L’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società ex art. 2394 c.c., pur quando promossa dal curatore fallimentare a norma dell’art. 146 l.fall., è soggetta a prescrizione quinquennale che decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall’effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall’insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.), non corrisponde allo stato d’insolvenza di cui all’art. 5 della l.fall., derivante, “in primis”, dall’impossibilità di ottenere ulteriore credito. In ragione della onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione “iuris tantum” di coincidenza tra il “dies a quo” di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza. Il principio riguardante l’individuazione del dies a quo può trovare applicazione anche con riferimento alla liquidazione giudiziale. L’azione sociale di responsabilità, pur quando sia esercitata dal curatore del fallimento, si prescrive nel termine di cinque anni, con decorrenza dal momento in cui il danno diventa oggettivamente percepibile all’esterno, manifestandosi nella sfera patrimoniale della società; il decorso del termine rimane, peraltro, sospeso, a norma dell’art. 2941, n. 7, c.c., fino alla cessazione dell’amministratore dalla carica.
Il pagamento dei tributi e degli oneri fiscali rappresenta un obbligo per gli amministratori; in caso di inadempimento, il danno subito dalla società non può essere parametrato all’entità dell’imposta o del contributo omesso, atteso che la società sarebbe stata comunque obbligata a sopportarne il costo, ma deve essere commisurato alle sanzioni comminate dall’amministrazione finanziaria e agli interessi maturati successivamente alla scadenza del termine legalmente previsto, atteso che tali esborsi sarebbero stati evitati se l’amministratore, utilizzando l’ordinaria diligenza, avesse assolto regolarmente i propri obblighi. È fatta salva la possibilità per l’amministratore convenuto di eccepire e provare di non aver potuto pagare, pur avendo impiegato la dovuta diligenza, in ragione dell’incapienza finanziaria o patrimoniale della società.
L’art. 2486 c.c., come novellato con la riforma della crisi di impresa (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), al terzo comma prevede i criteri di liquidazione presuntiva del danno nelle azioni di responsabilità aventi ad oggetto la violazione da parte degli amministratori dell’obbligo di eseguire, in caso di intervenuto scioglimento della società, ancorché non formalmente accertato, una gestione “conservativa” e non “imprenditoriale” della società, disponendo che quando è accertata la responsabilità degli amministratori, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore é cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si é verificata una causa di scioglimento di cui all’articolo 2484 c.c., detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione. La nuova norma ha recepito l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale occorre correttamente individuare il danno che si ricollega alla particolare ipotesi di responsabilità costituita dall’avere l’amministratore protratto l’attività in presenza di una causa di scioglimento senza avvedersi della perdita del capitale sociale, individuandolo nel c.d. criterio della differenza dei patrimoni netti sia pure contemperato dall’applicazione concorrente del criterio equitativo, al fine di rispettare il nesso di causalità tra il comportamento illegittimo e la produzione del danno; il dato iniziale – costituito dal patrimonio netto alla data del verificarsi della causa di scioglimento – risulta, infatti, comprensivo anche delle perdite causate dalla gestione precedente al verificarsi della causa di scioglimento che, in tal modo, non vengono poste a carico della gestione dell’amministratore del quale viene valutato il comportamento. Il meccanismo di liquidazione del “differenziale dei netti patrimoniali”, di cui all’art. 2486, comma 3, c.c., come modificato dall’art. 378, comma 2, del d.lgs. n. 14 del 2019, c.d. codice dell’impresa (CCII), è applicabile, in quanto latamente processuale, anche ai giudizi in corso al momento della entrata in vigore di detta norma, atteso che essa stabilisce non già un nuovo criterio di riparto di oneri probatori, ma un criterio, rivolto al giudice, di valutazione del danno rispetto a fattispecie integrate dall’accertata responsabilità degli amministratori per atti gestori non conservativi dell’integrità e del valore del capitale dopo il verificarsi di una causa di scioglimento della società, salva la deduzione e individuazione di elementi di fatto legittimanti l’uso di un diverso criterio liquidatorio più aderente alla realtà del caso concreto.