Nel caso in cui si verifichi la morte del socio nelle società di persone la legge, all'art. 2284 c.c., prevede tre possibili alternative: (i) lo scioglimento del singolo rapporto con la prosecuzione della società tra i soci superstiti come effetto legale della morte del socio cui consegue ex art 2289 c.c. il diritto degli eredi alla liquidazione del valore della quota alla data dello scioglimento del rapporto di società; (ii) lo scioglimento anticipato della società: si tratta di facoltà rimessa alla decisione dei soci superstiti che deve trovare causa nella morte del socio; in questo caso gli eredi del socio defunto hanno diritto non alla liquidazione della quota del socio defunto ex art 2289 c.c., ma alla quota di liquidazione che gli sarebbe spettata ex art 2282 c.c.; essi restano sempre creditori della società, ma la liquidazione viene condotta cumulativamente con quella degli altri soci, la causa di scioglimento sorta limitatamente al socio deceduto apre in questa ipotesi le porte allo scioglimento di tutta la società, gli eredi avranno un’aspettativa di credito il cui oggetto non è più il valore della quota ex art 2289 co 2 c.c. ma la partecipazione all’attivo finale di liquidazione, senza che gli eredi acquistino la qualità di soci durante la fase di scioglimento; quindi può dirsi che in caso di morte del socio sorge per la società con riferimento alla liquidazione degli eredi del socio defunto una obbligazione alternativa; (iii) la continuazione della società con gli eredi del socio defunto, scelta cui devono partecipare anche gli eredi del socio deceduto, situazione che esclude alcun credito degli eredi. Gli eredi del socio deceduto nelle prime due opzioni non acquistano mai la posizione del socio defunto nell’ambito della società; di conseguenza, essi non sono legittimati ad esercitarne le prerogative, né partecipano alla fase di scioglimento e di liquidazione, e la salvaguardia della loro posizione di titolari verso la società di un credito trova sede nelle disposizioni a tutela dei terzi e dei creditori sociali, soprattutto con riferimento alle operazioni poste in essere durante la liquidazione che possano compromettere il loro credito.
Nel contesto di un'azione di responsabilità esercitata contro l'amministratore unico e derivante dalla presunta violazione del principio di postergazione dei finanziamenti dei soci ex articolo 2467 c.c., l'ammissione della figura dell'amministratore di fatto non priva della responsabilità l'amministratore di diritto cui siano riconducibili specifiche condotte fonte di responsabilità, come il rimborso di finanziamenti soci, inquadrabili come vere e proprio distrazioni. Infatti, nonostante le condotte di malagestio siano condotte proprie dell'amministratore di fatto, la posizione dell'amministratore di diritto resta tale per cui, senza il suo assenso e cooperazione, nessuno degli atti dell'amministratore di fatto, implicante contatti con terzi, potrebbe avere alcun effetto, e ciò in forza della formalità della rappresentanza societaria.
Nei giudizi di impugnazione delle deliberazioni assembleari di società, il sopravvenuto fallimento di quest'ultima, comporta il venir meno dell'interesse ad agire per ottenere una pronuncia di annullamento dell'atto impugnato, quando l'istante non deduca argomenti e dimostri il suo perdurante interesse, avuto riguardo alle utilità attese dopo la chiusura della procedura fallimentare.
Una volta sopravvenuta la dichiarazione di liquidazione coatta della società, la legittimazione all’esercizio dell’azione di responsabilità spetta in via esclusiva al commissario liquidatore, previa autorizzazione dell'autorità che vigila sulla liquidazione, venendo in essa assorbita quella già di spettanza dei soci.
E' ammissibile proporre nello stesso giudizio l’azione di simulazione (assoluta o relativa) e quella revocatoria, pur diverse per contenuto e finalità, in forma alternativa tra loro o, anche, eventualmente, in via subordinata l’una all’altra, senza che la possibilità di esercizio dell’una precluda la proposizione dell’altra.
Deve essere revocata la cessione di quote di s.r.l. oggetto di un contenzioso con un terzo quando per effetto di tale cessione si realizzi il mutamento in peius del patrimonio del debitore per effetto di tale atto in quanto comporti un peggioramento della garanzia patrimoniale del debitore, sotto il profilo qualitativo, per la sostituzione di un bene (le partecipazioni sociali risultanti da pubblici registri) con un altro (il denaro) di più difficile realizzazione esecutiva e facilmente occultabile e, sotto il profilo quantitativo, in quanto l’atto ha comportato una sensibile contrazione del patrimonio del debitore, giacché il corrispettivo della vendita delle quote sociali è di gran lunga inferiore al valore commerciale e di mercato della quota.
Negli atti a titolo oneroso ai fini della prova della scientia damni da parte del cessionario di una partecipazione sociale ai fini della revocatoria è sufficiente che questi sia consapevole dell’irrisorietà del prezzo di acquisto rispetto al reale valore di mercato delle quote stesse (anche ove lo stesso sia stato effettivamente corrisposto) - avuto riguardo al valore da esse posseduto al momento dispositivo - senza che sia necessario dimostrare una collusione tra le parti.
