Ricerca Sentenze
Amministratore di fatto di società di capitali
E’ amministratore di fatto in una società di capitali colui che esercita sotto il profilo sostanziale nell’ambito sociale un’influenza, completa...

E' amministratore di fatto in una società di capitali colui che esercita sotto il profilo sostanziale nell’ambito sociale un’influenza, completa e sistematica, che trascende la titolarità delle funzioni, con poteri analoghi se non addirittura superiori a quelli spettanti agli amministratori di diritto [nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto insufficienti, quali elementi identificativi di un amministratore di fatto, l'autorizzazione di ferie e permessi dei dipendenti e la circostanza che alcuni clienti ritenessero tale soggetto amministratore della società].

Leggi tutto
Concorrenza sleale e modelli non registrati per capi di abbigliamento
In caso di vendita di capi di abbigliamento, di cui si contesta la contraffazione e/o la commissione di atti di...

In caso di vendita di capi di abbigliamento, di cui si contesta la contraffazione e/o la commissione di atti di concorrenza sleale, la competenza territoriale può essere individuata ai sensi dell'art. 120, co. 6, c.p.i. nel luogo in cui i fatti sono stati commessi, ovvero nel luogo in cui i capi contestati sono stati messi in vendita al pubblico.

Si ha appropriazione di pregi ogni qualvolta un imprenditore, in forme pubblicitarie o equivalenti, attribuisca ai propri prodotti o alla propria impresa pregi da questa non posseduti, ma mutuati da un altro concorrente.

La concorrenza sleale parassitaria consiste in un continuo e sistematico operare - in un contesto temporale prossimo all’ideazione dell’opera, e prima che questo diventi patrimonio comune a tutti gli operatori del settore - sulle orme dell’imprenditore concorrente attraverso l’imitazione non tanto dei prodotti, ma piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali di quest’ultimo e riguardanti comportamenti idonei a danneggiare l’altrui azienda con ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale.

L'imprenditore che intende invocare, oltre alle norme sulla concorrenza sleale, anche la speciale tutela del Regolamento CE n. 6/2002, facendo valere il proprio prodotto quale modello o disegno comunitario senza averlo registrato, non può limitarsi a qualificarlo come tale, ma deve indicarne, seppure sinteticamente, il carattere individuale e gli elementi creativi che valgono a differenziarlo in modo significativo degli altri modelli o disegni divulgati al pubblico in ambito comunitario.

Leggi tutto
Diritti autorali del fotografo e fotografie pubblicate sui social networks
L’interesse pubblico alla pubblicazione su testate giornalistiche limita i diritti esclusivi dell’autore della fotografia, che non può opporsi alla sua...

L’interesse pubblico alla pubblicazione su testate giornalistiche limita i diritti esclusivi dell’autore della fotografia, che non può opporsi alla sua riproduzione e diffusione, ma ha diritto ad un equo compenso; conseguentemente, la testata giornalistica che intenda pubblicare una fotografia ritraente un personaggio di attualità deve chiedere preventiva autorizzazione al suo autore, ove noto.

Non giova la presunzione di titolarità dei diritti autorali connessi alla pubblicazione del contenuto digitale in capo al titolare del profilo social, se la pubblicazione è avvenuta ab origine sul profilo FB di terzi e non dell’autore della fotografia.

La mala fede non è equiparabile a negligenza e denota un atteggiamento psicologico intenzionalmente malevolo. Pertanto, non può dirsi avvenuto in mala fede il download di fotografia apparsa su profilo FB di soggetti terzi senza digital watermarks, se non dimostrando che all’epoca della pubblicazione il riproduttore già conosceva che altri era l’autore della fotografia, con onere della prova a carico di quest’ultimo.

Non può avere rilievo, ai fini della prova della mala fede del riproduttore ai sensi dell’art. 90 cit., che la parte, scaricando il contenuto IP apparso su profilo social di terzi, non abbia richiesto previamente l’autorizzazione del titolare del profilo; né l’eventuale accettazione del rischio di ledere i diritti di terzi (in ipotesi il titolare del profilo FB) equivale a male fede nei confronti dell’autore della fotografia.

Nulla provano sulla malafede del riproduttore gli eventuali accordi che la parte abbia successivamente raggiunto con le altre testate giornalistiche che, parimenti, pubblicarono la fotografia senza il suo consenso.

Leggi tutto
Utilizzo di marchio altrui su pezzi di ricambio e art. 241 cpi
L’attività del ricambista produttore indipendente che sul prodotto apponga il marchio della casa produttrice non può ritenersi lecita e scriminata...

