Ricerca Sentenze
Prova dell’uso di un marchio registrato per un formaggio tipico delle langhe, onere della prova e indagini investigative
L’uso del marchio idoneo a conservare l’esclusiva del titolare sul segno, deve essere connotato da un sufficiente grado di intensità...

L'uso del marchio idoneo a conservare l'esclusiva del titolare sul segno, deve essere connotato da un sufficiente grado di intensità e di stabilità. L' utilizzo del segno che sia effettuato esclusivamente al fine di evitare la decadenza del segno sul mercato (cioè un utilizzo del segno c.d. simulato) oppure un utilizzo meramente sporadico (cioè un utilizzo del segno c.d. occasionale) non sono idonei ad evitare la decadenza. Inoltre, è necessario verificare se l'uso del segno abbia una giustificazione economica, ossia se la condotta del titolare del segno, avente ad oggetto l'utilizzazione del marchio, sia funzionale all'esercizio dell'attività d'impresa, concretandosi in una effettiva presenza sul mercato dei beni e dei servizi contraddistinti dal marchio del titolare. Ai fini della prova della mancanza di un uso idoneo ad impedire la decadenza del marchio da parte del titolare, l’art. 121 CPI, nel testo anteriore alla recente riforma, ne poneva l’onere a carico di chi eccepisce la decadenza, prevedendo espressamente che la prova potesse essere offerta con ogni mezzo, ed anche mediante presunzioni semplici. L’onere probatorio deve essere dunque inteso non già nel senso che debba fornirsi la concreta dimostrazione del fatto storico che nessun oggetto contraddistinto dal marchio contestato sia stato prodotto o venduto in alcuna località del territorio nazionale, ma nel senso che, accertate particolari circostanze connesse alla vita del marchio, il mancato uso di questo possa essere desunto anche in via di presunzione, avuto pure riguardo alla possibilità che ha normalmente il suo titolare di contestare il valore presuntivo degli elementi dedotti dalla parte avversa. Devono ritenersi idonee a fornire la prova del non uso del segno le ricerche investigative che, realizzate da un soggetto terzo, specializzato in ricerche sull’uso di marchi e brevetti, appaiono condotte in conformità a parametri oggettivi ed espongono i risultati dell'indagine non in maniera parziale. È valorizzabile anche l’assenza di pagine web contenenti il marchio contestato o il prodotto da questo contrassegnati. In considerazione della nozione di uso effettivo del marchio, ai fini della prova deve richiedersi l’allegazione di fatti e circostanze che dimostrino uno sfruttamento del segno finalizzato ad acquisire o mantenere quote di mercato nei settori di prodotti o servizi interessati. In particolare, il giudizio sulla sussistenza di un uso effettivo deve tenere conto della natura dei beni per i quali il segno è stato registrato, delle caratteristiche del mercato di riferimento, nonché dell’ampiezza e della frequenza del suo uso.

Leggi tutto
Carattere distintivo delle confezioni dei prodotti a marchio “Vidal” e concorrenza sleale per imitazione servile
Per i marchi costituiti dalla confezione di un prodotto, la capacità distintiva non va ricercata in una parola piuttosto che...

