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Curatore dell’eredità giacente ed esercizio dei diritti sociali
Nel caso in cui nell’eredità giacente siano ricomprese partecipazioni in società a responsabilità limitata, il potere di “amministrare” riconosciuto dalla...

Nel caso in cui nell’eredità giacente siano ricomprese partecipazioni in società a responsabilità limitata, il potere di “amministrare” riconosciuto dalla legge in capo al curatore dell’eredità giacente deve essere inteso come facoltà di esercitare tutti i diritti inerenti alla titolarità della quota, nell’interesse dei chiamati all’eredità e dei creditori, e sotto la sorveglianza del Giudice della successione. Non sussistono dunque preclusioni a che il curatore dell’eredità giacente eserciti, sia pure nel rispetto della finalità proprie del suo ruolo, tutti i diritti amministrativi inerenti alla titolarità della quota, e fra tutti, in primo luogo, il diritto di voto nelle assemblee e il diritto di convocare l’assemblea.

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Sospensione di delibera assembleare di definizione dei compensi degli amministratori: mancanza di periculum
Non può trovare accoglimento la domanda di sospensione dell’esecuzione della delibera di definizione dei compensi degli amministratori di S.r.l. per...

Non può trovare accoglimento la domanda di sospensione dell’esecuzione della delibera di definizione dei compensi degli amministratori di S.r.l. per difetto del presupposto del periculum, in assenza di un  pregiudizio immediato e diretto per il socio ricorrente in quanto, se è indubbio che una oculata gestione della “politica” dei compensi potrebbe determinare un maggiore accantonamento di risorse finanziarie, è altrettanto pacifico che tale oculatezza non necessariamente si traduce in un maggiore utile da distribuire ai soci, in quanto gli organi cui è demandata la gestione sociale potrebbero decidere, sulla base di valutazioni discrezionali e non opinabili, di destinare diversamente tale “risparmio” nel quadro di plausibili piani di sviluppo industriale.

 

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Procedibilità e improcedibilità delle domande relative a un marchio in titolarità di una società fallita
È da ritenersi procedibile di fronte alla Sezione specializzata in materia di Impresa la domanda di nullità del marchio in...

È da ritenersi procedibile di fronte alla Sezione specializzata in materia di Impresa la domanda di nullità del marchio in titolarità di una società medio tempore fallita, proposta con un’azione dichiarativa della nullità del marchio, a cui non consegue alcun obbligo restitutorio, ma soltanto l'inibitoria relativa all’uso del medesimo, poiché non è ravvisabile alcun rapporto di strumentalità necessaria con richieste restitutorie o di condanna al pagamento di somme che potrebbero comportare un depauperamento del patrimonio fallimentare. Ugualmente è procedibile, anche in caso di fallimento, la domanda di accertamento della contraffazione e degli illeciti concorrenziali cui consegue l’emanazione di provvedimenti inibitori.

Non sono procedibili l’azione di rivendica ex art. 118 c.p.i. e la domanda di trasferimento delle registrazioni e dei domain names, in quanto la regola dell'assoggettamento al concorso formale di ogni credito, dettata dall'art.52 L.F., con nesso di strumentalità e complementarità rispetto al divieto delle azioni esecutive individuali, ex art.51 L.F., non consente la proposizione in sede ordinaria di azione di condanna o anche di accertamento, prodromica ad azione di condanna, perché nessuna fattispecie satisfattoria di posizioni creditorie particolari, incidente con effetto depauperatorio sul patrimonio del fallito vincolato al soddisfacimento paritetico dei creditori può legittimamente trovare luogo al di fuori del concorso.

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Nullità della fideiussione omnibus: legittimazione ad agire ed onere della prova nelle cause “stand alone”
L’interesse protetto dalla normativa antitrust è principalmente quello del mercato in senso oggettivo, cioè quello della trasparenza e della correttezza...

L’interesse protetto dalla normativa antitrust è principalmente quello del mercato in senso oggettivo, cioè quello della trasparenza e della correttezza del mercato, e non soltanto l’interesse individuale del singolo contraente pregiudicato. Infatti, la legge antitrust n. 287 del 1990 detta norme, segnatamente l'art. 2, a tutela della libertà di concorrenza aventi come destinatario qualunque soggetto del mercato che abbia un interesse processualmente rilevante alla conservazione del suo carattere competitivo, al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere per effetto di un'intesa vietata. In tale prospettiva, chiunque, sia esso imprenditore o consumatore, può ritenersi vittima dell’illecito anticoncorrenziale e far valere quindi la nullità del contratto. [Nel caso di specie, il Tribunale respingeva l'eccezione della banca che lamentava la carenza di legittimazione attiva in capo agli attori deducendo che fossero soci dell’impresa garantita e non consumatori].

