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Diritto di informazione ed esercizio del potere di controllo analogo del socio Ente Locale
Il potere di controllo analogo sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative [esercitabile dagli Enti Locali ex art. 2 D.lgs....

Il potere di controllo analogo sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative [esercitabile dagli Enti Locali ex art. 2 D.lgs. 175/2016 (cd Legge Madia)] sussiste se e nella misura in cui è riconosciuto e conformato dalla legge, da statuti o da patti parasociali, con le modalità previste da queste stesse fonti normative. Il diritto di accesso ai documenti è da mettere in relazione diretta non all'esercizio del controllo analogo, bensì al distinto diritto di informazione, il quale è sì riconosciuto in funzione del controllo analogo, ma ha un ambito più esteso. Infatti, da un punto di vista logico, l'informazione deve consentire anche di discernere quali atti attengono a scelte strategiche o a decisioni significative e quali atti non hanno attinenza a esse, il che implica la conoscenza degli uni e degli altri.

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Sequestro conservativo contro gli ex amministratori di società fallita
La ricorrenza del presupposto del periculum in mora può essere desunta, alternativamente, sia da elementi oggettivi, concernenti la capacità patrimoniale...

La ricorrenza del presupposto del periculum in mora può essere desunta, alternativamente, sia da elementi oggettivi, concernenti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all'entità del credito, sia da elementi soggettivi, rappresentati dal comportamento del debitore, il quale lasci fondatamente presumere come probabili il compimento, al fine di sottrarsi all'adempimento, di atti dispositivi idonei a provocare l'eventuale depauperamento del suo patrimonio – ove per “depauperamento” deve intendersi tanto una deminutio patrimonii, quanto una modifica della consistenza del complesso patrimoniale facente capo al debitore sotto il profilo qualitativo – e la conseguente prevedibile infruttuosità dell’eventuale esecuzione ai suoi danni.

La mera entità del patrimonio, nel suo aspetto statico, è di per sé indicativa solo della estensione della garanzia generale, non del rischio di “perderla”: proprio la locuzione utilizzata dall’art. 671 c.p.c. sottolinea piuttosto l’aspetto dinamico costituito dalla concreta probabilità di una sua imminente diminuzione, volendo la norma evitare che essa si riduca. Nessuna norma può assicurare la capacità economica del debitore di adempiere alle sue obbligazioni, mentre è possibile evitare (ed è ciò a cui il sequestro conservativo mira) che la misura entro cui l’adempimento è concretamente possibile si assottigli ulteriormente. Il periculum di cui parla l’art. 671 c.p.c., dunque, non è che il debitore non sia in grado di pagare: è che la sua capacità di farlo – quella che egli ha – diminuisca, per atti volontari di dispersione (periculum soggettivo) oppure per caso fortuito o forza maggiore, o per atti o fatti di terzi, indipendenti dalla volontà del debitore (periculum oggettivo: ravvisabile, per esempio, laddove il patrimonio dello stesso debitore risulti già aggredito da altri creditori, o in procinto di esserlo). In aggiunta, una diversa interpretazione della norma, fondata esclusivamente sulla entità del patrimonio del debitore in relazione al suo debito, si tradurrebbe necessariamente nella sistematica adozione della misura conservativa nei confronti dei soggetti meno abbienti, con salvezza di tutti coloro con grandi disponibilità economiche: criterio non conforme né alla singola norma, né ai principi del nostro ordinamento.

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Azione di responsabilità verso amministratori di società immobiliare
L’azione di responsabilità promossa contro amministratori ha ad oggetto i fatti di mala gestio addebitabili a questi ultimi che abbiano...

L'azione di responsabilità promossa contro amministratori ha ad oggetto i fatti di mala gestio addebitabili a questi ultimi che abbiano causato un danno alla società.

Nello specifico caso di amministratori di società immobiliare il danno alla società - fonte di responsabilità - può derivare:

a) dalla drastica ed immotivata decisione di riduzione di canoni di locazione su contratti di locazione già stipulati dalla società per immobili in titolarità di quest'ultima;

b) dal pagamento di spese non inerenti la società, soprattutto qualora tale pagamento sia a beneficio di altri soggetti riconducibili agli amministratori e, pertanto, effettuato in situazione di conflitto di interessi;

c) dalla mancata azione per richiedere a conduttori di immobili della società - relativamente a contratti di locazione cessati ma con immobili ancora in disponibilità dei conduttori - la corresponsione delle indennità di occupazione maturate, così come per la mancata applicazione dell'adeguamento ISTAT sui canoni precedentemente riscossi, se contrattualmente previsto;

d) dalla mancata messa a reddito di immobili della società, laddove sia provato che gli amministratori sono responsabili per ingiustificata inerzia protratta nel tempo.

