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Ritrasferimento ex art. 2932 c.c. di partecipazioni cedute in via fiduciaria con patto di retrocessione
Con l’accordo fiduciario una parte, nella veste di fiduciante, trasferisce ad un’altra, nella qualità di fiduciario, la titolarità di una...

Con l’accordo fiduciario una parte, nella veste di fiduciante, trasferisce ad un’altra, nella qualità di fiduciario, la titolarità di una res, con il vincolo in capo al fiduciario - in virtù del c.d. pactum fiduciae - di ritrasferire la stessa al fiduciante o ad altro soggetto da lui designato entro un certo termine ovvero al verificarsi di una certa condizione, che comporti il venir meno del rapporto fiduciario. Il negozio fiduciario determina dunque un’interposizione reale di persona, attraverso la quale l’interposto acquista la titolarità della res, pur essendo obbligato a tenere un certo comportamento stabilito con il fiduciante. Il trasferimento ha efficacia reale mentre il patto restitutorio ha forza meramente obbligatoria. Tale figura si contrappone all’interposizione fittizia realizzata dal negozio simulato, ove per comune volontà delle parti la titolarità del bene oggetto del contratto permane in capo al simulato alienante.

La prova del pactum fiduciae, laddove costituisca un accordo connesso e collaterale, ulteriore - e non contrario ed in antitesi - rispetto al regolamento negoziale principale cui accede, non soggiace ai limiti della prova testimoniale di cui agli artt. 2721 ss. c.c. Tale prova può essere raggiunta pertanto anche mediante ragionamento presuntivo secondo il dettato dell’art. 2729 c.c. In particolare, il patto fiduciario che abbia ad oggetto il trasferimento di quote societarie non richiede la forma scritta ad substantiam o ad probationem.

L’attività giuridica che il fiduciario si impegna a svolgere per conto del fiduciante deve risulta dall’accordo fiduciario. Tale patto limita l’esercizio del diritto attribuito al fiduciario entro i confini e gli effetti voluti dai contraenti. Peraltro, ove il fiduciario agisca in modo difforme dalle direttive del fiduciante, è configurabile l’abuso del pactum fiduciae. Considerato che il finanziamento soci costituisce una scelta del socio uti singulo, qualora il fiduciario intenda sostenere di aver compiuto tale versamento per conto del fiduciante, egli deve provare di avere ricevuto istruzioni in tale senso dal fiduciante.

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Finanziamenti soci e pagamenti preferenziali effettuati in condizione di crisi
La fattispecie del finanziamento di natura postergata ai sensi dell’art. 2467 c.c. necessita dei seguenti presupposti: sotto il profilo soggettivo,...

La fattispecie del finanziamento di natura postergata ai sensi dell'art. 2467 c.c. necessita dei seguenti presupposti: sotto il profilo soggettivo, che il finanziamento sia effettuato dai soci, i quali si presume siano a conoscenza dello stato di squilibrio patrimoniale della società; sotto il profilo oggettivo, che i finanziamenti siano concessi in un momento in cui, attesa la situazione di squilibrio patrimoniale e finanziaria, sarebbe ragionevole un conferimento.

La ratio di tale istituto consiste infatti nell’esigenza di tutelare la massa dei creditori dalla condotta dei soci, i quali, non conferendo capitale ma operando finanziamenti, traslano in tale guisa il rischio di impresa sugli altri creditori, proseguendo così l’attività sociale in danno di questi ultimi e producendo, pertanto, una alterazione dei loro interessi nei confronti della società.

È necessario, inoltre, che al momento della richiesta del rimborso persista lo squilibrio finanziario e/o patrimoniale da parte del socio finanziatore, rispetto al quale gli amministratori sono tenuti ad eccepire la condizione di inesigibilità del credito derivante dalla postergazione, in presenza di altri creditori insoddisfatti. Pertanto, la società è tenuta a rifiutare al socio il rimborso del finanziamento, in presenza della indicata situazione, ove esistente al momento della concessione del finanziamento, ed a quello della richiesta di rimborso, che è compito dell'organo gestorio riscontrare mediante la previa adozione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, in grado di rilevare la situazione di crisi. Il credito postergato è, infatti, inesigibile, e pertanto insuscettibile di rimborso al socio, fintanto che non siano prima soddisfatti i creditori sociali. La postergazione opera già durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apra un concorso formale con gli altri creditori sociali, integrando una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento, sino a quando non sia superata la situazione prevista dalla norma.

Va altresì precisato che: il credito qualificato come postergato conserva tale caratteristica anche se ceduto, secondo le regole generali (art. 1263 c.c.);  il rimedio esaminato si estende anche ai finanziamenti atipici; infine, sotto il profilo probatorio, è onere della parte che rileva il carattere postergato dei finanziamenti dimostrare la ricorrenza delle condizioni previste dall’art. 2467 c.c.

