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Azione di classe: criterio di collegamento e competenza giurisdizionale
L’art. 840 ter, comma 1, c.p.c. – pacificamente derogatoria del foro del consumatore, non essendo rilevabile, nell’azione di classe, squilibrio...

L’art. 840 ter, comma 1, c.p.c. – pacificamente derogatoria del foro del consumatore, non essendo rilevabile, nell’azione di classe, squilibrio tra le parti rilevante a questi fini ed anzi essendo necessario evitare fenomeni di forum shopping – dice che il criterio di collegamento per stabilire la competenza esclusiva delle Sezioni specializzate in materia di impresa è la sede del resistente. La norma suppone dunque che il resistente abbia sede (o stabilimento o rappresentante: art. 19 c.p.c.) in Italia, risultandone – in assenza di criteri di collegamento alternativi - che il giudice italiano è carente di giurisdizione rispetto ad azioni di classe proposte verso resistenti aventi sede soltanto all’estero, poiché nemmeno in astratto è ipotizzabile una Sezione specializzata in materia di impresa competente a conoscere quella causa.
Il Regolamento UE n. 1215 del 2012 non sembra considerare le azioni di classe ed invece solo le azioni individuali. In particolare gli artt. 17 e 18 menzionano soltanto l’azione “del consumatore”, riferendosi dunque all’azione individuale e non a quella di classe. Pertanto, nel caso in cui parte resistente non abbia sede, stabilimento o rappresentante nel circondario di competenza della Sezione specializzata in materia di impresa, essa non è competente a conoscere della controversia.

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Recupero dei crediti sociali e inerzia dell’amministratore unico
L’inerzia dell’amministratore unico nel recupero di un credito provoca danno alla società solo quando quel credito non risulta più recuperabile,...

L’inerzia dell’amministratore unico nel recupero di un credito provoca danno alla società solo quando quel credito non risulta più recuperabile, perché prescritto o per sopravvenuta insolvenza del debitore: fino a quel momento, chiunque abbia la gestione della società ha la possibilità di agire per recuperarlo.

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Presupposti della sospensione del giudizio e ammissibilità di sentenza di condanna condizionata
Ai fini della sospensione necessaria del giudizio ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., che presuppone l’identità delle parti in...

Ai fini della sospensione necessaria del giudizio ai sensi dell'art. 295 cod. proc. civ., che presuppone l'identità delle parti in entrambi i processi, non è sufficiente che, tra due controversie, sussista una mera pregiudizialità logica, ma è necessaria l'obiettiva esistenza di un rapporto di pregiudizialità giuridica, il quale ricorre solo quando la definizione di una delle controversie costituisca l'indispensabile antecedente logico-giuridico dell'altra, l'accertamento del quale debba avvenire con efficacia di cosa giudicata.

Nel nostro ordinamento processuale, sono ammesse le sentenze di condanna condizionate, quanto alla loro efficacia, al verificarsi di un evento futuro e incerto, alla scadenza di un termine prestabilito o ad una controprestazione specifica, sempre però che la circostanza condizionante sia tale che il suo avveramento non richieda ulteriori accertamenti di merito da compiersi in un nuovo o diverso giudizio di cognizione. Con, questo tipo di pronunce non viene emessa una condanna da valere per il futuro, ma si accerta l'obbligo (attuale) di eseguire una certa prestazione ed il condizionamento (parimenti attuale) di tale obbligo al verificarsi di una circostanza il cui avveramento, pur presentandosi differito ed incerto, non richiede, per il suo accertamento, altre indagini che quella se la circostanza si sia o meno verificata.
Qualora l'efficacia sia, invece, subordinata ad un ulteriore accertamento di merito, da compiersi in un nuovo e diverso giudizio di cognizione, la mancanza di certezza ed inequivocità dell'elemento condizionante rende inammissibile la pronuncia di sentenza di condanna condizionale.

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Sull’applicabilità del criterio del deficit fallimentare
L’irregolare tenuta della contabilità sociale (integrante indubbiamente una grave violazione dei doveri gravanti sull’amministratore) non comporta di per sé che...

