L’azione promossa dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. compendia in sé tanto l’azione sociale di responsabilità, volta a reintegrare il patrimonio della società, quanto l’azione dei creditori sociali, volta ad assicurare il soddisfacimento delle ragioni di credito di questi. La prima ha natura contrattuale, atteso che l’amministratore assume verso la società l’obbligo di svolgere il proprio compito con l’ordinaria diligenza, mentre la seconda ha natura aquiliana. Ne consegue che, riguardo all’azione contrattuale, sarà onere del convenuto provare l’adempimento agli obblighi sullo stesso gravanti in ragione del ruolo ricoperto e la non imputabilità a sé dei fatti dannosi; invece, con riguardo all’azione aquiliana, la curatela ha l’onere di dimostrare la condotta dolosa o colposa posta in essere dal convenuto, il danno arrecato ai creditori mediante tale condotta ed il nesso di causalità tra la prima ed il secondo.
In nessun caso è dato sindacare il merito gestorio, ossia le singole scelte amministrative e gestionali, purché sorrette da criteri di ragionevolezza. Infatti, l’obbligazione contratta dall’amministratore, come pure del liquidatore, è di natura professionale, trattandosi di un’obbligazione di mezzi e non di risultato, con la conseguenza che non sono addebitabili agli amministratori o ai liquidatori gli esiti infausti di una scelta gestionale, purchè questa sia stata posta in essere secondo criteri di ragionevolezza, previa assunzione di ogni elemento conoscitivo utile alla stessa, da valutarsi ex ante, ossia sulla base delle circostanze note al momento delle condotte in esame.
L’azione proposta ex art. 2395 c.c. ha natura extracontrattuale e ne ricorrono i presupposti quando vi è la prova di una condotta dolosa o colposa posta in essere in violazione degli obblighi previsti dalla legge o dallo statuto, di un pregiudizio diretto ed immediato al patrimonio individuale del socio o del terzo e della sussistenza di un nesso di causalità tra condotte e pregiudizio.
L’azione di responsabilità dei creditori sociali ex art. 2394 c.c. si propone di tutelare l’integrità del patrimonio sociale, in relazione all’obbligo della sua conservazione; essa riveste natura di azione aquiliana ex art. 2043 c.c. in cui il danno ingiusto è integrato dalla lesione dell’aspettativa di prestazione dei creditori sociali, a garanzia della quale è posto il patrimonio della società, trovando così fondamento nel principio generale della tutela extracontrattuale del credito di cui agli artt. 2740 e 2043 c.c.
Tra gli obblighi esistenti in capo all’amministratore vi sono sicuramente quelli di tutelare il patrimonio sociale e conservare, con esso, la garanzia di soddisfazione dei creditori. Affinché vi possa essere risarcimento per comportamento illegittimo dell’amministratore, occorre tuttavia che sia provata non solo l’illiceità del comportamento, ma anche la conseguenza dannosa che da questa discende, in modo causalmente connesso.
Il contratto preliminare unilaterale è un contratto in sé perfetto e autonomo, ancorché con obbligazioni a carico di una sola parte, rispetto al contratto definitivo, mentre l’opzione non è che uno degli elementi di una fattispecie a formazione successiva, costituita inizialmente da un accordo avente a oggetto l’irrevocabilità della proposta e, successivamente, dall’accettazione definitiva del promissario che, saldandosi con la proposta, perfeziona il contratto; accordo, questo, la cui identificabilità è rimessa al giudice di merito, che deve far riferimento al comune intento negoziale. Ne consegue che il nesso strumentale esistente tra contratto preliminare e contratto definitivo non ha nulla in comune con il legame strutturale che intercorre tra il momento iniziale (proposta resa vincolante per accordo tra le parti) e il momento finale (accettazione) nel fenomeno della formazione progressiva del contratto, in quanto, nell’ipotesi del contratto preliminare unilaterale gli effetti definitivi si producono solo a seguito di un successivo incontro di dichiarazioni tra le parti contraenti, mentre nel caso dell’opzione, che contenga una proposta irrevocabile, gli effetti finali del contratto definitivo si producono in virtù della semplice dichiarazione unilaterale di accettazione della parte non obbligata.