Il danno da indebito pagamento del credito postergato si identifica con la differenza tra quanto il creditore ha ricevuto e quanto lo stesso, adottando un giudizio controfattuale, avrebbe ricevuto se si fosse rispettata la graduazione dei crediti. Il  pagamento preferenziale effettuato in una situazione di dissesto costituisce un pregiudizio non solo per il singolo creditore ma anche per l’intero patrimonio sociale che, a seguito del pagamento illegittimo, risulta ridotto in misura superiore rispetto a quanto sarebbe accaduto se il pagamento fosse stato effettuato. Il pagamento preferenziale in una situazione di dissesto può comportare una riduzione del patrimonio sociale in misura anche di molto superiore a quella che si determinerebbe nel rispetto del principio del pari concorso dei creditori. Infatti, la destinazione del patrimonio sociale alla garanzia dei creditori va considerata nella prospettiva della prevedibile procedura concorsuale, che espone i creditori alla falcidia fallimentare. Del resto, anche dal punto di vista strettamente contabile, il pagamento di un creditore in misura superiore a quella che otterrebbe in sede concorsuale comporta per la massa dei creditori una minore disponibilità patrimoniale cagionata appunto dall’inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale in funzione di garanzia dei creditori.

Quando la società versa in stato di insufficienza patrimoniale irreversibile, il pagamento di debiti sociali senza il rispetto delle cause legittime di prelazione, quindi in violazione della par condicio creditorum, costituisce un fatto generativo di responsabilità degli amministratori verso i creditori, salvo che sia giustificato dal compimento di operazioni conservative dell’integrità e del valore del patrimonio sociale, a garanzia dei creditori medesimi.

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Azione unitaria ex art. 146 l.fall. proposta dal curatore e onere della prova
Dopo il fallimento della società le azioni di cui agli artt. 2392 e 2394 c.c. (ante riforma) confluiscono nell’unica azione...

Dopo il fallimento della società le azioni di cui agli artt. 2392 e 2394 c.c. (ante riforma) confluiscono nell’unica azione prevista dall’art. 146 l.fall., al cui esercizio è esclusivamente legittimato il curatore fallimentare. Tuttavia, la legittimazione del curatore non fa mutare la natura e i regimi probatori delle due azioni: l’azione sociale conserva natura contrattuale e, quindi, grava sull’attore (società o curatela fallimentare) il solo onere di dimostrare le violazione di legge, dell’atto costitutivo o del generale obbligo di diligenza (presumendosi l’inadempimento colposo) e da parte degli amministratori, il nesso causale tra violazione e danno lamentato, mentre incombe sull’amministratore convenuto l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso; l’azione dei creditori sociali, mantiene natura extracontrattuale e presuppone un comportamento dell’amministratore causativo di una diminuzione del patrimonio sociale , con conseguente diritto dell’attore (creditore sociale o curatore) di ottenere l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di adempiere.

Qualora il curatore agisca in giudizio per far valere la responsabilità dell’organo amministrativo per violazione degli obblighi derivanti dalla perdita del capitale sociale, deve allegare l’inadempimento dell’amministratore astrattamente idonee a cagionare il danno lamentato, indicando le ragioni che hanno impedito lo specifico accertamento degli effetti dannosi e non potendo applicarsi il criterio  della differenza tra passivo accertato e attivo fallimentare sempre e in via automatica, utilizzabile come parametro per una valutazione equitativa. Ove sia allegata la prosecuzione dell’attività nonostante l’erosione del capitale sociale, il curatore deve poi provare, anche mediante il ricorso a presunzioni, che le scelte di assunzione di nuovo rischio sono state adottate al di fuori di una logica meramente conservativa. Anche in questo caso è ammissibile la liquidazione del danno in via equitativa secondo il criterio dei netti patrimoniali, fermo tuttavia che non tutta la perdita riscontrata dopo la causa di scioglimento illegittimamente non rilevata può non essere integralmente riferita alla prosecuzione dell’attività, potendo prodursi anche in pendenza di liquidazione o fallimento.

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Responsabilità dell’amministratore per mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili e dei libri sociali
Per potere affermare la responsabilità dell’amministratore occorre la prova che la società abbia subito un danno quale diretta conseguenza della...