L'irregolare tenuta della contabilità sociale (integrante indubbiamente una grave violazione dei doveri gravanti sull’amministratore) non comporta di per sé che l’intero deficit fallimentare sia automaticamente attribuito ad atti di mala gestio, a prescindere dall’identificazione di tali atti e della loro finanche solo presunta idoneità pregiudizievole, in quanto la contabilità registra gli accadimenti economici, ma non li determina. Il criterio del deficit fallimentare resta sì applicabile, ma soltanto come criterio equitativo per l’ipotesi di impossibilità di quantificare esattamente il danno. Sul piano del nesso causale, il risultato negativo di esercizio non è conseguenza immediata e diretta della mancata o dell’irregolare tenuta delle scritture contabili ma del compimento da parte dell’amministratore di un atto di gestione contrario ai doveri di diligenza, prudenza, ragionevolezza e corretta gestione. L’amministratore deve sì dare conto di tale atto di gestione nelle scritture contabili, ma laddove ometta tale rilevazione non è necessariamente detto che sussista una perdita di gestione né che quest’ultima, laddove esistente, dipenda dall’irregolarità della tenuta dei registri contabili e della documentazione che l’impresa ha l’obbligo di conservare. In quest’ottica, è onere di colui che afferma l’esistenza di una responsabilità dell’amministratore allegare specificamente l’atto o gli atti contrari ai doveri gravanti sull’amministratore, dimostrare l’esistenza di tale atto e del danno al patrimonio sociale. Soltanto una volta soddisfatti tali oneri, la mancanza delle scritture contabili rileverà quale presupposto per l’utilizzo dei criteri equitativi “differenziali”. Sul piano dei principi generali, d’altronde, il potere del giudice di liquidare equitativamente il danno ai sensi dell’art. 1226 c.c. presuppone pur sempre che vi sia la prova dell’esistenza del medesimo e del nesso di causalità ma che la quantificazione del danno non sia agevole; il potere, invece, non può essere esercitato né invocato dal danneggiato quale modalità per aggirare l’onere della prova relativamente agli elementi costitutivi dell’illecito.

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Principi in tema di direzione e coordinamento e di diritto di controllo del socio
L’esistenza di diritti particolari dei soci, previsti dallo statuto sociale, che consentono loro di influire sull’andamento della vita sociale anche...

L’esistenza di diritti particolari dei soci, previsti dallo statuto sociale, che consentono loro di influire sull’andamento della vita sociale anche delle società controllate non costituisce circostanza idonea a superare la presunzione prevista dall’art. 2497-sexies c.c., a mente del quale l’attività di direzione e coordinamento si presume con riguardo alle società controllanti ai sensi dell’art. 2359 c.c.

Le determinazioni assunte dai soci della controllante nell’esercizio dei loro diritti particolari non esplicano alcun effetto diretto nella vita sociale della controllata, poiché devono essere sempre esternate tramite gli organi sociali della controllante.

L’assenza di indicazioni, nella visura camerale e nella corrispondenza della controllata, circa la sua soggezione all’attività di direzione e coordinamento della controllante è irrilevante, posto che la controllante non può trarre vantaggio dall’inosservanza degli obblighi di pubblicità previsti dall’art. 2497-bis c.c. gravanti su di essa e sui suoi amministratori.

Il diritto previsto dall’art. 2476, co. 2, c.c. può essere esercitato non solo per tutelare gli interessi della società, ma anche interessi individuali del socio, tra i quali rientra l’esercizio dei diritti particolari previsti dallo statuto sociale.

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Cause di esclusione del socio di S.r.l. ed impugnazione delle relative delibere assembleari
L’esclusione del socio è possibile solo in caso di renitenza al versamento della quota di capitale da lui dovuta e...

L’esclusione del socio è possibile solo in caso di renitenza al versamento della quota di capitale da lui dovuta e all’esito del relativo procedimento (articolo 2466 c.c.), ovvero quando l’atto costitutivo lo consenta, ma in quest’ultimo caso, data la necessità di permettere ai soci di evitare la “sanzione” conoscendo preventivamente le condotte che potrebbero darvi causa, si richiede la previa individuazione delle ipotesi che potrebbero integrare una giusta causa di cessazione del vincolo sociale. La clausola statutaria che disciplina l’esclusione del socio, proprio per questa esigenza di consentire la verifica puntuale della ricorrenza della causa di esclusione nel caso concreto, deve quindi descrivere specificamente, a pena di nullità per indeterminatezza, la condotta suscettibile di integrarla.

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Arbitrabilità delle questioni relative al compenso degli amministratori
Anche le questioni relative al compenso degli amministratori possono essere sottoposte alla decisione arbitrale, se lo statuto prevede la clausola...