L’attività del ricambista produttore indipendente che sul prodotto apponga il marchio della casa produttrice non può ritenersi lecita e scriminata ai sensi dell'art. 241 CPI, atteso che tale norma, pur avendo una finalità di liberalizzazione del mercato dei componenti del prodotto complesso, lascia impregiudicata la tutela dei marchi della casa di produzione del prodotto complesso.

L'uso del marchio da parte di un terzo che non ne è il titolare è necessario per indicare la destinazione di un prodotto messo in commercio da tale terzo quando tale uso costituisce in pratica il solo mezzo per fornire al pubblico un’informazione comprensibile e completa su tale destinazione al fine di preservare il sistema di concorrenza non falsato sul mercato di tale prodotto. L’uso del marchio non è legittimo quando: a) avviene in modo tale da poter dare l'impressione che esista un legame commerciale fra il terzo e il titolare del marchio, b) compromette il valore del marchio traendo indebitamente vantaggio dal suo carattere distintivo o dalla sua notorietà, c) causa denigrazione o discredito al marchio, d) il terzo presenta il suo prodotto come imitazione o contraffazione del prodotto recante il marchio di cui non è il titolare.

[nel caso di specie la Corte ritiene che l’apposizione del marchio sul copricerchio di un'autovettura non si giustifica ex art. 21 CPI perché allo scopo indicativo della destinazione un uso siffatto del marchio è perfettamente sostituibile con l’apposizione di idonea indicazione sulla confezione laddove invece il permanere del marchio sul prodotto dopo il montaggio sull’automobile, cioè dopo il raggiungimento della destinazione del prodotto, è di per sé dimostrativo della finalità altra del siffatto uso, in agganciamento alla notorietà del marchio con indebito vantaggio del terzo utilizzatore].

Leggi tutto
Ex dipendenti e informazioni riservate: tutela ex artt. 98-99 C.p.i. e art. 2598 c.c.
In tema di misure di segretezza (ai sensi dell’art. 98, co. 1, lett. c, c.p.i.) le modalità di accesso a...

In tema di misure di segretezza (ai sensi dell’art. 98, co. 1, lett. c, c.p.i.) le modalità di accesso a sistemi informativi con user id e password sono del tutto ordinarie e non denotano quel quid pluris di segretezza proprio dei segreti industriali ex artt. 98-99 c.p.i.

Le informazioni aziendali di carattere commerciale e tecnico, pur non qualificate in termini di segretezza ex artt. 98-99 c.p.i., possono costituire patrimonio aziendale riservato (know how), la cui diffusione/utilizzazione senza il consenso del titolare può integrare, nella ricorrenza degli altri presupposti della fattispecie illecita, concorrenza sleale, ai sensi dell’articolo 2598, n. 3, c.c.

Lo storno di personale non è di per sé illecito, essendo imprescindibile che lo stesso sia caratterizzato da connotazione ulteriore, quale è l’intento di recare pregiudizio all’organizzazione e alla struttura produttiva del concorrente, disgregandone l’efficienza aziendale e procurandosi un vantaggio competitivo indebito.

La concorrenza parassitaria consiste nell’imitazione sistematica (e protratta nel tempo) dell’attività imprenditoriale del concorrente, laddove ciò che distingue tale fattispecie di modalità scorretta di concorrenza (ex art. 2598, n. 3, c.c.) rispetto ai casi tipici di cui ai nn. 1 e 2 dell’art. 2598 c.c., è il continuo e sistematico operare sulle orme dell’imprenditore concorrente, attraverso l’imitazione non tanto dei prodotti, ma piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali in un contesto temporale prossimo, così da rivelare l’intento di avvantaggiarsi sul mercato, sfruttando il lavoro e gli sforzi altrui.

Leggi tutto
Concorrenza sleale: dies a quo del termine di prescrizione e relativo danno.
In tema di comportamento anticoncorrenziale, la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere...

In tema di comportamento anticoncorrenziale, la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.), decorrendo dal giorno in cui il fatto si è verificato, tuttavia inteso non con riferimento al momento in cui il fatto produce il danno, bensì con riguardo al momento in cui il danno ingiusto si manifesta all’esterno, divenendo percepibile dal danneggiato, mediante l’ordinaria diligenza. In altri termini, il termine prescrizionale decorre dal momento in cui il danneggiato ha avuto reale (e concreta) percezione dell’esistenza (ed entità) del danno, nonché della sua addebitabilità a un determinato soggetto.