La responsabilità dell’amministratore va ricostruita secondo lo schema tipico della responsabilità da inadempimento contrattuale. Tra gli obblighi esistenti in capo all’amministratore vi sono sicuramente quelli di tutelare il patrimonio sociale. Affinché vi possa essere risarcimento per comportamento illegittimo dell’amministratore, occorre che sia provata non solo l’illiceità del comportamento, ma anche la conseguenza dannosa che da questa discende, in modo causalmente connesso e, quindi, che una volta individuati i comportamenti violativi degli obblighi di legge e di statuto, che siano addebitabili agli organi gestori, sia dedotto e provato che gli stessi abbiano arrecato un danno al patrimonio sociale (e quello conseguente alle aspettative dei creditori) e che tra condotta illecita e pregiudizi patrimoniali sussista un nesso causale.
La cancellazione delle società di persone o di capitali dal registro delle imprese determina l’immediata estinzione della società, indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti giuridici ad essa facenti capo. La situazione delle società di persone si differenzia da quella delle società di capitali, a tale riguardo, solo in quanto l’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto che le cancella ha valore di pubblicità meramente dichiarativa, superabile con la prova contraria. Tuttavia, tale prova contraria non potrebbe vertere sul solo dato storico della pendenza di rapporti non ancora definiti facenti capo alla società perché ciò condurrebbe ad un risultato corrispondente alla situazione preesistente alla riforma societaria. Per superare la presunzione di estinzione occorre invece la prova di un fatto dinamico: che la società abbia continuato in realtà ad operare e, dunque, ad esistere pur dopo l’avvenuta cancellazione dal registro.
A seguito dell’estinzione della società conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, viene a determinarsi un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono, ma si trasferiscono ai soci. Ciò in quanto l’estinzione dell’ente è equiparabile alla morte della persona fisica, quindi i soci sono successori. Inoltre, qualora all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, cosicché si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, benché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore, giudiziale o stragiudiziale, il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato.
L’amministratore di fatto di una società di capitali, pur privo di un’investitura formale, esercita sotto il profilo sostanziale nell’ambito sociale un’influenza che trascende la titolarità delle funzioni, con poteri analoghi se non addirittura superiori a quelli spettanti agli amministratori di diritto, sicché può concorrere con questi ultimi a cagionare un danno alla società attraverso il compimento o l’omissione di atti di gestione.
La natura contrattuale della responsabilità dell’amministratore consente alla società che agisca per il risarcimento del danno, o al curatore in caso di sopravvenuto fallimento di quest’ultima, di allegare l’inadempimento dell’organo gestorio quanto alla mancata consegna delle giacenze di magazzino risultanti dalle scritture contabili, che hanno valore confessorio contro chi le ha redatte, tanto con riferimento all’amministratore di fatto, quanto con riferimento a quello di diritto. Resta a carico dell’amministratore convenuto l’onere di dimostrare l’utilizzazione delle merci non restituite nell’esercizio dell’attività di impresa.
La delibera assembleare avente ad oggetto la revoca di un amministratore risulta assorbente della domanda di annullamento di una precedente delibera il cui verbale non era stato sottoscritto dallo stesso soggetto, all’epoca presidente del CdA, ma solo dal segretario. A tal proposito, atteso che la revoca della carica di consigliere comporta in sé la revoca della carica di presidente, trova applicazione l’art. 2377, co. 8, c.c. Ai sensi di questa disposizione, l’annullamento della deliberazione non può aver luogo, se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto, la quale ha sanato le eventuali irregolarità procedurali lamentate, che andranno verificate ai soli fini della soccombenza virtuale per la liquidazione delle spese.
La legittimazione processuale attiva e passiva consiste nella titolarità in via astratta del potere di promuovere un giudizio in relazione a una posizione giuridica sostanziale dedotta in causa. La legitimatio ad causam deve essere distinta dalla titolarità della posizione giuridica sostanziale fatta valere in giudizio: la prima, infatti, qualificabile come un presupposto dell’azione, si basa su fatti, dedotti dalla parte attrice, in astratto idonei a fondare il diritto azionato, indipendentemente dall’accertamento della titolarità della posizione giuridica sostanziale sottostante. Pertanto, il difetto di legitimatio ad causam, riguardando la regolarità del contraddittorio, costituisce un error in procedendo ed è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo.