 

La sola produzione in giudizio del Provvedimento di Banca d'Italia n. 55 del 2005 non fornisce prova idonea dell’esistenza dell’intesa restrittiva della concorrenza invocata a fondamento dell'invalidità della fideiussione omnibus, se la stessa è stata stipulata in un periodo diverso da quello compreso tra il 2002 e il maggio del 2005 o di poco successivo a tale data: infatti, l’istruttoria e le conseguenti determinazioni dell’Autorità di vigilanza coprono quell'arco temporale. Pertanto, le vicende relative a periodi diversi sono inquadrabile nell’ambito dei giudizi c.d. "stand alone", nei quali la parte attrice, chiamata a dar prova dei fatti costitutivi della domanda, non può giovarsi – come nelle c.d. "follow on actions" – dell’accertamento dell’intesa illecita contenuto in un provvedimento dell’Autorità amministrativa competente a vigilare sulla conservazione dell’assetto concorrenziale del mercato, e ciò perché un simile accertamento o manca del tutto o c’è, ma riguarda un periodo diverso da quello in cui si colloca la specifica vicenda negoziale che avrebbe leso la sfera giuridica dei garanti. [Nel caso di specie, la fideiussione oggetto della controversia era stata stipulata il 14 settembre 2000, quindi non coperta dal Provvedimento di Banca d'Italia].

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Denunzia al tribunale e gravi irregolarità nella gestione: contiguità dell’amministratore con la precedente dannosa gestione
L’amministratore che ritardi nel recupero dei crediti della società e, più in generale, agisca con lassità nell’adempimento dei propri doveri,...

L'amministratore che ritardi nel recupero dei crediti della società e, più in generale, agisca con lassità nell'adempimento dei propri doveri, in continuità e contiguità con la precedente dannosa gestione, pone in essere condotte non in linea con i doveri gestori di cui all'articolo 2086 c.c., secondo il quale "[l]'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di [...] attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale". Realizza viceversa, in tal caso, una grave irregolarità gestoria, pregiudizievole degli interessi dei creditori e della società stessa, rilevante ai fini della sua revoca ai sensi dell'articolo 2409 c.c.

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Accantonamenti per rischi ed oneri
Ai sensi dell’art. 2424-bis, co. 3, c.c. gli accantonamenti per rischi ed oneri sono funzionali alla copertura di perdite o...

Ai sensi dell'art. 2424-bis, co. 3, c.c. gli accantonamenti per rischi ed oneri sono funzionali alla copertura di perdite o debiti di natura determinata, di esistenza certa o probabile, dei quali risulta tuttavia indeterminato l'ammontare o la data di sopravvenienza al momento di chiusura dell'esercizio. La valutazione del rischio di effettiva sussistenza di passività non ancora determinate alla chiusura dell'esercizio consiste (non nel rilievo di una vicenda gestoria oggettivamente conclusa ma) nell'apprezzamento ex ante delle probabili o possibili evoluzioni di una situazione. La correttezza di tale apprezzamento - spettante in prima istanza all'organo amministrativo, quale soggetto deputato alla redazione del progetto di bilancio e, successivamente, all'assemblea dei soci all'atto di approvazione del documento contabile - non è dunque ancorata a dati oggettivi, ma va rapportata ai canoni generali di prudenza e ragionevolezza che presiedono alla redazione del bilancio, la violazione dei quali solo può portare a far ritenere scorretta la valutazione in punto di veridicità e, conseguentemente, inficiato il bilancio da carenze quanto all'appostazione del fondo rischi, nonché violato con il principio di verità.

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Fideiussioni omnibus successive al 2005: onere della prova dell’illecito anticoncorrenziale in capo al fideiussore
La produzione in giudizio del provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 non fornisce di per sé prova idonea dell’esistenza dell’intesa...