Per i marchi costituiti dalla confezione di un prodotto, la capacità distintiva non va ricercata in una parola piuttosto che in un colore o in un’immagine, ma è data da tutta la confezione, dalla sua immagine globale. Un marchio costituito dalla forma del prodotto, pur essendo necessariamente intrinseca ad esso, può essere oggetto di valida registrazione, a condizione però che sia concettualmente estrinseca al prodotto e sia quindi idonea a caratterizzarlo come proveniente da una determinata impresa. Costituisce atto di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 1) c.c. l'imitazione pedissequa degli elementi essenziali della confezione dell'altrui prodotto, allorché il pubblico dei consumatori possa essere indotto ad attribuire, alla confezione dell'imitatore, le qualità di cui è portatore l'altrui prodotto (c.d. "look alike"), ciò in forza del rischio di associazione tra le due confezioni, e senza che occorra errore o confusione quanto alle fonti di produzione. L’apposizione sulla confezione di un marchio denominativo differente non esclude di per sé il rischio di confusione per il consumatore. Un marchio, anche di fatto, è tutelato dall'ordinamento solo nei confronti di quegli atti di usurpazione ed imitazione che comportino pericolo di confusione nel pubblico dei destinatari sulla provenienza imprenditoriale dei prodotti o servizi acquistati e che può consistere anche in un rischio di associazione tra i due segni. Il concetto di rischio di associazione precisa la portata delle potenzialità confusorie, estendendola al possibile errore del pubblico sulla sussistenza di rapporti contrattuali o di gruppo tra il titolare del segno prioritario ed il dedotto contraffattore. In tal modo viene in rilievo la funzione principale dei segni distintivi, quali veicoli di informazioni, per il pubblico, compresa quella tradizionale di indicazione della fonte produttiva in senso stretto.

Leggi tutto
Legittimazione a impugnare la delibera del CdA e interesse ad agire per l’accertamento della nullità di un contratto
L’affermazione dell’obiettivo di ottenere la rimozione dall’ordinamento di una delibera contraria a norma imperativa equivale all’affermazione di un generico interesse...

L’affermazione dell’obiettivo di ottenere la rimozione dall’ordinamento di una delibera contraria a norma imperativa equivale all’affermazione di un generico interesse all’attuazione della legge; di contro, l’interesse ad impugnare (nell’accezione di cui agli artt. 1421 c.c. e 100 c.p.c.) richiede la prospettazione dell’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, per evitare una lesione attuale del proprio diritto e il conseguente danno alla propria sfera giuridica. Non è coerente con il sistema ammettere all’impugnativa chi abbia contribuito direttamente a determinare la causa di nullità (art. 157 c.p.c.), né potrebbe mai riconoscersi un valido interesse ad agire nell’obiettivo di ottenere, con la pronuncia di annullamento, l’eliminazione dal mondo giuridico degli effetti di una condotta già definitivamente accertata, in sede giudiziale erariale, come produttiva di danno, stante la prevalenza dell’interesse pubblicistico al perseguimento della pretesa recuperatoria dell’indebito erariale. Ove il deliberato consiliare, di contenuto autorizzativo, costituisca un atto prodromico alla stipulazione di un successivo contratto – fonte, a sua volta, dell’effettivo spostamento patrimoniale indebito – non può ammettersi l’impugnativa sine die della stessa delibera che ha esaurito i suoi propri effetti con la stipulazione del successivo contratto.

Leggi tutto
La tutela della confezione delle Tic-Tac
La giurisdizione si determina sulla base della domanda e, a tal fine, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì...

La giurisdizione si determina sulla base della domanda e, a tal fine, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il cosiddetto "petitum sostanziale", il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice ma anche e soprattutto in funzione della "causa petendi", ossia della intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio ed individuata dal giudice stesso con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico di cui essi sono manifestazione e dal quale la domanda viene identificata.

I termini «luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire», utilizzati dall’articolo 5, punto 3, del regolamento n. 44/2001, indicano sia il luogo in cui il danno si è concretizzato sia il luogo del fatto generatore di tale danno, cosicché il convenuto può essere citato, a scelta del ricorrente, dinanzi ai giudici di entrambi i luoghi in parola. Ancora, per meglio specificare i termini “concretizzazione del danno”, si ritiene che il luogo della concretizzazione del danno è quello in cui il fatto da cui può sorgere una responsabilità da illecito doloso o colposo ha causato un danno.

Quando la forma di un prodotto si limita ad incorporare la soluzione tecnica messa a punto dal fabbricante e brevettata su sua domanda, la tutela di tale forma come marchio dopo la scadenza del brevetto ridurrebbe considerevolmente e all’infinito la possibilità per le altre imprese di utilizzare detta soluzione tecnica dovendo pertanto ritenersi preclusa.

