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Cessione della partecipazione in pendenza dell’azione di responsabilità ex art. 2476, co. 3 c.c. Oggetto dell’azione di responsabilità per danno diretto
La cessione dell’intera partecipazione da parte del socio di s.r.l., in pendenza del giudizio avente ad oggetto l’azione di responsabilità...

La cessione dell’intera partecipazione da parte del socio di s.r.l., in pendenza del giudizio avente ad oggetto l’azione di responsabilità ex art. 2476, co. 3 c.c. da quest’ultimo esercitata, determina la declaratoria di improcedibilità della domanda per sopravvenuta carenza di legittimazione ad agire dell’attore, posto che le condizioni dell’azione devono non solo sussistere al momento della proposizione della domanda giudiziale, ma devono altresì persistere sino al momento della relativa decisione.

L’ex socio, quale soggetto terzo, resta invece legittimato a proseguire l’azione di responsabilità per danno diretto esercitata nei confronti dell’amministratore e del socio concorrente nell’illecito, ai sensi dell’art. 2476, co. 7 e 8 c.c.

Con tale azione, devono essere contestati addebiti di natura gestoria, vale a dire condotte inerenti all’amministrazione in senso stretto dell’ente, connotate in senso illecito in ambito endo-societario e riverberantisi in danno di singoli soci o terzi.

Pertanto, se l’attore – richiamando specificamente la responsabilità per danno diretto – contesta  delle condotte che si risolvono non in un atto relativo alla gestione della società, ma in un accordo tra i soci quanto alle loro scelte di partecipazione alla ricapitalizzazione dell’ente, la domanda dev’essere rigettata, in quanto palesemente estranea rispetto allo schema normativo espressamente richiamato, non essendo consentito al Tribunale operare una diversa qualificazione della pretesa risarcitoria [nel caso di specie, con l’azione di responsabilità ex art. 2476, co. 7 e 8 c.c. l’attrice aveva espressamente contestato di essere stata costretta – dall’amministratore in concorso con l’altro socio – a partecipare (indirettamente) alla copertura delle perdite mediante cessione della propria partecipazione, per un corrispettivo pari al valore nominale della quota, che risultava superiore rispetto all’ammontare complessivo delle perdite che ella sarebbe stata chiamata a coprire pro-quota, quantificando il danno diretto in misura pari alla differenza tra il corrispettivo incassato dalla cessione e la somma che avrebbe impiegato a fronte di una diretta partecipazione alle perdite].

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Sulla (non) configurabilità della rinuncia all’esercizio del diritto di recesso ai sensi dell’art. 2437 ter c.c.
La disciplina vigente non esclude espressamente la facoltà del socio di rinunciare agli effetti del recesso, ma contiene elementi sufficienti...

La disciplina vigente non esclude espressamente la facoltà del socio di rinunciare agli effetti del recesso, ma contiene elementi sufficienti ad escluderne l'ammissibilità in via sistematica. In primo luogo, le sole cause di sopravvenuta inefficacia del recesso "già esercitato" consistono nella "revoca della delibera che lo legittima" o nella deliberazione dello scioglimento della società, l'una e l'altra "entro novanta giorni" (art. 2437-bis co. 3). [...] Secondo, la rinuncia al recesso, invariate le condizioni che lo hanno cagionato, appare incompatibile con la ratio legis dell'attribuzione del diritto, come possibilità di apprezzare un mutamento delle condizioni di rischio, nelle ipotesi legislativamente previste, e di liquidare l'investimento. Il socio può, in altri termini, continuare a sottoporsi al rischio imprenditoriale, partecipando agli utili e alle perdite, oppure estraniarsi dal rischio della società, assumendo la veste di creditore della quota di liquidazione. Non può assumere al contempo l'una e l'altra qualità [...].

Su queste premesse, al socio non compete il diritto di rinunciare al recesso già esercitato e la società non può esimersi dalla liquidazione della quota eccependo l'avvenuta rinuncia, a prescindere dalle modalità (espressa o tacita) con cui tale rinuncia si sia manifestata.

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Revoca di amministratore di società di capitali in assenza di giusta causa: conseguenze ed onere della prova
L’amministratore non ha diritto al mantenimento dell’incarico e, in base all’art. 2383, 3° comma c.c., pacificamente applicabile alle s.r.l., l’assemblea...

L’amministratore non ha diritto al mantenimento dell’incarico e, in base all’art. 2383, 3° comma c.c., pacificamente applicabile alle s.r.l., l’assemblea può revocare l’amministratore dall’incarico in qualunque tempo e ad nutum, non essendo il requisito della giusta causa elemento costitutivo della validità e/o dell’efficacia della deliberazione di revoca, ma rilevando – invero – il requisito della presenza della giusta causa sotto l’eventuale profilo risarcitorio.