Un interesse potenzialmente in conflitto di interesse non è soltanto, nè necessariamente, quello personale dell'amministratore, potendo esserlo anche con riferimento ad un terzo con il quale l'amministratore abbia particolari rapporti.

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Competenza del Tribunale delle Imprese: criteri di collegamento territoriale e funzionale
Per quanto concerne il criterio strettamente territoriale, in punto di riparto della competenza ratione loci tra le varie Sezioni Specializzate,...

Per quanto concerne il criterio strettamente territoriale, in punto di riparto della competenza ratione loci tra le varie Sezioni Specializzate, soccorre il criterio generale di cui all’art. 4 D. Lgs. n. 168/03, a tenore del quale la competenza del singolo Tribunale per le Imprese ricomprende tutte le cause che, in base agli ordinari criteri di collegamento disciplinati dal codice di rito e dalle eventuali leggi speciali, rientrerebbero nel territorio della regione di appartenenza della Sezione Specializzata (o nel territorio del distretto di Corte d’Appello, nelle ipotesi di Sezioni Specializzate ubicate in Tribunali non aventi sede in capoluoghi di regione): di qui la necessità di individuare il foro nella specie competente in relazione a tutti i possibili concorrenti criteri rilevanti in base alle norme che regolano i rapporti tra Tribunali Ordinari in relazione alla domanda proposta nell’atto introduttivo. Successivamente occorrerà verificare l’appartenenza della causa al novero delle materie relative ai rapporti societari di cui all’art. 3 D.Lgs. n. 168/2003 o l’eventuale connessione della medesima a una causa appartenente a tale elencazione, operando sulla scorta della qualificazione delle domande attoree come effettuabile alla luce delle prospettazioni contenute nell’atto introduttivo: unicamente al ricorrere di una di tali ipotesi si avrà la traslazione della competenza avanti al Tribunale delle imprese, mentre in caso contrario la competenza a conoscere della causa dovrà rimanere radicata avanti al giudice dotato di competenza territoriale e funzionale in base alle norme di legge previste per i giudizi appartenenti ai Tribunali Ordinari.

In particolare, con riferimento alle controversie relative alle partecipazioni sociali o ai "diritti inerenti" occorre la necessaria ricorrenza di un legame diretto dell’oggetto della controversia con i rapporti societari e le partecipazioni sociali, riscontrabile alla stregua del criterio generale del c.d. petitum sostanziale, identificabile in funzione soprattutto della causa petendi, per l’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio: occorre che l’oggetto della pretesa attorea sia direttamente costituito dalla partecipazione societaria, oppure che l’accertamento giudiziale attivato con l’esercizio dell’azione implichi conseguenze sulla titolarità di quote o su diritti connessi, alterando la situazione proprietaria, o comunque impingendo l’assetto della società, così coinvolta nella vertenza. In altri termini, la controversia deve attenere in via diretta e immediata a situazioni rilevanti sulla vita sociale, vale a dire a vicende di governo interno, ossia inerenti alla persona del singolo socio nei suoi rapporti con la società, con gli organi societari e con gli altri soci; tale inerenza non può ritenersi verificata se la vicenda societaria rileva unicamente in via incidentale ed indiretta come nel caso di una azione di un terzo finalizzata ad accertare l’avvenuta ripartizione di attivo patrimoniale residuo tra gli ex soci di una società posta in liquidazione e poi cancellata ed estinta. E’ evidente che tale giudizio ha per oggetto il mero fatto storico dell’avvenuto riparto di residuo attivo tra i soci all’esito della liquidazione e non è finalizzato alla verifica in sé di un rapporto sociale o di una partecipazione sociale, bensì soltanto all’accertamento di un diritto di un creditore, terzo rispetto alla società, a procedere a esecuzione forzata rispetto agli ex soci della stessa; non mira ad incidere direttamente su un rapporto societario o un diritto inerente a una partecipazione sociale, vertendo soltanto sull’an dell’avvenuta ripartizione di attivo residuo a seguito dell’approvazione del bilancio di liquidazione; né consiste nel dirimere una quaestio facti controversa consistente nell’avvenuta estinzione di un rapporto societario.

