Se il ricorrente nulla deduce in ordine ad una eventuale incapienza del patrimonio del resistente (patrimonio che, anzi, nel caso di specie, risulta di rilevante consistenza sia per proprietà immobiliari sia per redditi professionali sia per partecipazioni societarie ed aumentato di recente tramite l’acquisto di ulteriore immobile) non sussiste il timore di perdere la garanzia generica del proprio credito idoneo a fondare l’adozione della misura cautelare richiesta.
Il socio che prospetti di avere subito un danno per la riduzione del valore della sua partecipazione causato dalla condotta dell'amministratore e indichi che intenda far valere nell'azione di merito il danno subito in proprio (e non nell'interesse della società), non può domandare il sequestro conservativo dei beni dell’amministratore.
L'evento della morte o della perdita della capacità processuale della parte costituita che sia dichiarato in udienza o notificato alle altre parti dal procuratore della stessa parte colpita da uno di detti eventi produce, ai sensi dell'art. 300, c. 2, c.p.c., l'effetto automatico dell'interruzione del processo dal momento di tale dichiarazione o notificazione e il conseguente termine per la riassunzione, in tale ipotesi, come previsto in generale dall'art. 305 c.p.c., decorre dal momento in cui interviene la dichiarazione del procuratore o la notificazione dell'evento, ad opera dello stesso, nei confronti delle altre parti, senza che abbia alcuna efficacia, a tal fine, il momento nel quale venga adottato e conosciuto il provvedimento giudiziale dichiarativo dell'intervenuta interruzione (avente natura meramente ricognitiva) pronunziato successivamente e senza che tale disciplina incida negativamente sul diritto di difesa delle parti. Da tanto consegue che il termine perentorio di tre mesi di cui all’art. 305 c.p.c. per la riassunzione del processo decorre, anche riguardo agli eredi della persona colpita dall’evento interruttivo, dalla notificazione dell’evento stesso da parte del procuratore costituito per la parte deceduta.
La comunicazione della dichiarazione dell’evento interruttivo del giudizio, effettuata mediante posta elettronica certificata dal difensore della parte interessata dallo stesso a quello della controparte, è equivalente, ai sensi dell’art. 48, cc. 1 e 2, D.lgs. 82/2005, alla notificazione a mezzo posta ed è pertanto idonea, in mancanza di prova contraria, a dimostrare la conoscenza legale dell'evento da parte del destinatario.
L'espressa adesione di parte opposta all'eccezione di improcedibilità della domanda esclude in radice ogni materia del contendere e fa venire meno la necessità di una pronuncia da parte del giudice.
L’adesione di parte opposta all’eccezione di improcedibilità della domanda sollevata da una società sottoposta a sequestro preventivo finalizzato alla confisca ai cui danni sia stato emesso un decreto ingiuntivo di pagamento comporta la dichiarazione di cessazione della materia del contendere da parte del giudice e, di conseguenza, la revoca del decreto ingiuntivo.
In caso di carenza di rappresentanza processuale o di autorizzazione, mentre ai sensi dell'art. 182 c.p.c. il giudice che rilevi d'ufficio tale difetto deve promuoverne la sanatoria (assegnando alla parte un termine di carattere perentorio senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze di carattere processuale), nella diversa ipotesi in cui detto vizio sia stato tempestivamente eccepito da una parte l'opportuna documentazione va prodotta immediatamente, giacché su tale rilievo il destinatario è chiamato a contraddire senza potersi giovare del termine sanante.
Il fondato timore del creditore di perdere la garanzia patrimoniale generica del suo diritto, costituente elemento indefettibile per invocare la tutela assicurata dal sequestro conservativo, presuppone logicamente l’attuale esistenza nel patrimonio del debitore di beni rispetto a cui concepire il pericolo di alienazione e dispersione. Ne deriva l’inconfigurabilità logica del pericolo di compromissione della garanzia patrimoniale generica ove, al momento della proposizione del ricorso cautelare, il debitore sia già nullatenente potendo il creditore, ove lo sia divenuto per effetto di atti di disposizione in frode ai creditori, solo ricorrere allo strumento della revocatoria.
