Nel diritto dell’Unione la nozione di “impresa” assume un significato e una portata “funzionale” agli obiettivi che la disciplina che la contempla intende perseguire, sicché diverse entità giuridicamente indipendenti possono essere considerate come costituenti un’unica impresa, se le società interessate non determinano in modo autonomo il loro comportamento sul mercato.
L’onere di dimostrare la estraneità all’intesa in ragione di un’eterodirezione puramente tecnico-finanziaria quale holding pura, spetta a chi la invoca quale titolo della pretesa di essere manlevata integralmente dalla controllata degli oneri della corresponsabilità (già accertata o da accertarsi) sul piano dei rapporti interni.
Nell’ attività di direzione e coordinamento della società controllata, per definizione, l’ente dirigente non agisce compiendo esso stesso atti di gestione della società eterodiretta rilevanti verso i terzi, ma influenza o determina le scelte gestorie operate dagli amministratori della società diretta, che si tradurranno in atti gestori compiuti – in esecuzione delle direttive – dagli amministratori della società diretta. I quali, è opportuno da subito chiarire (essendo rilevante per quanto riguarda la pretesa speculare della controllata, di essere manlevata integralmente dalla sua ex controllante, della cui infondatezza che in seguito meglio si dirà) sono vincolati dalle direttive ed atti di indirizzo nella misura in cui essi siano leciti, valendo la regola generale dettata nell’art. 2392 c.c. per cui gli amministratori della società devono adempiere all’incarico gestorio con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze, nel rispetto dei doveri loro imposti dalla legge e dallo statuto.
L’attività di direzione e coordinamento è, quindi, un quid pluris rispetto al controllo, in quanto manifestazione di un potere di ingerenza più intenso e pregnante, che si esprime principalmente come influenza dominante sulle scelte e determinazioni gestorie degli amministratori della società eterodiretta che ne sono i naturali referenti e destinatari; perciò per attività di direzione e coordinamento deve intendersi l’esercizio in concreto di una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa, cioè sulle scelte strategiche e operative di carattere finanziario, industriale, commerciale che attengono alla conduzione degli affari sociali: un potere di ingerenza che si esplica attraverso un flusso costante di istruzioni impartite alla società eterodiretta che si traspongono in decisioni dei suoi organi, e che involgono momenti significativi della vita della società, quali le scelte imprenditoriali, il reperimento dei mezzi finanziari, le politiche di bilancio e la conclusione di contratti importanti.
Nel giudizio di cognizione ordinario che si instaura con la proposizione di una domanda mediante atto di citazione, l’attore non può proporre domande diverse rispetto a quelle originariamente formulate nell’atto di citazione, trovando peraltro tale principio una deroga nel caso in cui, per effetto di una domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, l’attore venga a trovarsi, a sua volta, in una posizione processuale di convenuto, così che al medesimo, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, non può essere negato il diritto di difesa mediante la cd. “reconventio reconventionis”. E tuttavia la cd. “reconventio reconventionis” non è – per vero – assimilabile tout court alla domanda riconvenzionale proposta dal convenuto (…) costituente un’azione autonoma che in quanto tale – per trovare ingresso nel medesimo processo – deve presentare identità di titolo con la domanda proposta dall’attore, ai sensi dell’art. 36 cod. proc. civ., atteso che essa è caratterizzata dal fatto che viene introdotta esclusivamente per l’esigenza di rispondere ad una riconvenzionale del convenuto, ossia per assicurare all’attore un’adeguata difesa di fronte alla domanda riconvenzionale e/o alle eccezioni del convenuto. Ed è questa la ragione per cui l’art. 183, comma 4, cod. proc. civ. (nel testo applicabile ratione temporis) prevede che la c.d. “reconventio reconventionis” debba essere formulata in conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto. In ogni altro caso, all’attore è inibito proporre nuove domande nell’udienza di trattazione, rispetto a quelle proposte nell’atto introduttivo della lite, come si desume dalla previsione di ammissibilità, in deroga al suddetto divieto implicito, delle sole domande conseguenti alle difese articolate dal convenuto.
Con la scissione il patrimonio di una società è scomposto e trasferito, in tutto o in parte, ad altre società, preesistenti o di nuova costituzione, con contestuale assegnazione ai soci della prima delle azioni o quote delle società beneficiarie del trasferimento patrimoniale; in particolare, con la scissione parziale la società scissa resta in vita ma con un patrimonio (attività e passività) ridotto e continua l’attività, parallelamente alle società beneficiarie, di cui entrano a fare parte i soci della prima fattispecie effettivamente traslativa, che comporta l’acquisizione da parte della nuova società di valori patrimoniali prima non esistenti nel suo patrimonio.
La scissione ha per finalità la riorganizzazione di una pregressa attività imprenditoriale attraverso la riallocazione complessiva dell’intero patrimonio della società scissa, o di una sua parte (scissone parziale); donde l’esigenza di una più forte tutela dei creditori di quest’ultima società, i quali maggiormente rischiano di vedere affievolita la garanzia generica del loro credito; tutela che si realizza attraverso la responsabilità solidale della società scissa e della società beneficiaria, la quale risponde anche per passività sorte in capo alla scissa che – a differenza del caso di cessione d’azienda – non necessariamente siano evidenziate nelle scritture contabili al momento della scissione, ma, tuttavia, siano riconducibili all’attività imprenditoriale svolta dalla società scissa sino a quel momento (prima, dunque, che la scissione si sia perfezionata ed abbia avuto effetto); si tratta, infatti, pur sempre di elementi già esistenti nel patrimonio della società scissa, benché non ancora “ben esplicitati”, che, in quanto non assegnati nel progetto di scissione all’una o all’altra società, sono destinati a gravare solidalmente su entrambe le società; questo principio, ovvero la garanzia dei creditori e segnatamente di quelli della “scissa”, ispira le previsioni tanto del legislatore europeo (dell’art. 3, par. 3, lett. b) della Sesta direttiva 82/891/CEE del 17 dicembre 1982, relativa alle scissioni delle società per azioni), quanto di quello nazionale (art. 2506-bis 3° comma c.c.) e vale quanto ai rapporti esterni.