Le appostazioni inserite nel bilancio di esercizio di una s.r.l. devono rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società, come previsto dall’art. 2423 c.c., applicabile alle società a responsabilità limitata in virtù del richiamo dell’articolo 2478 bis c.c.
Ne consegue che eventuali appostazioni illegittime [nella fattispecie, la mancanza di veridicità di un credito], che comportino una censura netta tra il dato rappresentato ed il risultato effettivo, determinano la nullità del bilancio e della delibera assembleare che l’ha approvato.
La deliberazione assembleare autorizzativa dell’azione di responsabilità, contenente l'individuazione degli elementi costitutivi dell'azione, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, costituisce un presupposto che attiene alla legittimazione processuale della parte attrice ed è suscettibile di regolarizzazione "ex tunc”, con la conseguenza che la produzione della deliberazione successiva ed entro il termine assegnato consente la prosecuzione del giudizio ed il rigetto della eccezione di inammissibilità della domanda.
La costituzione di parte civile nel processo penale spiega un effetto interruttivo permanente del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno scaturito dal reato; termine che riprende a decorrere dal momento in cui diviene irrevocabile la sentenza che definisce il processo penale. In tal senso il termine decorre non dalla verificazione dell'evento, ma dalla data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza di estinzione del reato, riponendo il danneggiato fino a tale momento un legittimo affidamento sul permanere dell'effetto interruttivo-sospensivo della prescrizione conseguente all'esercizio dell'azione civile.
Nel caso di inadempimento del preliminare di vendita di quote di società a responsabilità limitata contenente un termine - non rispettato alla scadenza - per la stipulazione del definitivo, l’esercizio dell’azione di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. non presuppone necessariamente la natura essenziale di tale termine né l’intimazione di una diffida ad adempiere a carico della controparte. E’ infatti sufficiente la sola condizione oggettiva dell’omessa stipulazione del definitivo, che determina di per sé l’interesse alla pronuncia costitutiva.
La responsabilità degli amministratori di società di capitali per i danni cagionati nella gestione della società ha natura contrattuale. Pertanto, la società (o il curatore nel caso di fallimento) deve provare le violazioni compiute dagli amministratori e il nesso di causalità tra queste e il danno. Viceversa, gli amministratori sono onerati della prova della corretta osservanza dei doveri previsti dalla legge o dallo statuto.
Secondo quanto previsto dall'art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 168 del 2003, sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. d), d.l. n. 1 del 2012, conv. con modif. in l. n. 27 del 2012, nel testo attualmente in vigore, le Sezioni specializzate in materia di impresa sono competenti a conoscere, relativamente alle società ivi indicate, delle controversie relative ai rapporti societari e di quelle relative al trasferimento delle partecipazioni sociali od ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti. Nell’interpretazione della richiamata norma contenuta nell’art. 3 succitato si deve tenere conto, oltre che del dato letterale, anche della ratio ad essa sottesa, con cui il legislatore ha inteso concentrare presso il giudice specializzato le controversie relative alle società ed alle loro vicende, a favore della certezza del diritto e contro il pericolo di moltiplicazione di liti inutili, che potrebbe verificarsi ove si operassero continui distinguo. Ai fini della competenza per materia, si deve allora avere riguardo al petitum sostanziale dedotto in giudizio, da identificarsi in funzione della causa petendi. Va, pertanto, affermata la competenza della sezione specializzata qualora il petitum sostanziale della controversia verta sui rapporti societari e sulle partecipazioni sociali. Ciò posto, tuttavia, esula dalla competenza del tribunale specializzato in materia d'impresa la controversia relativa all'acquisto di azioni del capitale di una banca nell'ambito di un contratto di investimento finanziario nella quale l'attore lamenti, ai sensi del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, la violazione delle disposizioni che regolano la prestazione dei servizi di investimento ed il mancato rispetto da parte della banca delle norme legali di comportamento poste in capo agli intermediari finanziari.
L’art. 2382 c.c. prevede lo stato di interdizione o inabilitazione come cause di ineleggibilità e di decadenza degli amministratori. Ciò non vale anche per la nomina dell'amministratore di sostegno data la peculiarità di tale istituto, caratterizzato dalla modularità in funzione di supporto all’amministrato e non già dalla sottrazione generalizzata di capacità. La decadenza potrebbe predicarsi solo ove il giudice tutelare nel nominare un amministratore di sostegno avesse espressamente disposto, ex art. 411 comma 4 c.c., l'estensione alla fattispecie della specifica decadenza di cui all’art. 2382 c.c..