La legittimazione ad impugnare la delibera invalida di una s.r.l. ex art. 2479-ter c.c. compete esclusivamente ai soci che non vi hanno consentito, a ciascun amministratore e al collegio sindacale, non anche a terze persone estranee a tali tre categorie, quali il socio unico della società che, a sua volta, è socio unico della s.r.l. che ha adottato la delibera impugnata.
L'interesse ad agire comporta la verifica, da compiersi d'ufficio da parte del giudice, in ordine all'idoneità della pronuncia richiesta a spiegare un effetto utile alla parte che ha proposto la domanda e quindi la sussistenza di un interesse concreto ed attuale. Tale principio vale anche con riguardo all'azione di accertamento della nullità di delibere assembleari, la quale può essere esercitata da chiunque vi abbia interesse, ma l'interesse in questione, oltre a dovere essere concreto ed attuale, deve riferirsi specificamente all'azione di nullità, e non può identificarsi con l'interesse ad una diversa azione, il cui esercizio soltanto potrebbe soddisfare la pretesa dell'attore.
Il thema probandum, nell’ambito dell’azione di responsabilità ex art. 146 l.f., si articola nell’accertamento di tre elementi: l’inadempimento di uno o più degli obblighi specifici previsti dalla legge o dallo statuto e/o dell’obbligo generale di diligenza previsto dall’art. 2392 c.c., il danno subito dalla società e il nesso causale, mentre il danno risarcibile sarà quello causalmente riconducibile, in via immediata e diretta, alla condotta (dolosa o colposa) dell’agente sotto il duplice profilo del danno emergente e del lucro cessante, dunque commisurato in concreto al pregiudizio che la società non avrebbe subito se un determinato comportamento illegittimo, positivo o omissivo, non fosse stato posto in essere.
In forza del principio della insindacabilità nel merito delle scelte di gestione, il giudice, investito di un’azione di responsabilità per condotta negligente degli amministratori, non può apprezzare il merito dei singoli atti di gestione, valutandone, così, l’opportunità e la convenienza. La gestione della società, infatti, in quanto attività d’impresa, comporta fisiologicamente un alto margine di rischio e richiede il riconoscimento di un ampio potere discrezionale in capo all’organo amministrativo in relazione alla scelta delle operazioni da intraprendere. Ne consegue che, se fosse possibile compiere una valutazione sull’opportunità e convenienza delle scelte di gestione, si legittimerebbe un’indebita ingerenza dell’autorità negli affari sociali, in pregiudizio all’autonomia ed indipendenza dell’organo amministrativo e con probabile paralisi del normale svolgimento dell’attività d’impresa. Ciò che forma oggetto di sindacato da parte del giudice, dunque, non può essere l’atto in sé considerato e il risultato che abbia eventualmente prodotto, bensì, esclusivamente, le modalità di esercizio del potere discrezionale che deve riconoscersi agli amministratori.
L’irregolare e anche disordinata tenuta della contabilità integra una violazione dei doveri dell’amministratore potenzialmente, ma non necessariamente, foriera di danno per la società, idonea a fondare solo una pronuncia di condanna generica al risarcimento che non investe la sussistenza del danno.
Nelle ipotesi in cui eventuali irregolarità nella tenuta delle scritture contabili e nella redazione dei bilanci abbiano rappresentato lo strumento per occultare pregresse operazioni illecite, ovvero per celare la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, n. 4, c.c. e così consentire l’indebita prosecuzione dell’ordinaria attività gestoria in epoca successiva alla perdita dei requisiti di capitale previsti dalla legge, il danno risarcibile è rappresentato, all’evidenza, non già dalla misura del falso, ma dagli effetti patrimoniali delle condotte che con quei falsi si sono occultate o che, grazie a quei falsi, sono state consentite. Tali condotte dunque devono essere specificamente contestate da chi agisce per il risarcimento del danno, non potendo il giudice individuarle e verificarle d’ufficio.
Nelle azioni di responsabilità promosse individualmente dal socio contro gli amministratori di s.r.l. sussiste litisconsorzio necessario con la società medesima, in quanto l’autonoma iniziativa del socio, riconosciuta dall’art. 2476, co. 3, c.c. senza vincolo di connessione con la quota di capitale dallo stesso posseduta, non toglie che si tratta pur sempre di un’azione sociale di responsabilità, rifluendo l’eventuale condanna dell’amministratore unicamente nel patrimonio sociale e potendo solo la società (non il socio) rinunciare all’azione e transigerla.