Per potere affermare la responsabilità dell’amministratore occorre la prova che la società abbia subito un danno quale diretta conseguenza della sua azione o omissione posta in essere nell’esercizio delle sue funzioni. Il comportamento dell’amministratore non può invece essere sindacato, anche se contrario ai suoi doveri, se non ha determinato alcun danno. La tenuta irregolare dei libri e delle scritture contabili, sebbene accertata, non è quindi causa di responsabilità risarcitoria dell’amministratore ove non sia dimostrato che dette irregolarità abbiano comportato il depauperamento del patrimonio sociale.

Il debito risarcitorio ex art. 2393 c.c. ha natura di debito di valore – come tale sensibile al fenomeno della svalutazione monetaria sino al momento della sua liquidazione – ancorché il danno consista nella perdita di una somma di danaro, costituendo questo solo un elemento per la commisurazione dell’ammontare del danno, privo di incidenza rispetto alla natura del vincolo.

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L’azione di responsabilità ex art. 2476, co. 3, c.c.: sopravvenuta perdita della qualità di socio ed effetti processuali
Nel giudizio di responsabilità promosso dal socio di s.r.l. nei confronti dell’amministratore ai sensi dell’art. 2476 c.c., la società è...

Nel giudizio di responsabilità promosso dal socio di s.r.l. nei confronti dell'amministratore ai sensi dell'art. 2476 c.c., la società è litisconsorte necessario e l'amministratore, in quanto munito di poteri di rappresentanza dell'ente, versa in una situazione di conflitto di interessi che richiede la nomina di un curatore speciale, il quale mantiene la legitimatio ad processum solo fino a quando i soci non provvedono alla designazione di un nuovo legale rappresentante, spettando, poi, al giudice, acquisita la notizia, concedere un termine perentorio per la costituzione di quest'ultimo, in applicazione dell'art. 182, comma 2, c.p.c., pena la nullità degli atti processuali compiuti dopo tale designazione.

La legittimazione ad esperire il rimedio contemplato dal terzo comma dell’art. 2476 c.c. compete – altre che alla società interessata – esclusivamente a coloro che rivestano la qualità di soci della s.r.l. danneggiata dalle condotte di mala gestio degli amministratori. Inoltre, in quanto integrante il presupposto della speciale legittimazione ad agire in veste di sostituto processuale della società danneggiata, lo status di socio in capo all’istante deve persistere per l’intera durata del giudizio. Le condizioni dell’azione, infatti, devono sussistere non solo all’atto della proposizione della domanda giudiziale, ma anche al momento della pronuncia.

L'azione individuale del socio nei confronti dell'amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l'art. 2395 c.c. esige che il singolo socio sia stato danneggiato direttamente dagli atti colposi o dolosi dell'amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società. La mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscono danno diretto del singolo socio, poiché gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all'eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell'amministratore.

La cessazione della materia del contendere, quale evento preclusivo della pronuncia giudiziale, può configurarsi solo quando, nel corso del processo, sopravvenga una situazione che elimini completamente ed in tutti i suoi aspetti la posizione di contrasto tra le parti, facendo in tal modo venir meno del tutto la necessità di una decisione sulla domanda quale originariamente proposta in giudizio ed escludendo così sotto ogni profilo l’interesse delle parti ad ottenere l’accertamento, positivo o negativo, del diritto, o di alcuno dei diritti inizialmente dedotto in causa. La cessazione della materia del contendere non preclude la decisione sulle spese di lite, che deve avvenire facendo ricorso alla regola della soccombenza virtuale.

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Esclusione del socio dalla società cooperativa: conseguenze dello scioglimento del rapporto mutualistico
In tema di società cooperative, l’esclusione del socio dalla società comporta lo scioglimento del rapporto mutualistico e, se del caso,...

In tema di società cooperative, l’esclusione del socio dalla società comporta lo scioglimento del rapporto mutualistico e, se del caso, lo scioglimento del rapporto di assegnazione in godimento dell’alloggio. In tale ipotesi, il socio escluso è tenuto al rilascio dell’immobile, nonché al pagamento in favore della cooperativa: (i) dei canoni di godimento insoluti; (ii) dell’indennità di occupazione sine titulo dell’alloggio nel periodo successivo alla risoluzione del rapporto e fino all’effettivo rilascio dell’immobile; (iii) delle spese di gestione dell’alloggio.

Il credito per canoni contrattuali scaduti è un credito pecuniario di valuta soggetto al principio nominalistico ex art 1277 c.c., che produce interessi al tasso di legge dalla scadenza di ogni rata non pagata al saldo effettivo. Tale regime degli interessi è applicabile anche al credito per indennità di occupazione.

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Necessità di motivazione dell’esclusione di un socio di una s.r.l.
La delibera di esclusione del socio di una società di capitali deve essere accompagnata da un atto che espliciti le...