L’omessa o incompleta tenuta delle scritture contabili della società non comporta di per sé un danno per la società stessa o per i creditori sociali, in quanto l’individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev’essere operata avuto riguardo agli specifici inadempimenti dell’amministratore, che l’attore ha l’onere di allegare, onde possa essere verificata l’esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti e il danno di cui si pretende il risarcimento. In particolare, la mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, non giustifica che il danno da risarcire sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizioni, sempreché il ricorso a esso sia, in ragione delle circostanze del caso concreto, logicamente plausibile e, comunque, l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo. In altri termini, postulare che l’amministratore debba rispondere dello sbilancio patrimoniale della società accertato in sede fallimentare solo perché non ha tenuto o non ha correttamente tenuto la contabilità sociale e, dunque, non ha consentito alla Curatela la ricostruzione completa delle vicende societarie, significherebbe attribuire al risarcimento del danno una funzione prettamente sanzionatoria, in quanto si prescinderebbe dall’accertamento del nesso eziologico tra l’inadempimento contestatogli e il danno sofferto dal patrimonio della società. Invero, la contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l’attività dell’impresa, senza però determinarli; è da quegli accadimenti che deriva il danno patrimoniale, non dalla loro (mancata o scorretta) registrazione in contabilità.
Ai sensi dell’art. 3, co. 2, lett. b), d.lgs. n. 168/2003, le sezioni specializzate in materia di impresa sono competenti per le cause e i procedimenti “relativi al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti”. Inoltre, in base all’art. 3, co. 3, d.lgs. n. 168/2003, “le sezioni specializzate sono altresì competenti per le cause e i procedimenti che presentano ragioni di connessione con quelli di cui ai commi 1 e 2”. A tale riguardo, l’uso della disgiuntiva “o” che precede il riferimento alle controversie relative “ai diritti inerenti” si riferisce sia ai diritti inerenti alle partecipazioni sociali cedute (cioè ai diritti del socio che discendono dalle stesse), sia ai diritti nascenti dall’atto di trasferimento delle partecipazioni sociali e da ogni altro negozio che abbia comunque a oggetto tali partecipazioni, ivi compresi quelli afferenti al pagamento del prezzo di cessione, sicché la controversia a esso relativa è riconducibile alla competenza per materia della sezione specializzata in materia di impresa.
In tema di cessione di partecipazioni sociali, qualora sia stata accertata in giudizio l’esistenza di un accordo simulatorio intercorso tra le parti relativamente al prezzo concordato e alle relative modalità di pagamento, alla quietanza espressa nell’atto notarile non può attribuirsi valore di confessione.
Nel caso di irregolare tenuta della contabilità sociale, integrante indubbiamente una grave violazione dei doveri gravanti sull’amministratore, l’intero deficit fallimentare non può essere essere automaticamente attribuito ad atti di mala gestio, a prescindere dall’identificazione di tali atti e della loro finanche solo presunta idoneità pregiudizievole, in quanto la contabilità registra gli accadimenti economici, ma non li determina. Il criterio del deficit fallimentare resta sì applicabile, ma soltanto come criterio equitativo per l’ipotesi di impossibilità di quantificare esattamente il danno in conseguenza dell’affermazione di esistenza della prova almeno presuntiva di condotte di tal genere. Sul piano del nesso causale, infatti, il risultato negativo di esercizio non è conseguenza immediata e diretta della mancata o dell’irregolare tenuta delle scritture contabili ma del compimento da parte dell’amministratore di un atto di gestione contrario ai doveri di diligenza, prudenza, ragionevolezza e corretta gestione. L’amministratore deve sì dare conto di tale atto di gestione nelle scritture contabili, ma laddove ometta tale rilevazione non è necessariamente detto che sussista una perdita di gestione né che quest’ultima, laddove esistente, dipenda dall’irregolarità della tenuta dei registri contabili e della documentazione che l’impresa ha l’obbligo di conservare. In quest’ottica, è onere di colui che afferma l’esistenza di una responsabilità dell’amministratore allegare specificamente l’atto o gli atti contrari ai doveri gravanti sull’amministratore, dimostrare l’esistenza di tale atto e del danno al patrimonio sociale. Soltanto una volta soddisfatti tali oneri, la mancanza delle scritture contabili rileverà quale presupposto per l’utilizzo dei criteri equitativi “differenziali”. Sul piano dei principi generali, d’altronde, il potere del giudice di liquidare equitativamente il danno ai sensi dell’art. 1226 c.c. presuppone pur sempre che vi sia la prova dell’esistenza del medesimo e del nesso di causalità ma che la quantificazione del danno non sia agevole; il potere, invece, non può essere esercitato né invocato dal danneggiato quale modalità per aggirare l’onere della prova relativamente agli elementi costitutivi.