In tema di illecito anticoncorrenziale, per agire in giudizio contro il concorrente sleale non è sufficiente dimostrare che questi si arricchisce violando le regole della correttezza professionale, occorrendo invece che l’attore alleghi che la condotta del convenuto risulti essere potenzialmente dannosa per la propria azienda; d’altronde, in materia di concorrenza sleale, il danno non è in re ipsa e, come tale, la sua sussistenza deve essere oggetto di specifica allegazione e prova, così come la sua liquidazione deve essere compiuta dal Giudice sulla base non di valutazioni astratte, ma del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questi dedotto e provato.

Leggi tutto
Evocazione illecita di DOP: il caso ‘Parmigiano Reggiano’
L’acronimo “DOP” sta per denominazione di origine protetta e consiste nel nome di un prodotto che ne indica l’origine o...

L’acronimo “DOP” sta per denominazione di origine protetta e consiste nel nome di un prodotto che ne indica l’origine o provenienza da un certo luogo o territorio, tale che la denominazione diviene garanzia di qualità del prodotto per la rispondenza a un disciplinare di produzione legato al territorio.

Il legislatore nazionale (art. 30 C.p.i.) ed europeo (art. 13 Regolamento UE 1151/2012) delineano un illecito evocativo della DOP, non solo riferito alla denominazione del prodotto, ma anche a qualsiasi altro mezzo o pratica atti a indurre in errore il consumatore sull’origine del prodotto o sulle qualità dello stesso legate alla sua provenienza, talché l’illecito ben può consistere, non solo nell’incorporazione della DOP o nell’affinità fonetica e visiva tra le due denominazioni, ma pure nella “vicinanza concettuale” tra la DOP e la denominazione di cui trattasi, o anche nella somiglianza tra i prodotti protetti dalla DOP e i prodotti (o servizi) contrassegnati dalla denominazione in sua violazione.

L’illecito evocativo della DOP, come fattispecie imitativa del prodotto protetto, non può consistere tout court nel fatto che viene imitato il prodotto protetto dalla DOP, ma richiede che l’imitazione afferisca alle caratteristiche esteriori identificative della DOP medesima.

Leggi tutto
Violazione del principio di chiarezza e nullità della delibera di approvazione del bilancio
Il principio di chiarezza è uno dei principi cardine del sistema bilancistico e la sua violazione comporta la nullità della...

Il principio di chiarezza è uno dei principi cardine del sistema bilancistico e la sua violazione comporta la nullità della delibera di approvazione del bilancio. Nella materia societaria vi è un'inversione fra tipicità e atipicità di nullità e annullabilità, nel senso che la prima è limitata ad alcune ipotesi specifiche, mentre la seconda costituisce l’istituto generale. Va tuttavia rilevato come la violazione di alcuni principi generali, fra i quali la chiarezza del bilancio, integra una ipotesi di nullità.

Il bilancio deve essere chiaro al momento in cui è redatto ed approvato; il bilancio deve essere chiaro a tutti i consociati, in ragione della funzione generale dello stesso. Non è possibile una etero-integrazione del bilancio ex post, in sede processuale, e non, dunque, in nota integrativa.

Leggi tutto
La natura autonoma dell’azione di responsabilità per danno diretto
L’azione di responsabilità c.d. residuale di cui agli artt. 2395 e 2476, co. 7, c.c. riveste natura autonoma, anche qualora...

L'azione di responsabilità c.d. residuale di cui agli artt. 2395 e 2476, co. 7, c.c. riveste natura autonoma, anche qualora il danno diretto subito dal terzo dipenda da un inadempimento della società. Occorre peraltro che tale autonomia non finisca per duplicare domande proposte altrove. In tal caso, infatti, si perverrebbe ad una indebita locupletazione della posizione dell’attore che agisce in giudizio per ottenere il risarcimento del danno subito. Nello specifico, proprio per tale autonomia e al contempo interferenza con l’azione contrattuale, il soggetto danneggiato per il mancato pagamento della retribuzione per l'attività prestata a favore della società non può richiedere le medesime somme sia alla società a titolo contrattuale sia agli amministratori in virtù del danno diretto subito.

Leggi tutto
Il carattere residuale dell’azione di responsabilità ex art. 2395 c.c.
L’azione di responsabilità di cui agli artt. 2395 c.c. e 2476, comma 7, c.c. è un’azione c.d. residuale, il cui...