Le ragioni della revoca devono essere enunciate espressamente e specificatamente nella deliberazione, senza facoltà di integrazione in sede giudiziale.

Quando l’amministratore revocato agisce in giudizio, contestando la sussistenza della giusta causa e facendo valere il diritto al risarcimento del danno, la posizione sostanziale di attore spetta alla società, onerata della prova della giusta causa di revoca secondo i caratteri avanti indicati, mentre l’amministratore è il convenuto sostanziale.

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Risoluzione del contratto di cessione di azienda per inadempimento
La prova dell’adempimento del pagamento del prezzo residuo di una cessione di azienda può essere fornita anche a mezzo di...

La prova dell'adempimento del pagamento del prezzo residuo di una cessione di azienda può essere fornita anche a mezzo di testimonianze circa l'avvenuta consegna da parte del cessionario di assegni e/o contanti a prescindere dalle previsioni contrattuali.

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L’onere probatorio in materia di condotte distrattive e la determinazione del danno risarcibile
Nella procedura di fallimento l’onere probatorio della curatela si arresta alla prova della esistenza della somma e del suo mancato...

Nella procedura di fallimento l’onere probatorio della curatela si arresta alla prova della esistenza della somma e del suo mancato ritrovamento o della mancata consegna al momento del fallimento. Pertanto, a fronte di uno specifico addebito di distrazione, l’onere di dimostrare che le somme siano state destinate al pagamento dei lavoratori non può che ricadere sul convenuto amministratore della società fallita.

Per quanto riguarda l’addebito di prosecuzione illegittima dell’impresa, in presenza di uno stato passivo che cristallizza l’esposizione debitoria della fallita ed in presenza di parte delle scritture contabili, il danno risarcibile non può essere desunto aprioristicamente da un criterio equitativo, come è la differenza tra l’attivo ed il passivo o la differenza dei patrimoni netti.

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Fumus boni iuris e periculum in mora nella sospensione dell’esecuzione della delibera assembleare
La concessione della misura cautelare della sospensione dell’esecuzione di una delibera assembleare di una società di capitali, prevista dall’articolo 2378,...

La concessione della misura cautelare della sospensione dell'esecuzione di una delibera assembleare di una società di capitali, prevista dall'articolo 2378, co. 3, c.c. è subordinata alla verifica della contemporanea sussistenza dei requisiti del fumus boni iuris, inteso quale verosimiglianza di fondatezza della domanda, e del periculum in mora. Quest'ultimo deve essere accertato attraverso la comparazione tra il pregiudizio che illegittimamente l’opponente potrebbe subire per effetto dell’esecuzione di una delibera invalida e quello che, legittimamente, potrebbe patire la società per effetto della sospensione di tale esecuzione, effettuando un bilanciamento tra l’interesse ad agire in via cautelare del socio e quello a resistere della società. Tale meccanismo evidenzia l’attenzione del legislatore all’opportunità di salvaguardare la stabilità degli atti della società adottante il provvedimento, che viene ritenuta essenziale per il buon funzionamento dell’impresa collettiva sul mercato.

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Impugnazione da parte dell’amministratore revocato della deliberazione che lo esautora dall’incarico
L’amministratore revocato è legittimato ad impugnare le deliberazioni dell’assemblea dei soci che lambiscono la sua posizione soggettiva, al fine di...

L’amministratore revocato è legittimato ad impugnare le deliberazioni dell’assemblea dei soci che lambiscono la sua posizione soggettiva, al fine di censurarne la legittimità sotto il profilo della correttezza del procedimento con cui è stata adottata o per aspetti concernenti il suo contenuto che siano sintomi di eventuali vizi di eccesso di potere. Costui è in ogni caso gravato dall’onere di provare l’esistenza del vizio denunciato e, in mancanza di fondamento probatorio in tal senso, le violazioni lamentate non potranno assurgere al rango di vizi invalidanti la deliberazione di revoca.

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Sull’abuso dell’usufruttuario di quote di s.r.l.
Integra condotta abusiva ai sensi dell’art. 1015 c.c. l’inerzia dell’usufruttuario liquidatore che ha determinato la propria permanenza in carica in...

Integra condotta abusiva ai sensi dell'art. 1015 c.c. l'inerzia dell’usufruttuario liquidatore che ha determinato la propria permanenza in carica in danno degli interessi dei nudi proprietari alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale e della sua destinazione secondo lo schema liquidatorio.