In caso di accertata violazione dell’art. 2486 c.c., il danno va misurato secondo i criteri oggi cristallizzati da detta norma (c.d. differenza fra patrimoni netti), quale modificata nel 2019, ma applicabili anche alle condotte anteriori in quanto già precedentemente elaborati e applicati dalla giurisprudenza tutte le volte in cui il danno per deterioramento del patrimonio sociale derivante dalla gestione non liquidatoria non era il frutto di singoli ed individuabili atti gestori, ma della miriade delle condotte di impresa, proprie dell’operare della società nel mercato.
Laddove abbia rivestito il ruolo di amministratore di fatto della società, il socio accomandante non è legittimato a invocare la tutela prevista dall'art. 2320, comma III, c.c., ivi compreso il diritto a ricevre il conto della gestione.
Il socio accomandante assume il ruolo di amministratore di fatto solo ove contravvenga al divieto di compiere atti di amministrazione - intesi questi ultimi quali atti di gestione, aventi influenza decisiva o almeno rilevante sull'amministrazione della società, non già di atti di mero ordine o esecutivi - o di trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. Per aversi ingerenza dell'accomandante nella amministrazione della s.a.s. vietata dal citato art. 2320 c.c., deve essere realizzata una attività gestoria che sia espressione del potere di direzione degli affari sociali in quanto implicante una scelta che è propria del titolare dell'impresa. Inoltre, l'attività amministrativa vietata al socio accomandante riguarda il momento genetico del rapporto in cui si manifesta la scelta operata dall'imprenditore, mentre tutto quanto attiene al momento esecutivo dell'adempimento delle obbligazioni che da quel rapporto derivano, non esclude di per sé la qualità di terzo dell'accomandante rispetto alla gestione della società, alla quale pertanto, rimane estraneo.
Ove vi sia controversia in ordine al diritto del socio accomandante di ricevere il conto della gestione da parte del socio accomandatario, l'ordine del giudice di presentazione del conto deve essere preceduto dal positivo accertamento dell'esistenza di detto diritto.
È ammissibile che il bilancio finale di liquidazione sia approvato espressamente dai soci in assemblea, ove questi ultimi vi abbiano acconsentito, quale modalità alternativa al meccanismo di approvazione tacita previsto dall’art. 2493, comma 1, c.c. In questo caso, e salvo che non sia stato approvato all’unanimità con rinuncia dei soci a proporre reclamo, l’eventuale approvazione a maggioranza del bilancio finale di liquidazione lascia impregiudicato il diritto del singolo socio che abbia espresso voto contrario a promuovere reclamo ai sensi dell’art. 2492 c.c.
Non sussiste un termine di decadenza per il deposito del bilancio finale di liquidazione presso il Registro delle Imprese ai sensi dell’art. 2492, comma 2, c.c. L’eventuale passaggio di tempo fra presentazione/approvazione del bilancio finale di liquidazione, da un lato, e deposito presso il Registro delle Imprese, dall'altro, con conseguente mutamento della situazione economica e patrimoniale è irrilevante ai fini dell’iscrizione della richiesta cancellazione da parte del Conservatore, dovendo quest’ultimo verificare soltanto il rispetto della procedura formale.
Il bilancio finale di liquidazione va depositato al Registro delle Imprese unitamente alla relazione dei sindaci ai sensi dell’art. 2492, comma 2, c.c. Ai fini dell’iscrizione della richiesta di cancellazione della società, il Conservatore è tenuto a verificare esclusivamente che detta relazione sia allegata al bilancio finale di liquidazione, non potendo invece sindacare nel merito quanto affermato dall’organo di controllo.