L’art. 2476 c.c. è norma cardine della disciplina della s.r.l., in quanto delinea il complessivo sistema di tutele riconosciute al socio di minoranza in tale compagine, attribuendo, in primo luogo, ai soci che non partecipano all’amministrazione ampi e inderogabili poteri di controllo, assegnando loro un ruolo chiave nei meccanismi di governance. Tale penetrante diritto di controllo sta alla base di tutti gli altri strumenti di tutela a disposizione del socio di s.r.l., in quanto propedeutico alla tutela giurisdizionale volta sia ad accertare la responsabilità degli amministratori, che a ottenere il risarcimento di un danno, sia quello subito dal patrimonio sociale, sia quello direttamente subito dal socio. Il diritto di controllo si esplicita in primo luogo nel diritto di ricevere informazioni e nel diritto di ispezione, che non subiscono alcuna restrizione di natura temporale, sicché ciascun socio che non partecipi all’amministrazione ha diritto di ispezionare tutta la documentazione contabile e amministrativa della società, anche risalente negli anni e anche quella relativa ad esercizi interessati da pregresse gestioni (con l’unico limite del divieto di abuso nel caso di richiesta di informazioni già note, ovvero nel caso di azioni di mero disturbo). In questa prospettiva si spiega altresì la scelta del legislatore di mantenere la legittimazione del singolo socio ad impugnare le delibere assembleari invalide ex art. 2479 ter c.c. All’iniziativa del singolo socio sono lasciati ampi poteri di reazione ai comportamenti illegittimi della maggioranza o degli amministratori e in tale assetto complessivo – che costituisce il nucleo tipizzante la s.r.l. – non trova alcuna giustificazione una interpretazione restrittiva della legittimazione del socio, volta a limitare l’esercizio dell’azione di responsabilità nei soli confronti degli amministratori in carica.
La condizione di inesigibilità del credito ex art. 2467 c.c. presuppone che, da una parte, il finanziamento sia stato disposto e, dall’altra, il rimborso sia stato richiesto in presenza di una situazione di eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto, oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento, ossia di una situazione di crisi qualificata, sostanzialmente equiparabile all’insolvenza, la quale unicamente giustifica la considerazione di un concorso virtuale tra i creditori.
Il socio di una cooperativa, beneficiario del servizio mutualistico reso da quest’ultima, è parte di due distinti (anche se collegati) rapporti, l’uno di carattere associativo, che discende direttamente dall’adesione al contratto sociale e dalla conseguente acquisizione della qualità di socio, l’altro di natura sinallagmatica, che deriva dal contratto bilaterale di scambio, per effetto del quale egli si appropria del bene o del servizio resogli dall’ente.
L’acquisto, da parte dei soci, della proprietà dell’alloggio per la cui realizzazione l’ente sia stato costituito passa attraverso la stipulazione di un contratto di scambio, la cui causa è del tutto omogenea a quella della compravendita, in relazione al quale la cooperativa assume veste di alienante ed il socio quella di acquirente, sicché, con specifico riferimento agli elementi del contratto – immobile e corrispettivo dovuto – indicati nel contratto di prenotazione non possono essere modificati dagli organi sociali, in assenza di un’esplicita previsione contrattuale.
L’atto di prenotazione deve essere assimilato ad un contratto preliminare, di tal ché l’acquisto della proprietà dell’immobile della cooperativa costituisce l’effetto di una fattispecie complessa e progressiva, comprendente, oltre all’assunzione da parte della società dell’obbligo di prestare il proprio consenso all’atto di trasferimento, anche l’effettuazione della prenotazione, la quale accerta la realizzazione dei presupposti concreti per l’assegnazione, individuandone l’oggetto ed il corrispettivo, in modo da rendere dovuto il successivo atto traslativo. Quest’ultimo, costituendo adempimento dell’obbligo assunto con la stipulazione dell’atto di prenotazione, tanto da legittimare il ricorso al rimedio di cui all’art. 2932 c.c., si configura al tempo stesso come atto esecutivo di quello precedente. Pertanto, come non è revocabile in dubbio che non possa essere modificato unilateralmente l’oggetto di un preliminare di vendita, così non è modificabile dalla cooperativa, neppure dall’assemblea dei soci, l’oggetto dell’atto di prenotazione.