La forma, o altra caratteristica, che dà un valore sostanziale al prodotto si configura solo se si tratta di un valore estetico autonomo, di per sé decisivo nell’esercitare un’autonoma forza attrattiva sul consumatore.

L'attività illecita, consistente nell'appropriazione o nella contraffazione di un marchio mediante l'uso di segni distintivi identici o simili a quelli legittimamente usati dall'imprenditore concorrente può essere da quest'ultimo dedotta a fondamento non soltanto di un'azione reale, a tutela dei propri diritti di esclusiva sul marchio, ma anche, e congiuntamente, di un'azione personale per concorrenza sleale, ove quel comportamento abbia creato confondibilità fra i rispettivi prodotti.

Il verificarsi di danni in capo al titolare del marchio contraffatto non è in re ipsa, ossia nella sussistenza dell’accertata condotta di contraffazione ex articolo 2598 c.c., talché il titolare che domanda il risarcimento dei danni è gravato dall’onere, ai sensi dell’articolo 121 – secondo comma c.p.i., di provarne l’an ed il quantum. In proposito, le allegazioni che devono accompagnare la proposizione di una domanda risarcitoria non possono essere limitate alla prospettazione della condotta colpevole della controparte, produttiva di danni nella sfera giuridica di chi agisce in giudizio, ma devono includere anche la descrizione delle lesioni, patrimoniali e/o non patrimoniali, prodotte da tale condotta, dovendo l’attore mettere il convenuto in condizione di conoscere quali pregiudizi vengono imputati al suo comportamento, a prescindere dalla loro esatta quantificazione e dall’assolvimento di ogni onere probatorio al riguardo.

Leggi tutto
La regola della necessaria contestualità tra contestazione del valore di liquidazione e dichiarazione di recesso non si applica in via analogica a casi diversi dal recesso
Il termine di cui all’art. 2437 bis, co. 1, c.c. riguarda espressamente l’esercizio del recesso e non la contestazione del...

Il termine di cui all’art. 2437 bis, co. 1, c.c. riguarda espressamente l’esercizio del recesso e non la contestazione del valore di liquidazione in casi diversi dal recesso: la previsione di un breve termine di decadenza anche per la contestazione, quando disgiunta dal recesso, non può quindi essere introdotta in via interpretativa.

Leggi tutto
Obbligo di cessione di partecipazioni sociali al verificarsi di una condizione statutaria
La clausola statutaria nella quale sia previsto che il socio che cessi la propria attività lavorativa in favore di società...

La clausola statutaria nella quale sia previsto che il socio che cessi la propria attività lavorativa in favore di società controllate dalla partecipata o ad essa collegate sia obbligato ad offrire in acquisto agli altri soci la propria quota al valore di patrimonio netto corrispondente, non è da ricondurre ad un’opzione condizionata alla cessazione dell’impiego. Ciò in quanto la stessa clausola non prevede (al contrario di un patto di opzione) una posizione di soggezione ad un diritto potestativo a favore dell’opzionario, ma un obbligo di cedere le quote e, cioè, la stessa non rappresenta una proposta irrevocabile cui corrisponde una facoltà di accettazione tipica dell’opzione. Si tratta, invece, di un’obbligazione di vendere la quota qualificabile quale obbligo di recesso (recesso vincolato-obbligatorio) che si distingue dall’esclusione del socio in senso tecnico perché qui non si dà corso alla delibera di esclusione assembleare ai sensi dell’art. 2287 c.c. (analogicamente applicabile alla s.r.l.), avente efficacia decorsi trenta giorni dalla comunicazione in assenza di opposizione, ma alla quale obbligazione a vendere si applicano, comunque, analogicamente, gli stessi artt. 2473 bis e 2473 c.c., giacché ci si trova di fronte, in ogni caso, ad un recesso imposto.