Nel concedere un sequestro conservativo, il giudice di merito può fare riferimento a (i) criteri oggettivi, rappresentati dalla capacità patrimoniale del debitore in relazione all’entità del credito, ovvero (ii) criteri soggettivi, rappresentati dal comportamento del debitore, il quale lasci fondatamente temere atti di depauperamento del patrimonio, con l’unico obbligo di motivare adeguatamente il suo convincimento; censurando, di converso e conseguenza, il ricorso ad astratte petizioni di principio e palesi tautologie ogniqualvolta manchi, nei motivi del ricorso, alcun accenno a precisi e concreti fattori oggettivi o soggettivi che facciano fondatamente temere, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, l’imminenza della dispersione del patrimonio.
La capacità patrimoniale del debitore in relazione all’entità del credito, in realtà, non costituisce di per sé sola una corretta declinazione del requisito di legge in quanto, in difetto di indizi di dispersione recente o imminente, l’applicazione di tale criterio porterebbe a colpire sempre e comunque debitori scarsamente possidenti o capienti, facendo invece salvi quelli che possano dimostrare di essere titolari di un patrimonio residuo rilevante: il che evidentemente tradirebbe la ratio della norma stessa. D’altro canto, tra i criteri soggettivi assume particolare rilievo l’abitualità del debitore nel tenere condotte illecite, contrattuali o meno che siano; ovvero la natura di quest’ultime, qualora rivestano caratteristiche di particolare disvalore giuridico (ad esempio perché integrano anche gli estremi di un reato punito dalla legge penale).
Si ritiene rilevante, ai fini della concessione di un sequestro conservativo, (i) per quanto riguarda il fumus boni iuris, la situazione quantomeno di allarmante tensione finanziaria dell’impresa sociale, come risultante dai verbali del collegio sindacale e del comitato per il controllo sulla gestione, in particolare nei periodi a cui si riferiscono omissioni fiscali e previdenziali che abbiano dato luogo a sicuro pregiudizio per l’ente corrispondente all’ammontare di interessi, aggi e sanzioni; (ii) per quanto riguarda, invece, il periculum in mora, (a) dal punto di vista soggettivo, la condotta addebitata agli amministratori, consistente nel finanziare, per anni e nonostante i rilievi del collegio sindacale, l’impresa, omettendo i versamenti fiscali e previdenziali obbligatori così mettendo a rischio la massa dei creditori, rappresentando un indice di noncuranza delle ragioni dei creditori, e (b) dal punto di vista oggettivo, il rischio che i beni immobili degli amministratori resistenti siano passibili di aggressioni ad opera di altri soggetti.
Si ritiene invece non rilevante ai fini della sussistenza del fumus boni iuris l’addebito relativo alla indebita prosecuzione di attività di impresa, in quanto bisognoso di ulteriori approfondimenti istruttori, di per sé incompatibili con la fase cautelare, in particolare quanto alla precisa individuazione della data di effettiva perdita della continuità aziendale e/o del capitale sociale in capo alla società e quanto alle connesse rettifiche dei dati di bilancio sui quali basare il calcolo della differenza dei netti patrimoniali a fini della quantificazione del danno.
È consolidato nella giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 23452/2019) il principio secondo il quale l’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l.f. cumuli in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali. L’esercizio unitario di tali azioni non esclude tuttavia l’autonomia delle stesse, che rimangono, per quanto uno actu esercitate, distinte e diversamente connotate nei loro presupposti e nella loro natura giudica, seppure entrambe finalizzate all’unitario obiettivo della curatela di recuperare all’attivo fallimentare tutto quanto “sottratto” o “perduto” per fatti imputabili agli amministratori, ai liquidatori o ai sindaci.
Il sequestro conservativo e il sequestro preventivo penale possono coesistere, dovendo quest'ultimo colpire le "le cose pertinenti al reato per cui si procede" per l'ipotesi di "esistenza di una possibile situazione di pericolo (aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato ovvero agevolazione della commissione d'altri reati) generata dalla libera disponibilità delle cose medesime" ed è finalizzato allo loro confisca in pro dello Stato.