Anche le questioni relative al compenso degli amministratori possono essere sottoposte alla decisione arbitrale, se lo statuto prevede la clausola compromissoria per risolvere le controversie tra amministratori e società. I rapporti fra amministratori e società, «anche se specificamente attinenti al profilo “interno” dell'attività gestoria e ai diritti che ne derivano agli amministratori, danno luogo a controversie che possono essere decise dagli arbitri» se, beninteso, tale possibilità sia prevista dagli statuti societari.
L’esistenza della clausola compromissoria, se non esclude la competenza del giudice ordinario ad emettere il decreto ingiuntivo posto che la disciplina del procedimento arbitrale non contempla l’emissione di provvedimenti inaudita altera parte, impone però al giudice dell’opposizione investito dell’eccezione di arbitrato l’accoglimento, in rito, dell’opposizione con la declaratoria di nullità del decreto impugnato, esclusa la traslatio iudicii dalla specifica previsione dell’art. 819 ter comma 2 c.p.c..

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Delibera di ratifica di deliberazione invalida: questioni processuali
L’adozione di una delibera assembleare di ratifica della decisione dei soci impugnata non preclude l’esame nel merito della domanda cautelare...

L’adozione di una delibera assembleare di ratifica della decisione dei soci impugnata non preclude l’esame nel merito della domanda cautelare relativa a tale impugnazione. Tuttavia, ai fini della valutazione della verosimile fondatezza dell’impugnazione, è necessario esaminare, in via incidentale, anche la legittimità e l’idoneità della delibera di ratifica a rimuovere la causa di invalidità contestata nella decisione originaria.

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Postergazione dei finanziamenti infragruppo
La postergazione, prevista dall’art. 2467 c.c. in relazione al finanziamento dei soci, è richiamata anche dall’art. 2497 quinquies c.c. con...

La postergazione, prevista dall’art. 2467 c.c. in relazione al finanziamento dei soci, è richiamata anche dall’art. 2497 quinquies c.c. con riguardo ai finanziamenti infragruppo, eseguiti dalla società che esercita una attività di direzione e coordinamento o da altra società assoggettata ad essa. La norma appena citata, peraltro, attribuisce il carattere in parola ai finanziamenti effettuati a favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti: dunque, a tutti i finanziamenti operati dai soggetti indicati, per il solo fatto che provengono da essi; non è invece richiesta la prova che il finanziamento operato da una sottoposta in favore di un’altra sia stato a sua volta imposto dalla capogruppo.

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Liquidazione coatta amministrativa di società di capitali e responsabilità del Commissario liquidatore
Nel caso di società in liquidazione coatta amministrativa, la responsabilità del Commissario Liquidatore è dettata dalle norme della legge fallimentare...

Nel caso di società in liquidazione coatta amministrativa, la responsabilità del Commissario Liquidatore è dettata dalle norme della legge fallimentare per il curatore ed egli deve adempiere con diligenza ai doveri del proprio ufficio.
L’azione del commissario liquidatore ex art. 206, comma 1, L.F., non diversamente da quella proposta dal curatore fallimentare ex art. 146, comma 2, L.F., è un diritto processuale ancipite, che ricomprende – in unica azione autonoma e inscindibile – sia l’azione sociale di cui all’art. 2393 c.c. che quella di cui sono titolari i creditori sociali ex art. 2394 c.c. “quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti” (comma 2) a causa dell’inosservanza da parte degli amministratori “degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale”.
Nei confronti del liquidatore di una società a responsabilità limitata è possibile esperire le medesime azioni proponibili nei confronti dell’amministratore, in virtù del richiamo di cui all’art. 2489 c.c..
I liquidatori sono responsabili nei confronti della società, come anche dei soci e dei terzi creditori nei limiti previsti dall’art. 2476 c.c.. La professionalità e la diligenza richieste secondo la natura dell’incarico conferito costituiscono parametri da valutarsi comunque con riferimento al fine ultimo della liquidazione ed estinzione della società ed al compimento dei soli atti utili al raggiungimento di tale scopo; l’attività discrezionale, e come tale insindacabile, dei liquidatori ha quindi come limiti la ragionevolezza e la coerenza con le finalità proprie della particolare fase della vita della società cui sono preposti. Analogamente alla responsabilità degli amministratori, anche quella dei liquidatori è quindi una responsabilità qualificata e, per non incorrere in responsabilità, i liquidatori devono agire con la diligenza del corretto liquidatore, determinata in relazione all’incarico ed alle specifiche competenze.
Ai fini del riparto dell’onere della prova l’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale; l’azione di responsabilità verso i creditori sociali ex art. 2394 c.c., ha natura extracontrattuale e presuppone l’insufficienza patrimoniale cagionata dall’inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale.
La fase di liquidazione deve essere improntata a finalità conservative del patrimonio sociale, al fine di tutelare non solo gli interessi dei creditori al pagamento dei debiti sociali, ma anche gli interessi dei soci alla ripartizione del residuo.
Con l’apertura della successione ereditaria gli eredi succedono e sono tenuti a farsi carico anche delle responsabilità per danno imputabili al defunto, ivi inclusa la responsabilità professionale ex art. 199 L.F, atteso che l’illecito civile (sia contrattuale che extra contrattuale) non si estingue con la morte del responsabile, ma si trasmette agli eredi dello stesso, secondo il principio generale in materia di obbligazioni.