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Sul disavanzo da fusione
La fusione per incorporazione tra due società comporta che i valori attivi e passivi della incorporata vanno a ricomporsi, insieme...

La fusione per incorporazione tra due società comporta che i valori attivi e passivi della incorporata vanno a ricomporsi, insieme a quelli della incorporante, nel bilancio della società risultante dalla fusione; alcuni valori, però, non possono confluire nei bilanci di quest’ultima ma devono essere annullati: così è, per esempio, per i reciproci debiti e crediti delle partecipanti alla fusione e per le partecipazioni di una nell’altra. Se il valore della partecipazione annullata supera quello della porzione del patrimonio netto apportata dall’incorporata si ha un disavanzo di fusione.

A norma dell’art. 2504-bis c.c. il disavanzo di fusione deve essere imputato, ove possibile, agli elementi dell’attivo e del passivo delle società partecipanti alla fusione e, per  la differenza ad avviamento, alla stregua di un costo sostenuto per l’operazione. Il principio contabile nazionale OIC 4 spiega però che un valore non imputabile a uno specifico elemento è da considerare avviamento solo ove possibile, dovendo altrimenti essere eliminato dall’attivo e detratto dalla riserva di consolidamento, se esistente, o, se non esistente la riserva, inserito nel conto economico come costo. Detto disavanzo, se è registrato all’attivo e non come perdita, dev’essere ammortizzato secondo la disciplina dettata dall’art. 2426 c.c. (richiamato dall’art. 2504-bis) e dal principio OIC 24. In tal senso, l’art. 2426 c.c., nella versione vigente nel 2010, imponeva un ammortamento massimo quinquennale, consentendo un periodo limitato di durata superiore di cui doveva essere data adeguata motivazione nella nota integrativa; dopo la modifica apportata a partire dal 2016, l’ammortamento dev’essere effettuato secondo la vita utile del bene e, se questa non è determinabile, entro un massimo di dieci anni. Anche l’OIC 24, ante d.Lgs 139/2015, fissava il periodo massimo di ammortamento in cinque anni, salve specifiche ragioni da evidenziare nella nota integrativa, mentre, a seguito della riforma, ribadisce la durata commisurata alla vita utile (ma mai superiore ai venti anni) o, se questa non determinabile, al decennio. In pratica, un ammortamento superiore al quinquennio può essere adottato a condizione che ne siano spiegate le ragioni.

Il disavanzo residuo di una operazione di fusione può essere imputato alternativamente o a specifici beni dell’attivo oppure ad avviamento, se espressivo di un plusvalore, altrimenti imputato a perdita; in tal senso, l’imputazione ad avviamento postula comunque che il disavanzo residuo rappresenti un plusvalore acquisito: l’OIC 4 spiega (punto 4.4.3.1) che la differenza residua del disavanzo di annullamento non può essere considerata sic et simpliciter avviamento: è necessario valutare se l’avviamento effettivamente esista e deve comunque essere legato alla operazione stessa e non ad altre future ed incerte o conseguenti alla fusione.

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Controversie relative a società di persone: esclusa la giurisdizione del Tribunale delle Imprese
Le controversie aventi ad oggetto atti negoziali compiuti da una società in accomandita semplice (Sas), anche se poi trasformata in...

Le controversie aventi ad oggetto atti negoziali compiuti da una società in accomandita semplice (Sas), anche se poi trasformata in Srl, non rientrano nella competenza delle Sezioni Specializzate in materia di impresa. La competenza si determina, infatti, in base al petitum sostanziale e alla causa petendi riferiti alla forma giuridica esistente all’epoca dei fatti, rimanendo irrilevante, ai fini del riparto di competenza ratione materiae, la successiva trasformazione in società di capitali.

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Ammissibilità della domanda cautelare di revoca dell’amministratore
In pendenza di giudizio arbitrale in tema di responsabilità di amministratori di srl, l’ulteriore domanda cautelare di revoca degli amministratori...

In pendenza di giudizio arbitrale in tema di responsabilità di amministratori di srl, l'ulteriore domanda cautelare di revoca degli amministratori - qualora l'arbitro dichiari la sua incompetenza e tale provvedimento non sia reclamato - è di competenza del tribunale, sezione specializzata in materia di impresa.

