Il sequestro conservativo, com’è noto, è un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale c.d. generica (vale a dire quella apprestata ai propri creditori, ex art. 2740 co. 1° c.c., da tutti i beni presenti e futuri del debitore) concesso al creditore che abbia fondato timore di perderla (art. 671 c.p.c.), o quantomeno -nella corrente interpretazione giurisprudenziale- di vederla assottigliarsi per atti dispositivi del patrimonio che il debitore abbia posto in essere o stia per compiere: (altro…)
È responsabile verso la Banca per i danni arrecati dalla sua gestione l'amministratore che ha contribuito col proprio voto alla deliberazione in ordine al mantenimento del credito concesso e all’erogazione di nuovo credito in favore di soggetto non affidabile e ciò malgrado la consapevolezza della non affidabilità del cliente, violando quindi le disposizioni che impongono diligenza nell’espletamento dell’incarico, segnatamente in ordine al dovere di controllo del merito creditizio dei clienti.
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Allorché siano ammesse a negoziazione su un mercato regolamentato (e cioè siano "quotate" agli effetti dell'art. 2437-quinquies c.c.) due categorie di azioni e venga deliberata una certa operazione che comporti l'esclusione dalla quotazione delle azioni di una soltanto delle due categorie, tale operazione non comporta il sorgere del diritto di recesso ai sensi del citato art. 2437-quinquies c.c. in capo ai portatori delle azioni escludende ove a questi sia riconosciuta contestualmente la facoltà di convertire le proprie azioni nelle azioni dell'altra categoria, che rimangono quotate, così evitando il pregiudizio che la causa di recesso mira ad attenuare, ossia l'unilaterale decisione da parte della società di far venire meno, per effetto dell'operazione deliberata, lo status di azione quotata e quindi il carattere della pronta liquidabilità dell'investimento connesso all'azione stessa.
I finanziamenti erogati dalla società controllante a favore della società controllata in ragione di una logica di gruppo, trovano un limite sia nella capacità finanziaria della controllante sia nei vantaggi compensativi che non possono essere ipotetici ma devono essere concreti e oggetto di precisa dimostrazione. (altro…)
Si ritiene motivo dirimente e assorbente ai fini del rigetto della pretesa risarcitoria dell’attore nei confronti dei convenuti il rilievo circa la mancata univoca dimostrazione, da parte dell’attore, del presupposto del concorso delle banche convenute nella condotta di mala gestio degli amministratori di società dichiarata poi fallita, ovverosia della mancata dimostrazione in ordine alla consapevolezza, in capo alle banche convenute, circa lo stato di tensione finanziaria se non di insolvenza della società poi dichiarata fallita al momento della erogazione di finanziamenti bancari che abbiano causato o aggravato il dissesto patrimoniale patito dalla società stessa, anche in considerazione del fatto che tale consapevolezza, in capo alle banche convenute, della situazione di crisi della società non era ricavabile neppure dalle caratteristiche dei finanziamenti concessi, per gran parte relativi ad anticipazioni su crediti, ovverosia a una forma di finanziamento c.d. autoliquidante e di per sé pienamente compatibile con le caratteristiche dell’impresa sociale e con la tipologia dei clienti.
In presenza di una clausola statutaria che non solo escluda l’applicabilità della giurisdizione ordinaria relativamente a ogni controversia tra il socio e la società, ma preveda espressamente il vincolo arbitrale in merito al recesso del socio, tale copertura si estende anche alle ipotesi in cui ad agire sia un socio già receduto dalla compagine sociale. (altro…)
Allorché sia convocata un'Assemblea per discutere e deliberare la rinunzia ex art. 2393, c. 6, c.c. ad una azione di responsabilità già proposta, tale materia deve essere contemplata nell'ordine del giorno dell'adunanza assembleare in modo particolarmente esplicito, onde avere una effettiva portata segnaletica nei confronti di quei soci che, opponendosi con il proprio voto ex c. 6 dell'articolo medesimo, hanno in quell'occasione l'ultima occasione (assembleare) per evitare la dismissione del diritto inerente l'azione de quo.
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L’art. 2389 co. 1 c.c. – avente ad oggetto la determinazione dei compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione in sede di atto di nomina (e quindi, in sede di prima costituzione dell’organo, dall’atto costitutivo ex art. 2463 co. 2 n. 8 c.c.) ovvero da parte dell’assemblea che provvede alle nomine successive – è norma avente carattere imperativo ed inderogabile, oltre che applicabile in via analogica all’organo gestorio collegiale di una società a responsabilità limitata: la norma è infatti connaturata alla fondamentale ripartizione nelle società di capitali fra titolarità dell’investimento e quindi ‘proprietà della società’ (in capo ai soci irresponsabili) e, di converso, piena autonomia gestionale e correlativa responsabilità degli amministratori da essi nominati.