La delibera di esclusione del socio di una società di capitali deve essere accompagnata da un atto che espliciti le ragioni dell’esclusione dalla compagine sociale, al fine di consentire al socio idonea ed adeguata difesa. Infatti, ogni qualvolta sia adottato nei confronti di un socio un provvedimento di carattere ablativo o sanzionatorio (sia esso la revoca dall’amministrazione ovvero l’esclusione dalla società), la relativa decisione deve contenere in sé le ragioni poste a suo fondamento, nel contenuto  necessario e sufficiente a farle comprendere al suo destinatario e a consentirgli di articolare le proprie difese permettendogliene l’impugnazione.

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Prova della conclusione del contratto di cessione di quote
Chi agisce in giudizio per vedere riconosciuta la propria qualità di socio e il proprio diritti agli utili della società...

Chi agisce in giudizio per vedere riconosciuta la propria qualità di socio e il proprio diritti agli utili della società in forza di un contratto di cessione di quote deve fornire adeguata prova del contratto di cessione che intende far valere in giudizio,  in ordine sia alla conclusione del contratto che ai soggetti partecipanti all’atto, non essendo sufficiente la produzione di una scrittura privata priva di ogni sottoscrizione.

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Invalidità di delibera assembleare per mancata convocazione del socio e arbitrabilità della controversia
Le controversie in materia societaria possono, in linea generale, formare oggetto di compromesso, con esclusione di quelle che hanno ad...

Le controversie in materia societaria possono, in linea generale, formare oggetto di compromesso, con esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo di soci o di terzi. L’area dell’indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determini una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte. Con specifico riferimento all’ipotesi di invalidità della delibera discendente dalla mancata convocazione di un socio, ferma la nullità della delibera, non sussiste coincidenza tra l’ambito delle nullità e l’area più ristretta dell'indisponibilità del diritto, dovendo in quest’ultima area essere ricomprese esclusivamente le nullità insanabili; la nullità della delibera assembleare per “mancata convocazione” del socio è, per contro, soggetta al regime delle sanatorie della nullità previsto dall’art. 2379 bis c.c. Inoltre, il diritto all'informazione del singolo socio in occasione della convocazione di assemblea è oggetto di una previsione posta a garanzia di un interesse individuale del socio stesso e non anche di soggetti terzi e, di conseguenza, da quest'ultimo disponibile e rinunciabile.

Nei rapporti tra giudizio ordinario e giudizio arbitrale non è applicabile l'art. 295 c.p.c. e, pertanto, non è dato al giudice ordinario sospendere il processo dinanzi a lui instaurato per pregiudizialità, tecnica o logica, di una lite pendente dinanzi agli arbitri. Infatti, il rapporto di pregiudizialità tra due liti che impone al giudice di sospendere il processo ai sensi dell'art. 295 c.p.c. ricorre solo quando la decisione della prima influenzi la pronuncia che deve essere resa sulla seconda, nel senso che sia idonea a produrre effetti relativamente al diritto dedotto in lite e che possa, quindi, astrattamente configurarsi il conflitto di giudicati. Ne consegue che la natura privata dell'arbitrato e del provvedimento che ne deriva, escludendo il pericolo di un contrasto di giudicati, esclude anche la possibilità per il giudice di sospendere la causa in attesa della definizione di una lite pendente davanti agli arbitri o in relazione alla quale sia prevista la definizione a mezzo di arbitrato.

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Compenso dell’amministratore; rapporti tra processo penale e civile
Nelle società per azioni il compenso per gli amministratori è cristallizzato, ai sensi dell’art. 2389 c.c., all’atto della loro nomina...

Nelle società per azioni il compenso per gli amministratori è cristallizzato, ai sensi dell’art. 2389 c.c., all’atto della loro nomina o dall’assemblea dei soci. Sul punto, la disciplina codicistica si limita a fornire le modalità con le quali fissare i compensi degli amministratori determinati dall’assemblea, ai sensi degli artt. 2364 e 2389 c.c., senza fare alcun riferimento ai parametri da seguire circa la determinazione del quantum. Da ciò consegue che la determinazione di compensi congrui o ragionevoli non costituisce oggetto di un espresso obbligo di legge, né l’assetto normativo individua i criteri in base ai quali tale adeguatezza può in concreto essere accertata, spettando al soggetto che allega l’irragionevolezza fornire una stringente prova delle proprie doglianze.

Le prove assunte in sede penale rispetto a fatti costitutivi identici, costituiscono elementi di prova liberamente valutabili dal giudice in sede civile.

Nell’ambito del giudizio civile per il risarcimento del danno, il condebitore solidale può opporre al creditore la sentenza penale di assoluzione pronunciata nei confronti di altro condebitore, a meno che essa non sia fondata su ragioni personali dell’altro condebitore.

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