L’art. 2473 c.c. non è inderogabile nella parte in cui prevede il rimborso della partecipazione della s.r.l. in base al valore di mercato, perché non lo è nella normativa riguardante la s.p.a., regolata più rigidamente.
A seguito della riforma del diritto societario dettata dal d.lgs. 6/03, sia aderendo alla tesi dell’applicazione analogica (per quanto non regolato) delle norme delle s.p.a. alle s.r.l. (e, quindi, della normativa derogatoria di cui all’art. 2437 ter c.c.), sia ritenendo che, invece, si debba considerare la maggior elasticità ed autonomia tipica della regolamentazione della s.r.l. che conduce a reputare del tutto compatibile una deroga statutaria all’art. 2473, co. 3, c.c., la norma in questione non può qualificarsi come inderogabile.

Non è consentito il recesso ad nutum del socio di una società a responsabilità limitata contratta a tempo determinato e la cui durata è prevista fino all’anno 2050, anche se tale durata eccede l’aspettativa di vita del socio, poiché prevale l’esigenza di tutela dei creditori, che, facendo affidamento sul patrimonio sociale, hanno interesse al mantenimento della sua integrità, irrilevante essendo la circostanza che la durata ecceda l’aspettativa di vita del socio medesimo.

Leggi tutto
Responsabilità degli amministratori di società controllante e controllata per atti di mala gestio e indebita prosecuzione dell’attività sociale
È ammissibile la domanda di condanna al risarcimento dei danni pur in assenza di una espressa e tempestiva domanda preliminare...

È ammissibile la domanda di condanna al risarcimento dei danni pur in assenza di una espressa e tempestiva domanda preliminare di accertamento della responsabilità, in quanto la domanda di condanna presuppone logicamente ed implicitamente la domanda di accertamento della responsabilità. La domanda di condanna, infatti, presuppone logicamente in modo necessario l’accertamento di tutti gli elementi costitutivi del o degli illeciti civili (contrattuali o extracontrattuali) sulla cui base essa è stata formulata, accertamento che, pertanto, si deve considerare in essa sempre contenuto, anche implicitamente ove l’attore non formuli in modo espresso anche la domanda relativa. L’autonomia della domanda di accertamento rispetto a quella di condanna rileva quando l’attore ritenga di proporre solo la prima e non anche la seconda, nell’ambito di una legittima valutazione del proprio interesse ad egli esclusivamente rimessa, non certo per anche solo ipotizzare che la domanda di accertamento non possa essere considerata sempre e comunque implicitamente contenuta nella domanda di condanna che la presuppone necessariamente. 

L’azione di responsabilità promossa nei confronti dell’amministratore della controllante ex art. 2497 c.c. è ammissibile anche in assenza della partecipazione al giudizio della società controllante stessa; la norma prevede, infatti, un’ipotesi corresponsabilità solidale con la società, con la conseguenza che, in applicazione delle ordinarie disposizioni dettate in materia di solidarietà nelle obbligazioni, il creditore è libero di agire in giudizio contro qualunque debitore in solido.

Gli amministratori che non abbiano operato rispondono delle conseguenze dannose delle condotte di altri amministratori (che abbiano operato) qualora siano a conoscenza di necessari dati di fatto tali da sollecitare il loro intervento o abbiano omesso di attivarsi per procurarsi gli elementi necessari ad agire informati. 

Lart. 1304, co. 1, c.c. si riferisce unicamente alla transazione che abbia ad oggetto lintero debito e non la sola quota del debitore con il quale è stipulata, poiché è la comunanza delloggetto della transazione che comporta, in deroga al principio secondo cui il contratto produce effetti solo tra le parti, la possibilità per il condebitore solidale di avvalersene, pur non avendo partecipato alla sua stipulazione. Se, invece, la transazione tra il creditore ed uno dei condebitori solidali ha avuto ad oggetto esclusivamente la quota del condebitore che lha conclusa, occorre distinguere: qualora il condebitore che ha transatto abbia versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente allimporto pagato; ove il pagamento sia stato inferiore, il debito residuo degli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto. 

La consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perché volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito. Questi può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente); in tal caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche. In tema di risarcimento del danno, è possibile assegnare alla consulenza tecnica d’ufficio e alle correlate indagini peritali funzione percipiente quando essa verta su elementi già allegati dalla parte, ma che soltanto un tecnico sia in grado di accertare per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone.

Leggi tutto
Responsabilità degli amministratori da omesso versamento delle imposte e delle ritenute previdenziali e tributarie
Gli amministratori hanno l’obbligo di pagare i debiti tributari e previdenziali né potrebbero sostenere di non essere a conoscenza dell’esistenza...

Gli amministratori hanno l’obbligo di pagare i debiti tributari e previdenziali né potrebbero sostenere di non essere a conoscenza dell’esistenza degli stessi, i quali derivano dall’andamento della gestione alla quale attendono. Il rapporto di causalità tra il mancato pagamento e la maturazione, sulle somme dovute, di interessi, sanzioni ed oneri è in re ipsa. Del tutto irrilevante in relazione al mancato pagamento delle imposte è la circostanza che la società operi nei limiti di una gestione meramente conservativa ai sensi dell’art. 2486 c.c., in quanto i limiti di gestione non esonerano certo gli amministratori dal pagare i debiti sociali o, quantomeno, dal presentare agli enti finanziari e previdenziali competenti un piano di rientro onde evitare il lievitare della somma dovuta per l’applicazione di interessi, sanzioni e altri oneri.

L’eccezione di prescrizione è eccezione in senso proprio e stretto, ossia non rilevabile d’ufficio dal giudice, come stabilito dall’art. 2938 c.c. e deve, pertanto, essere proposta nella comparsa costitutiva, da depositare almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione, o almeno dieci giorni prima nel caso di abbreviazione dei termini, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 166 c.p.c.

Leggi tutto
Finanziamenti soci e onere della prova sui presupposti della postergazione
Nel giudizio instaurato da un socio di s.r.l. al fine di ottenere la restituzione di un finanziamento effettuato a favore...

Nel giudizio instaurato da un socio di s.r.l. al fine di ottenere la restituzione di un finanziamento effettuato a favore della società, grava in capo a quest'ultima l’onere della prova della necessaria postergazione del rimborso (e, cioè, della temporanea inesigibilità del credito del finanziamento-conferimento di fatto). Si tratta di eccezione propria in senso lato, rilevabile anche d’ufficio, ma a condizione che la situazione di crisi ex art. 2467 c.c. risulti provata ex actis secondo quanto dedotto e prodotto in giudizio e, cioè, sulla base dei fatti allegati (e comprovati) dall’eccipiente. E per radicare la fattispecie ex art. 2467, co. 2, c.c., si deve fare riferimento non solo all’eventuale squilibrio sussistente al momento del finanziamento, ma anche alla circostanza che esso perduri e sia presente al momento della richiesta di rimborso e, in caso di controversia giudiziaria, della sentenza.

Il rapporto tra sezione ordinaria e sezione specializzata in materia di imprese, nel caso in cui entrambe le sezioni facciano parte del medesimo ufficio giudiziario, non attiene alla competenza, ma rientra nella mera ripartizione degli affari interni dell’ufficio giudiziario.

Leggi tutto
Responsabilità degli amministratori ex art. 2395 c.c. e concorso del creditore
La fattispecie ex art. 2395 c.c. riguardante il diritto al risarcimento del danno spettante al terzo direttamente danneggiato da atti...

La fattispecie ex art. 2395 c.c. riguardante il diritto al risarcimento del danno spettante al terzo direttamente danneggiato da atti colposi o dolosi degli amministratori richiede: (i) la condotta degli amministratori posta in essere in violazione dei loro propri doveri, sia quelli inerenti la carica, sia quelli generali stabiliti dall’ordinamento a tutela dei diritti dei terzi, (ii) il pregiudizio patrimoniale subito dal terzo e (iii) il nesso di causalità materiale tra la condotta e il danno lamentato qualificato in termini di diretta efficacia causale della condotta.

