata dall’effettiva introduzione di quest’ultimo. A tale conclusione l’Istituto era pervenuto sulla scorta del parere reso dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato in data 22 agosto 2003, secondo cui l’ampia diffusione delle clausole oggetto di verifica non poteva essere ascritta a un fenomeno spontaneo del mercato, ma piuttosto agli effetti di un’intesa esistente tra le banche sul tema della contrattualistica. [Nel caso di specie, il Tribunale ha respinto la domanda di accertamento della nullità della fideiussione omnibus per asserita conformità allo schema ABI in quanto l'attore non aveva prodotto in giudizio il Provvedimento di Banca d'Italia n. 55/2005 e, in ogni caso, le clausole della fideiussione divergevano da quelle censurate dall'Autorità. Inoltre, il Tribunale ha rilevato come la fideiussione fosse stata stipulata nel 2017, quindi, diversi anni dopo il periodo preso in considerazione da Banca d'Italia ai fini dell'accertamento dell'intesa restrittiva della concorrenza].

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Marchio debole localmente noto, terzo utilizzatore di segno simile e rischio di associazione
Sussiste il rischio di associazione tra i segni aziendali quando il pubblico possa essere indotto in errore circa la sussistenza...

Sussiste il rischio di associazione tra i segni aziendali quando il pubblico possa essere indotto in errore circa la sussistenza di un particolare legame commerciale o di gruppo tra l'impresa terza e il titolare del marchio, ovvero possa essere indotto a credere che i due prodotti provengano da imprese distinte tra le quali intercorrano rapporti di licenza o di autorizzazione all'uso del marchio stesso, non avendo rilievo che il marchio sia qualificabile come marchio “debole”, quando la modifica successivamente intervenuta ai segni della resistente non è idonea ad escludere il rischio di “associazione” tra le due aziende, per effetto del permanere dell’estrema somiglianza degli altri elementi (collocazione dell’immagine figurativa, font tipografico e colori utilizzati).

Quanto al periculum, la eventuale coesistenza protratta nel tempo di entrambi segni aziendali è idonea a determinare un annacquamento del potere distintivo del marchio registrato dalla ricorrente e/o uno sviamento di clientela con effetti pregiudizievoli difficilmente prevedibili e /o quantificabili.

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