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Assoggettamento dei finanziamenti soci alla disciplina della postergazione ai sensi dell’art. 2467 cod. civ.
I presupposti per l’applicazione della disciplina legale della postergazione ex art. 2467 cod. civ. ai finanziamenti effettuati (i) dai soci...

I presupposti per l’applicazione della disciplina legale della postergazione ex art. 2467 cod. civ. ai finanziamenti effettuati (i) dai soci di una società a responsabilità limitata; (ii) da chi esercita attività di direzione e coordinamento; ovvero (iii) dalle società c.d. “sorelle” appartenenti al medesimo gruppo sono da interpretarsi come l’estrinsecazione di una situazione di crisi qualificata, equiparabile, in termini sostanziali, all'insolvenza. Invero, i presupposti dell’“eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio” e della “situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento” individuano una nozione unitaria di crisi che si identifica con il “rischio” di insolvenza, tale da giustificare un “concorso potenziale” tra i creditori sociali. Inoltre, i presupposti in esame devono sussistere sia al momento in cui il finanziamento è effettuato sia al momento in cui ne è richiesto il rimborso.

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Valutazione equitativa e rivalutazione monetaria del danno arrecato dagli amministratori al patrimonio sociale quale debito di valore
Le mere irregolarità formali nella redazione del bilancio ovvero nella tenuta della documentazione contabile, anche se potenzialmente indiziarie di condotte...

Le mere irregolarità formali nella redazione del bilancio ovvero nella tenuta della documentazione contabile, anche se potenzialmente indiziarie di condotte censurabili, non costituiscono di per sé fonte di danno per la società, occorrendo sempre la verifica circa l’esistenza di un pregiudizio patrimoniale concretamente sofferto dalla società in conseguenza di tali condotte.

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Azione individuale del socio per il risarcimento del danno da investimento disinformato e del danno all’immagine (sulla prescrizione)
Il termine quinquennale di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito inizia a decorrere non dal momento...

Il termine quinquennale di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito inizia a decorrere non dal momento in cui il fatto del terzo determina la modificazione che produce danno all'altrui diritto, ma dal momento in cui la produzione del danno si manifesta all'esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile. (Cfr. Cass. n. 11119/2013 e Cass. n. 24715/2015).

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Unitarietà dell’azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare: onere della prova e prescrizione
L’art. 146 L.F., secondo cui sono esercitate dal curatore, previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, le...

L’art. 146 L.F., secondo cui sono esercitate dal curatore, previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, le azioni di responsabilità contro amministratori, componenti dell’organo di controllo, direttori generali e liquidatori, compendia in sé le azioni di responsabilità degli amministratori verso la società (artt. 2392-2393 c.c.) e verso i creditori sociali (art. 2394 c.c.). Per quanto riguarda i liquidatori dall'art. 2489, co. 2 c.c. discende l'applicabilità agli stessi delle norme che disciplinano la responsabilità degli amministratori verso la società (artt. 2932-2393 c.c.) e verso i creditori sociali (art. 2934 c.c.).

In particolare, è stato rilevato che è nelle facoltà del curatore scegliere quale delle due azioni esercitare o scegliere di esercitarle entrambe. Alla luce del principio dell’unitarietà dell’azione ex art. 146 L.F. (e della natura contrattuale della responsabilità), infatti,  questo poco incide sul principio in base al quale grava sul curatore che promuove dette azioni l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, incombendo, per converso, su amministratori e sindaci (e nel caso di specie, sul liquidatore) l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, in riferimento agli addebiti contestati, del rispetto dei doveri e del corretto adempimento degli obblighi loro imposti.

Limitatamente alla prescrizione, ove l’azione esercitata dal curatore fallimentare dovesse essere ricondotta all’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c., il termine quinquennale è da considerarsi sospeso, a norma dell’art. 2941 n. 7 c.c., fino alla cessazione del liquidatore dall’incarico. Anche qualora, poi, l’azione esercitata dalla curatela fallimentare dovesse essere riconducibile all’azione dei creditori sociali ex 2394 c.c., essa si prescriverebbe nel termine di cinque anni decorrenti dal momento dell’oggettiva percepibilità da parte dei creditori dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti. L’onere di provare che l’insufficienza del patrimonio sociale si sia manifestata e sia divenuta conoscibile già prima della data di dichiarazione del fallimento – alla luce della predetta natura contrattuale della responsabilità – grava su colui che eccepisce la prescrizione e la mera contestazione dell’esposizione debitoria della società non assolve a ciò, non implicando, di per sé, né che la società sia insolvente, né che il patrimonio sia insufficiente a soddisfare i creditori sociali.

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