Il diritto di acquisto ex art 111 TUF si colloca al di fuori dell’art 42 comma 3 Cost perché il diritto di acquisto non è espressione dell’esercizio di un atto di imperio pubblico ma trova fondamento nella disciplina (legale) del contratto di società che conforma la “proprietà” delle azioni delle società quotate in funzione degli interessi generali del mercato, dell’efficienza dei medesimi e indirettamente dell’organizzazione stessa delle società ex art 42 co 2 Cost.
In punto di intrinseca iniquità del prezzo offerto in sede di squeeze-out in caso di crisi finanziarie idonee a deprimere irragionevolmente il prezzo del titolo, sebbene la riduzione del prezzo dei titoli quotati su mercati regolamentati in occasione di crisi finanziarie possa favorire manovre speculative non vietate degli operatori economici, tendenti a sfruttare la situazione favorevole in essere, tale evenienza è insita nel medesimo meccanismo di funzionamento dei mercati finanziari, nei quali il prezzo di uno strumento si forma, momento per momento, dall’incontro tra domanda e offerta sulla base di vari fattori interni alla società ma anche esterni e collegati al sistema economico del paese o internazionali.
L’assenza di un correttivo sul prezzo di mercato nella disciplina del diritto all’acquisto, non incide sulla legittimità costituzionale dell’istituto, rientrando nell’ambito delle scelte del legislatore stabilire l’equilibrio più corretto tra gli interessi in gioco, con il solo limite della ragionevolezza (art. 3, Cost.), che nel regolare i contrapposti interessi del socio di maggioranza quasi totalitaria e della residua minoranza manifestamente non risulta violato qualora il prezzo sia stabilito secondo i criteri dell’art 108 commi 2, 3 e 4 TUF e si tratti del medesimo prezzo garantito con l’Opa nell’interesse della minoranza che voglia esercitare la facoltà di disinvestimento.
L'ente pubblico che valuti una partecipazione societaria come non strettamente indispensabile al perseguimento delle proprie finalità istituzionali ha diritto di chiedere la liquidazione della quota da parte della società partecipata. Spetta agli organi della società partecipata prendere posizione sulla richiesta in merito al quantum e al quomodo della relativa liquidazione, ma non anche sull’an debeatur, spettando per legge all’ente pubblico, ove sia risultata infruttuosa la procedura di alienazione ai pubblici incanti, la liquidazione in denaro della partecipazione azionaria dismessa. La deliberazione circa l’indispensabilità o meno della partecipazione, rimessa all’apprezzamento discrezionale dell’ente pubblico, non è suscettibile di sindacato da parte dell’autorità giudiziaria ordinaria.
La progettazione, realizzazione e gestione di un'arteria autostradale sono qualificabili come “servizio di interesse generale”, trattandosi di infrastruttura al servizio della collettività, ma non rientrano nei profili di competenza dell'attività comunale, sicché deve ritenersi riconosciuto il diritto alla liquidazione della partecipazione di un ente comunale partecipante di una società autostradale.
L'amministratore di fatto è titolare, nello svolgimento della sua gestione, dei medesimi poteri degli amministratori di diritto, ed è correlativamente assoggettato agli obblighi previsti dalla legge, ivi compreso, ai sensi dell'art. 2392 c.c., quello generale di vigilanza sull'andamento della gestione. Ne consegue che, nel caso in cui la società sia di fatto amministrata da soggetto diverso dall’amministratore formalmente nominato, le condotte di mala gestio sono imputabili anche all’amministratore di fatto.
In una situazione in cui la carenza delle scritture contabili impedisca al curatore di ricostruire l’andamento della gestione e di individuare specificamente le condotte che hanno cagionato il dissesto o comunque causative di eventuali danni ai creditori sociali, l’utilizzo del criterio dello “sbilancio” deve ritenersi possibile quantomeno allo scopo di quantificare in via equitativa il danno.
La responsabilità dei revisori legali e della società di revisione per mancato disinvestimento invocabile dai soci che lamentino di aver fatto affidamento sui giudizi rilasciati dai primi è riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 15 d.lgs. 39/2020 che, ancorché solidale con quella degli amministratori, è una responsabilità per fatto proprio colposo o doloso commesso nell’esercizio dell’attività di controllo contabile loro demandato.
La responsabilità dei revisori legali e della società di revisione ex art. 15 d.lgs. 39/2020 ha natura extracontrattuale ed è ricondotta nell’alveo della responsabilità da informazione non corretta resa al pubblico. Elementi strutturali della fattispecie di responsabilità sono: (i) la condotta di inadempienza ai principi di revisione da parte del revisore nell’esercizio della sua attività e quindi l’aver reso un giudizio senza rilievi in presenza di un bilancio non vero, redatto non in conformità ai criteri di legge e contabili; (ii) l’esistenza di un pregiudizio; (iii) il nesso causa-effetto tra il presunto comportamento inadempiente e il danno lamentato.