Ne consegue che la deliberazione di emolumenti avvenuta ad opera dell’organo amministrativo è a tal fine tamquam non esset e priva di effetto, per radicale difformità dalla fattispecie legale.
La responsabilità addotta dal Curatore fallimentare per il rimborso anticipato dei finanziamenti ai soci sul presupposto che non ne ricorressero le condizioni necessita che la Curatela dimostri, sulla scorta del dettato dell’art. 2467 c.c., che il rimborso da parte degli amministratori sia avvenuto in spregio alla regioni dei creditori, non essendo adeguati a questo scopo né l’allegazione dell’esposizione debitoria né l’esiguità del capitale sociale dell’impresa dichiarata fallita.
L’art. 2437, co. 3, cod. civ., che attribuisce al socio la facoltà di recesso ad nutum dalla società di capitali a tempo indeterminato è una disposizione che richiede di contemperare l’interesse del socio al disinvestimento con l’interesse dei terzi creditori alla conservazione della loro garanzia patrimoniale ed alla prevedibilità delle cause che possono intaccarne la consistenza.
Nel contesto di una holding pura, deve ritenersi del tutto ragionevole e coerente con il concreto atteggiarsi dei rapporti tra holding e società controllate direttamente e indirettamente che il socio non amministratore della holding abbia il diritto di essere informato (dall’organo amministrativo della controllante di cui è socio) anche su cosa succede “a valle”, nelle società controllate, la cui gestione è l’attività specifica della capogruppo. Non è dunque questione di raffrontare i poteri del socio della S.r.l. con i poteri del socio della società controllata (in ipotesi S.p.A.) o con quelli dei sindaci nel caso di cui all’art. 2403 bis comma 2 c.c., quanto piuttosto di parametrare il potere di controllo del socio della S.r.l. al potere di gestione spettate all’organo amministrativo della S.r.l. stessa.
Il perimetro del diritto di informazione del socio sui documenti relativi all’amministrazione della società da lui stesso direttamente partecipata deve intendersi comprensivo di tutta la documentazione “ragionevolmente necessaria ovvero in concreto esaminata/utilizzata per l’esercizio delle proprie funzioni dall’organo amministrativo della società soggetta al potere di ispezione e conseguentemente da reputarsi nella materiale disponibilità giuridica della stessa, nella necessaria coincidenza fra poteri di gestione e poteri di controllo di una società di capitali, quale assicurata nell’attuale assetto normativo dal controllo sindacale nella spa e dal controllo dei soci non amministratori nella srl” e del tutto “a prescindere … dalla … irrilevante intestazione formale dei relativi atti” (v. Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in materia di impresa, ord. 27.9.17). La questione, dunque non è quella dell’esistenza del diritto ma quella dell’esercizio del diritto e quindi, in sostanza, quella di definire quali sono le conoscenze che l’organo amministrativo della controllante deve avere sulla società direttamente controllata - e quindi anche su quello che segue, cioè sulla controllata dalla controllata - e che può/deve trasferire al socio ex art. 2476 comma 2 c.c. In proposito, si deve ritenere che l’organo amministrativo della holding debba senz’altro conoscere la documentazione sociale e quella attinente alle scelte gestionali di maggior rilevanza e che, di norma, la sua conoscenza non si spinga/debba spingersi a dati che riguardano la minuta operatività ordinaria delle società sottoposte a controllo/coordinamento.
Nonostante l’ampiezza della formula usata dal legislatore (“notizie sullo svolgimento degli affari sociali”), si deve ritenere che possano rientrare nella dizione legale solo informazioni/notizie tratte da elementi già costituiti, escludendo, per converso, che possano rientrarvi documenti costituendi che implichino attività di valutazione o anche solo di elaborazione dei dati.
La prescrizione breve in materia di società, sancita dall'art. 2949 c.c., è applicabile non solo alle società commerciali ma anche ai consorzi a rilevanza esterna di cui all'art. 2612 c.c. ed alle società consortili di cui all'art. 2615 ter c.c., in quanto anch'essi, in base al disposto dell'art. 8 della l. n. 580 del 1993 e dell'art. 7 del d.P.R. n. 581 del 1995, sono iscritti nella sezione ordinaria del registro delle imprese, mentre non si applica ad imprenditori agricoli, piccoli imprenditori e società semplici, in quanto iscritti in sezioni speciali di detto registro.
La rinuncia ad un credito per fatti concludenti si inquadra nella generale fattispecie della remissione del debito di cui all’art. 1236 c.c., remissione che può ricavarsi anche da una manifestazione tacita di volontà; in tal caso, tuttavia, è indispensabile che la volontà abdicativa risulti da una serie di circostanze concludenti e non equivoche, assolutamente incompatibili con la volontà di valersi del diritto di credito.