L’azione di responsabilità di cui agli artt. 2395 c.c. e 2476, comma 7, c.c. è un’azione c.d. residuale, il cui onere della prova è posto in capo al danneggiato e che viene usualmente inquadrata nella responsabilità extracontrattuale. Gli altri tipi di responsabilità – la azione sociale e l’azione dei creditori – hanno invece altri presupposti. L’azione dei creditori mira al pagamento dell’equivalente del credito insoddisfatto a causa della insufficienza del patrimonio. Sia la azione sociale sia quella dei creditori provocano un danno all’attore solo in via indiretta, come perdita anche del patrimonio (nel caso della azione sociale per la perdita di valore della partecipazione; nel caso di azione dei creditori, in via indiretta poiché, diminuito il valore del patrimonio sociale, il creditore perde la propria garanzia patrimoniale). La azione c.d. residuale di cui agli artt. 2476, comma 7, c.c. e 2395 c.c., invece, provoca un danno diretto al terzo.

Leggi tutto
Omesso controllo nella pubblicazione di una fotografia senza il consenso e l’autorizzazione dell’autore: responsabile anche l’editore
In base ai principi generali in tema di responsabilità per fatto illecito, non può escludersi la responsabilità dell’editore, quantomeno a...

In base ai principi generali in tema di responsabilità per fatto illecito, non può escludersi la responsabilità dell'editore, quantomeno a titolo di concorso nel fatto illecito del giornale ex art. 2043/2055 c.c. per omesso controllo, trattandosi di pubblicazione di un contenuto (la fotografia) che se non appartiene al giornalista o alla testata giornalistica è certamente riconducibile ad un autore, essendo altresì notorio che la fotografia (opera o fotografia semplice) è tutelata dalla legge autorale; in altri termini, è dato affermare che nella pubblicazione di una fotografia senza il consenso e l’autorizzazione del suo autore ricorre la responsabilità per fatto illecito ex art. 2043 e 2055 c.c. di tutti i soggetti che hanno partecipato alla pubblicazione, compreso l’editore, senza l’intervento del quale non sarebbe stata possibile la pubblicazione, cioè a dire che grava su tutti i soggetti la cui attività è necessaria per la pubblicazione del contenuto editoriale verificare, con la diligenza proprio del tipo di pubblicazione, di non ledere diritti di terzi; nel caso della pubblicazione di una fotografia che non appartenga al giornale o al giornalista, vieppiù se reperita su internet, tale soglia di diligenza impone di riscontrare la paternità della fotografia e di richiedere il consenso alla pubblicazione al suo autore

Leggi tutto
Distinzione tra invenzioni di servizio e invenzioni di azienda
In tema di invenzione del dipendente, l’elemento distintivo tra l’invenzione di servizio e l’invenzione di azienda – nella vigenza del...

In tema di invenzione del dipendente, l'elemento distintivo tra l'invenzione di servizio e l'invenzione di azienda – nella vigenza del r.d. n. 1127 del 1939 "ratione temporis" applicabile – risiede nel fatto che, pur presupponendo entrambe la realizzazione di un'invenzione industriale nell'adempimento di un contratto di lavoro, nel primo caso l'attività inventiva è prevista come oggetto del contratto, essendo prevista, attraverso un'esplicita previsione contrattuale, una speciale retribuzione costituente il suo corrispettivo, mentre nel caso dell'invenzione di azienda la prestazione del lavoratore non ha ad oggetto il conseguimento di un risultato inventivo, che alla prima è piuttosto collegata come frutto non dovuto, né previsto; conseguentemente, laddove l'invenzione sia oggetto della prestazione lavorativa, il risultato inventivo potrà esservi o meno, ma nel caso in cui si verifichi, la retribuzione stabilita vale già a compensarlo, mentre nel secondo caso, in quanto non è prevedibile che le ordinarie mansioni possano condurre ad un risultato inventivo, è dovuto il riconoscimento di un compenso ulteriore, costituito dall'equo premio.

Pertanto, il discrimen tra invenzioni di servizio e invenzioni di azienda viene individuato sia nella previsione o meno dell’attività inventiva, quale oggetto del contratto di lavoro, sia di un compenso per lo svolgimento della stessa, giacché solo laddove ci si trovi al cospetto di un’invenzione di azienda grava sul datore di lavoro l’obbligo di corrispondere un equo premio per l’eventuale attività inventiva realizzata dal lavoratore.

[Il Tribunale ha riconosciuto la teorica applicabilità dell'art. 64, II comma, c.p.i. - e quindi anche la teorica titolarità in capo all'attore del diritto all’equo premio per la sua attività inventiva - ma ha negato la sua concreta applicazione al caso di specie a causa di un verbale di conciliazione sottoscritto tra le parti in sede sindacale concluso con lo specifico scopo di prevenire eventuali e future controversie, inclusa quella sottoposta all'esame del Tribunale.]

Leggi tutto
logo