La revoca cautelare degli amministratori trova la sua ragion d'essere in presenza di condotte gravi e pregiudizievoli per la società, tali da far ritenere che quest'ultima possa subire danni non rimediabili in attesa della sentenza di merito relativa all'accertamento sulla responsabilità degli amministratori.

Ai fini dell'accoglimento della domanda cautelare di revoca il danno non può configurarsi come manifestamente inidoneo a provocare un pregiudizio apprezzabile per la società; inoltre, ad un singolo atto di mala gestio, la cui gravità non sia apprezzabile in sede cautelare, consegue il rigetto del ricorso.

 

 

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Contrattualizzazione della responsabilità precontrattuale
Se e nella misura in cui la pattuizione finalizzata a ulteriori accordi preliminari non si possa già identificare in un...

Se e nella misura in cui la pattuizione finalizzata a ulteriori accordi preliminari non si possa già identificare in un contratto preliminare vero e proprio contenente tutti gli elementi essenziali della futura pattuizione, ciò non implichi necessariamente la ricorrenza di una mera puntuazione non giuridicamente rilevante, ben potendo, invece, le parti avere inteso già vincolarsi su alcuni profili su cui l’accordo è già stato irrevocabilmente raggiunto, ferma la necessità di concordare, secondo buona fede, ulteriori punti essenziali della realizzanda vicenda negoziale traslativa; ove ciò accada (come affermato in tema di c.d. “preliminare di preliminare”), la violazione di queste intese, perpetrata in una fase successiva rimettendo in discussione questi obblighi in itinere che erano già determinati, dà luogo a responsabilità contrattuale da inadempimento di un'obbligazione specifica sorta nel corso della formazione del contratto, riconducibile alla terza delle categorie considerate nell'art. 1173 c.c., cioè alle obbligazioni derivanti da ogni fatto o atto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico, ben potendosi ritenere quale vincolo obbligatorio valido ed efficace, sempreché rispondente a un interesse meritevole di tutela tra le parti, quello idoneo soltanto a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dell’affare finale: ciò in quanto, a ben vedere, con la propria pattuizione, le parti hanno inteso concordemente pervenire a una contrattualizzazione dell’obbligo di cui all’art. 1337 c.c. di condurre le trattative precontrattuali secondo buona fede, così sanzionando la relativa violazione, già di per sé disciplinata dall’ordinamento alla luce della figura della responsabilità precontrattuale, mediante le regole (maggiormente tutelanti per il danneggiato in punto di riparto dell’onere della prova) della responsabilità contrattuale

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Ordinanza di incompetenza e decorrenza della prescrizione dell’azione di responsabilità
In caso di ordinanza di incompetenza emessa dal tribunale – che ha natura definitoria del giudizio – dal momento in...

In caso di ordinanza di incompetenza emessa dal tribunale - che ha natura definitoria del giudizio - dal momento in cui tale provvedimento non sia più impugnabile (ovvero non sia stata eseguita, nei termini, la riassunzione del procedimento avanti al giudice competente), riprendono a decorrere i termini di prescrizione dell'azione di responsabilità verso gli organi amministrativi e di controllo.

Qualora il tribunale adito abbia dichiarato la propria incompetenza, ha perso il potere di conoscere e giudicare la lite; fanno eccezione soltanto casi eccezionali riconducibili al concetto di abnormità o inesistenza giuridica, non estendendosi però tali casi ad ipotesi in cui si riscontrino vizi attinenti al contenuto dell'ordinanza: quest'ultima, pertanto, sarà impugnabile secondo le azioni consentite dalla legge.

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Reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione
La disposizione contenuta nell’art. 2492 CC, secondo cui il reclamo va proposto “in contraddittorio dei liquidatori” non può significare esclusione...

La disposizione contenuta nell’art. 2492 CC, secondo cui il reclamo va proposto “in contraddittorio dei liquidatori” non può significare esclusione della legittimazione passiva della società: consistendo detto strumento processuale nella impugnazione di un atto della società, non può che essere indirizzato contro la stessa, che è l’unico soggetto a cui è riferibile e nella cui sfera giuridica la relativa sentenza è destinata a produrre direttamente effetto, determinando il perfezionamento della procedura liquidatoria (se di rigetto) o la sua prosecuzione (se di accoglimento). Tanto questo è vero, che il reclamo dev’essere annotato al R.I, adempimento che non avrebbe molto senso se il procedimento coinvolgesse esclusivamente le persone fisiche dei soci e dei liquidatori.

