I contratti di fideiussione “a valle” di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata – perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.
Nel contratto di fideiussione i requisiti soggettivi per l’applicazione della disciplina consumeristica devono essere valutati con riferimento alle parti di esso, senza considerare il contratto principale, dovendosi pertanto disattendere l’orientamento tradizionale del “professionista di rimbalzo” o “di riflesso”. Si dovrà perciò qualificare come consumatore il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professionale (o anche più attività professionali), stipuli il contratto di garanzia per finalità estranee alla stessa, nel senso che la prestazione della fideiussione non deve costituire atto espressivo di tale attività, né essere strettamente funzionale al suo svolgimento (c.d. “atti strumentali in senso proprio”). Ai fini di valutare l’applicabilità della disciplina consumeristica in relazione ad un contratto di fideiussione stipulato da un socio in favore della società, è necessario dare rilievo all’entità della partecipazione al capitale sociale detenuta dal garante nonché all’eventuale sua qualità di amministratore, trattandosi di elementi idonei a provare il coinvolgimento del fideiussore nell’attività imprenditoriale svolta dalla debitrice principale.