In forza del principio della causalità efficiente, in tema di responsabilità extracontrattuale, quale è quella di cui all’art. 2395 c.c., l’evento dannoso può essere attribuito al fatto sopravvenuto solo se questo renda irrilevanti le cause preesistenti.

Esula dalla diligenza richiesta dall’art. 1227 c.c., che prevede la diminuzione del risarcimento se è intervenuto il fatto colposo del creditore, l’obbligo di iniziare un’azione giudiziaria. Al fine di escludere la risarcibilità dei danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, ex art. 1227, co. 2, c.c., vanno presi in considerazione soltanto i comportamenti tenuti dal creditore danneggiato posteriormente all’inadempimento del debitore danneggiante al verificarsi del danno, restando irrilevanti quelli tenuti anteriormente.

L’art. 1221 c.c., che prevede, al primo comma, la liberazione del debitore in mora se questi prova che l’oggetto della prestazione sarebbe ugualmente perito presso il creditore e, al secondo, che tale liberazione non ha luogo nel caso di sottrazione illecita del bene – nel qual caso il valore della cosa va sempre restituito –, esprime un principio generale.

In caso di transazione stipulata dal creditore solo con alcuni dei coobbligati, se la somma versata è inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiuto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota ideale di chi ha transatto.

Il direttore generale risponde ex art. 2396 c.c. secondo le norme che regolano la responsabilità degli amministratori in relazione alle incombenze a lui affidate.

Leggi tutto
Responsabilità degli amministratori per inadeguata vigilanza sull’operato dei dipendenti e sulla movimentazione di cassa
Gli amministratori di una società (che gestisce una sala da gioco) sono tenuti a vigilare adeguatamente sulle movimentazioni di cassa...

Gli amministratori di una società (che gestisce una sala da gioco) sono tenuti a vigilare adeguatamente sulle movimentazioni di cassa e ciò implica l’apprestamento di personale e di strumenti tecnologici idonei a gestire in modo adeguato l’ingente movimentazione di cassa generata dalle slot machines.

Sono responsabili del danno provocato gli amministratori che si accorgano con ritardo degli ammanchi provocati dai dipendenti della società, perché ove gli amministratori avessero adeguatamente vigilato sull’operato dei propri dipendenti, preservato le strumentazioni informatiche di controllo dall’accesso di soggetti non autorizzati e verificato puntualmente e costantemente gli andamenti di cassa, gli ammanchi non si sarebbero verificati o, al più, sarebbero stati di entità minima, in quanto scoperti e bloccati sul nascere.

Leggi tutto
Distribuzione di opera cinematografica e inadempimento per insuccesso dell’opera
L’accoglienza inadeguata del film nelle sale di prima proiezione integra un’ipotesi di impossibilità oggettiva dovuta ad un fattore esterno, indipendente...

L’accoglienza inadeguata del film nelle sale di prima proiezione integra un'ipotesi di impossibilità oggettiva dovuta ad un fattore esterno, indipendente dalla volontà del debitore - che aveva certamente interesse a che il film fosse distribuito il più ampiamente possibile, poiché anche da questo dipendevano i suoi guadagni -, perché determinata dal fallimento commerciale del film incidente negativamente sull’ottenimento di ulteriore distribuzione.

Il momento importante per il lancio di un film è quello iniziale, quando lo stesso viene proiettato per le prime volte nelle sale e il fallimento commerciale del film in questa fase rende poco significativa un’attività di promozione successiva di lunga durata, con i costi correlati, perché il prodotto rimane poco interessante e, nel tempo, si trova a concorrere in posizione di svantaggio con le nuove uscite.

La valutazione equitativa del danno ne riguarda la quantificazione, ed è possibile solo se l’esistenza di un danno in nesso causale con l’inadempimento risulti provata.

Leggi tutto
logo