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Efficacia della contabilità
La contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l’attività dell’impresa, non li determina; ed è da quegli accadimenti che deriva...

La contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l'attività dell'impresa, non li determina; ed è da quegli accadimenti che deriva il deficit patrimoniale, non certo dalla loro (mancata o scorretta) registrazione in contabilità [Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto insussistente il requisito del fumus boni juris, stabilendo che occorre verificare in concreto che gli accadimenti oggetto di contestazione abbiano causato effettivamente un pregiudizio economico, non rilevando la relativa (mancata o scorretta) registrazione contabile].

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Azione di responsabilità esercitata dal curatore e mancata restituzione delle immobilizzazioni materiali
L’azione di responsabilità esperita dalla curatela fallimentare ai sensi dell’art. 146 L.F. cumula inscindibilmente i presupposti e gli scopi sia...

L'azione di responsabilità esperita dalla curatela fallimentare ai sensi dell’art. 146 L.F. cumula inscindibilmente i presupposti e gli scopi sia dell'azione sociale di responsabilità' ex artt. 2392 e 2393 C.C. – che si ricollegano alla violazione da parte degli amministratori di specifici obblighi di derivazione legale o pattizia che si siano tradotti in pregiudizio per il patrimonio sociale -, che dell'azione spettante ai creditori sociali ex art. 2934 C.C., - tendente alla reintegrazione del patrimonio sociale diminuito dall'inosservanza degli obblighi facenti capo all'amministratore.

In applicazione degli ordinari canoni probatori che sovraintendono il processo civile, nell'azione di responsabilità ex art. 146 L.F., grava sulla Curatela attrice l’onere di provare - giusta l’art. 2697 c.c. - la violazione dei doveri e degli obblighi di derivazione pattizia o legale legati alla assunzione dell’incarico da parte dell’amministratore sia l’esistenza di specifiche e determinate voci di danno eziologicamente riconducibili alla inosservanza dei suddetti obblighi e doveri.

Nel caso in cui la Curatela attrice imputi al convenuto la distrazione di beni dalla società e quest'ultimo abbia pacificamente riconosciuto l'addebito, in mancanza della prospettata consegna, deve ritenersi che le immobilizzazioni materiali siano state perse, distrutte o distratte in epoca non accertabile con corrispondente danno per la società e per i creditori. La mancata consegna di beni de quo integra gli estremi della responsabilità ex art. 146 L.F. e 2394 C.C., posto che l’amministratore ha evidentemente violato l’obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio non consegnando detti beni.

In ordine alla quantificazione del danno, nell'azione di responsabilità per mala gestio promossa nei confronti dell'amministratore, il danno risarcibile può essere determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l'attivo liquidato in sede fallimentare, quale plausibile parametro per una liquidazione equitativa, purché sia stato allegato un inadempimento dell'amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato e siano state indicate le ragioni che hanno impedito l'accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell'amministratore. Invero, siffatto criterio, in quanto caratterizzato da un’elevata dose di approssimazione, può avere un utilizzo concreto in due sole fattispecie. La prima è quella della mancanza, falsità o totale inattendibilità della contabilità e dei bilanci della società dichiarata fallita, situazione che determina l’impossibilità di ricostruire la movimentazione degli affari dell’impresa e quindi il necessario ricorso ad un criterio scevro da agganci a precisi parametri. La seconda è quella in cui il dissesto sia stato cagionato da un'attività distrattiva così reiterata e sistematica, da escludere la possibilità concreta di una quantificazione parametrata sul valore dei beni distratti e dissipati

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