Il soggetto che si ritiene danneggiato dalla condotta del revisore deve allegare di essersi determinato ad una certa scelta e, se si tratta di investimenti, ad effettuare l’investimento o a non effettuare il disinvestimento indotto da dati patrimoniali, economici esposti in bilancio e dalla relazione del revisore che ha espresso parere senza rilievi, creando un infondato affidamento sui dati non veri resi evidenti successivamente con il disvelamento della reale situazione. Inoltre, il danneggiato è tenuto a provare la specificità di tali circostanze, nonché l’idoneità di esse a trarlo in inganno.
Sussiste una presunzione di nesso di causalità tra la scelta di investimento/disinvestimento e l’informazione data al pubblico dell’emittente; la presunzione è tuttavia suscettibile di prova contraria se si dimostra, anche alla luce delle condotte tenute dall’investitore successivamente al disvelamento della informazione decettiva, l’irrilevanza delle informazioni date al mercato in rapporto alla scelta concreta dell’investitore specifico.
Quanto al danno derivante dal mancato e tempestivo disinvestimento, e meglio qualificabile come perdita di chance di disinvestire, non è concepibile in concreto a fronte di un’obiettiva difficoltà di smobilizzo di un titolo caratterizzato come “illiquido”.
La qualificazione dell’arbitrato come rituale o irrituale deve desumersi da un complesso di elementi, quali il dato testuale, la volontà delle parti e il comportamento delle stesse, onde accertare se mediante la previsione della clausola compromissoria esse abbiano voluto ottenere la pronuncia di un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di una sentenza oppure se abbiano inteso affidare all'arbitro la soluzione di controversie solo attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla loro stessa volontà. Ai fini del discrimine tra le due figure, si è ritenuto che non possono essere ritenuti elementi decisivi per configurare l'arbitrato irrituale e per escludere quello rituale né il conferimento agli arbitri della potestà di decidere secondo equità, né la preventiva attribuzione alla pronuncia arbitrale del carattere della inappellabilità, né la previsione di esonero degli arbitri da formalità di procedura, dovendosi invece valorizzare, ai fini di una corretta lettura della volontà delle parti nel senso dell'arbitrato rituale, espressioni terminologiche congruenti con l'attività del "giudicare" e con il risultato di un "giudizio" in ordine ad una "controversia" (cfr. Cass. n. 833 del 1999; Cass. n. 10805 del 2014). Pertanto, il mancato richiamo nella clausola alle formalità dell'arbitrato rituale non depone univocamente nel senso dell'irritualità dell'arbitrato, dovendosi tenere conto delle maggiori garanzie offerte dall'arbitrato rituale quanto all'efficacia esecutiva del lodo e al regime delle impugnazioni (cfr. Cass. n. 11313 del 2018).
L’interpretazione della clausola compromissoria e del compromesso, alla stregua di ogni altra espressione della volontà delle parti, spetta esclusivamente al giudice di merito. La decisione sul punto, se basata su un’esatta applicazione delle regole di ermeneutica e correttamente motivata, non è soggetta a controllo in sede di legittimità.
Ai fini dell'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile avverso il lodo, ciò che conta è, altresì, la natura dell’atto in concreto posto in essere dagli arbitri, più che la natura dell'arbitrato come prevista dalle parti (cfr. Cass. n. 25258 del 2013).
Per dar luogo alla competenza per materia della sezione specializzata in materia di impresa, ai sensi dell’art. 3, co. 2, lett. a, d.lgs. 168/2003, è necessario che la controversia inerisca al rapporto tra la società cooperativa e il socio, ovvero all’assetto societario interno, come accade, a titolo meramente esemplificativo, nelle ipotesi di estinzione del rapporto societario per effetto della delibera di esclusione. Pertanto, non rientrano nella competenza in favore della sezione specializzata in materia di impresa le controversie concernenti l’inadempimento contrattuale tra parti legate da rapporti societari. [Nel caso di specie, il giudizio era stato instaurato per far valere il diritto di credito derivante dal contratto di fornitura di merci e servizi stipulato tra socio e società cooperativa].
Argomentare diversamente e ritenere che qualsiasi inadempimento contrattuale tra parti legate da rapporti societari comporti lo spostamento della competenza in favore della sezione specializzata in materia di impresa porterebbe a tradire del tutto la ratio sottesa all’istituzione del tribunale delle imprese, concepito dal legislatore come un giudice specializzato, cui è demandata la cognizione di determinate materie che, per la peculiarità degli interessi coinvolti, devono essere, altresì, decise celermente.
Le questioni di competenza devono essere delibate e decise sulla base della domanda, ovverosia della prospettazione in fatto e in diritto formulata dalla parte attrice, al di là della fondatezza di essa.