La norma, pertanto, dev’essere letta – se non come impositiva di una mera denuntiatio litis - nel senso della necessaria partecipazione dei liquidatori alla causa, dalla quale potrebbero scaturire elementi per una loro responsabilità individuale, per consentire loro di spiegare le decisioni assunte. Secondo questa ultima interpretazione, la legge impone un litisconsorzio necessario processuale tra liquidatori e società; ma, allora, laddove una causa sia introdotta contro un litisconsorte necessario con pretermissione di un altro, la violazione dei diritti di quest’ultimo può sempre essere sanata, non potendosi però sostenere che, fino a quando la sanatoria non avviene, la causa non sia neppure pendente. L’azione giudiziaria spiega un effetto immediato al momento della sua proposizione, che, nel caso di specie, è quello di evitare la decadenza del potere di impugnare il Bilancio e la sua conseguente irrevocabilità, e che si verifica anche in quei casi in cui l’introduzione della causa sia viziata dalla omessa citazione di una parte necessaria; in tali ipotesi, il vizio del procedimento, se non sanato, si può tradurre nella inidoneità del suo atto conclusivo a realizzare i suoi effetti tipici (talché, seguendo l’ipotesi, una sentenza che accogliesse il reclamo potrebbe essere considerata inutiliter data); non, invece, nella inammissibilità originaria del reclamo per decadenza.

La proposizione del reclamo contro il bilancio finale di liquidazione ha poi l'effetto di impedire la sua definitività e, di conseguenza, l'acquisto del diritto da parte dei soci del diritto individuale alla ripartizione dell’attivo.

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Qualificazione dell’apporto di denaro come finanziamento soci e indici di valutazione dello squilibrio patrimoniale
L’assenza di una delibera di aumento del capitale sociale, la contabilizzazione dell’apporto di denaro come debito e non come riserva...

L'assenza di una delibera di aumento del capitale sociale, la contabilizzazione dell'apporto di denaro come debito e non come riserva di capitale e il mancato utilizzo della liquidità apportata al fine di coprire perdite sono elementi idonei a configurare i versamenti realizzati dai soci come finanziamenti, fonte di un debito restitutorio, e non come conferimento di capitale non rimborsabile se non al termine della liquidazione.

Se al momento in cui i finanziamenti dei soci vengono erogati a favore della società la stessa presentava uno squilibrio patrimoniale – condizione diversa e meno grave dello stato di crisi - il rimborso di tali finanziamenti deve essere postergato ex art. 2467 c.c.

Al fine di constatare la sussistenza di uno squilibrio patrimoniale rilevante ex art. 2467 c.c. è ragionevole procedere con il raffronto tra valore della società e suo indebitamento (indice generalmente utilizzato per valutare se essa sia in condizione di equilibrio o squilibrio patrimoniale), procedendo altresì all’esame degli indici spesso utilizzati dagli istituti bancari per decidere se concedere credito all’impresa, in base alla considerazione (anch’essa generalmente accettata) che l’altra ipotesi di postergazione prevista dall’art. 2467 c.c. ricorra allorché un conferimento da parte dei soci sia tanto più “ragionevole” quanto più difficile e costoso risulti il ricorso al credito esterno.

L’ordinamento non tollera che, di fronte a una società in difficoltà, i suoi soci soddisfino le loro ragioni di credito prima degli altri creditori, ma questa misura non ha una finalità punitiva nei confronti dei soci: più semplicemente, non si ammette che le poche risorse di cui quella società dispone vadano a compensare chi ha assunto il rischio d’impresa prima che i terzi, trasferendo interamente su questi il rischio medesimo.

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Condizione di pignorablità della quota di società di persone
E’ esclusa la possibilità di pignorare le quote di partecipazione di società di persone se non risulta che il suo...

E' esclusa la possibilità di pignorare le quote di partecipazione di società di persone se non risulta che il suo Statuto consenta il trasferimento a terzi della quota medesima, valendo altrimenti la regola della necessità dell’accordo di tutti i soci per le modificazioni del contratto sociale.

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