La produzione in giudizio del provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 non fornisce di per sé prova idonea dell’esistenza dell’intesa restrittiva della concorrenza quando la stipulazione della garanzia fideiussoria omnibus è intervenuta successivamente al provvedimento stesso, relativo a una fase temporale conclusasi nel maggio del 2005. Pertanto, la vicenda contrattuale dà origine ad un giudizio c.d. "stand alone", nel quale la parte che intende far valere la nullità delle clausole di rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c., di reviviscenza e di sopravvivenza, chiamata a dar prova dei fatti costitutivi della domanda, non può giovarsi – come nelle c.d. "follow on actions" – dell’accertamento dell’intesa illecita contenuto in un provvedimento dell’autorità amministrativa competente a vigilare sulla conservazione dell’assetto concorrenziale del mercato, e ciò perché un simile accertamento manca del tutto o comunque riguarda un periodo diverso da quello in cui si colloca la specifica vicenda negoziale che avrebbe leso la sfera giuridica del fideiussore. Pertanto, l’inquadramento della controversia tra le cause "stand alone" fa sì che l'attore sia onerato dell’allegazione e dimostrazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, tra i quali rientra quello della perdurante esistenza di un’intesa illecita all’epoca della sottoscrizione del contratto di fideiussione per cui è causa.

 

La legge antitrust n. 287 del 1990 detta norme, segnatamente l'art. 2, a tutela della libertà di concorrenza, aventi come destinatario qualunque soggetto del mercato che abbia un interesse processualmente rilevante alla conservazione del suo carattere competitivo, al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere per effetto di un'intesa vietata. In tale prospettiva chiunque, a prescindere dalla qualità rivestita, può ritenersi vittima dell’illecito anticoncorrenziale e far valere quindi la nullità del contratto.

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La compromettibilità in arbitri dell’impugnazione della delibera di approvazione del bilancio
Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società per...

Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l'impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione. Invero, nonostante la previsione di termini di decadenza dall'impugnazione, con la conseguente sanatoria della nullità, le norme dirette a garantire tali principi non solo sono imperative, ma, essendo dettate, oltre che a tutela dell'interesse di ciascun socio ad essere informato dell'andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell'affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere la situazione patrimoniale e finanziaria dell'ente, trascendono l'interesse del singolo ed attengono, pertanto, a diritti indisponibili.

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La prova del legame causale tra condotta e danno nell’illecito di concorrenza sleale
Per accertare l’integrazione dell’illecito di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 è necessaria una pluralità di elementi: anzitutto, la...

Per accertare l’integrazione dell’illecito di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 è necessaria una pluralità di elementi: anzitutto, la comunanza di clientela e un rapporto di concorrenzialità tra le parti interessate; in secondo luogo, il compimento di atti di concorrenza sleale da parte di uno dei soggetti coinvolti; in terzo luogo, la sussistenza di un danno risarcibile e il nesso eziologico tra tale danno e la condotta sleale di controparte; infine, il coefficiente psicologico della colpa in capo al danneggiante (presunto, ex art. 2600 c.c., salva prova contraria).

Il danno cagionato dagli atti di concorrenza sleale non è in re ipsa ma, quale conseguenza diversa ed ulteriore rispetto alla distorsione delle regole della concorrenza, necessita di prova secondo i principi generali che regolano il risarcimento da fatto illecito, sicché solo la dimostrazione della sua esistenza consente l'utilizzo del criterio equitativo per la relativa liquidazione. Se è vero che l'accertamento di concreti fatti materiali di concorrenza sleale comporta una presunzione di colpa che onera l'autore degli stessi della dimostrazione dell'assenza dell'elemento soggettivo ai fini dell'esclusione della sua responsabilità, è altrettanto vero che il corrispondente danno cagionato dalla condotta anticoncorrenziale necessita di essere provato dal danneggiato.

La prova del danno subito e del legame causale tra condotta e danno, in ossequio alla ripartizione dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c., grava dunque sul danneggiato. Il mancato assolvimento dell’onere probatorio in ordine alla sussistenza del nesso eziologico tra condotta e danno assorbe ogni indagine ulteriore e impone il rigetto della domanda risarcitoria di parte attrice.

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Inadempimento all’ordine giudiziale di inibitoria ed esecuzione forzata di un obbligo di non fare
Il principio generale delineato dall’art. 2933, comma 1, c.p.c., prevede che il mancato adempimento di un obbligo di non fare...

Il principio generale delineato dall’art. 2933, comma 1, c.p.c., prevede che il mancato adempimento di un obbligo di non fare legittimi l'avente diritto ad ottenere giudizialmente che esso sia eseguito a spese dell'obbligato nelle forme stabilite dal codice di procedura civile, purché la prestazione che forma oggetto dell'obbligo abbia carattere fungibile. Deve trattarsi, cioè, di una prestazione che possa essere eseguita indifferentemente dall'obbligato o per mezzo dell'attività sostitutiva di un qualunque altro soggetto, con identico effetto satisfattivo per il creditore. In un caso di violazione di inibitoria alla commercializzazione di prodotti in contraffazione di marchio, affinché il requisito della fungibilità possa dirsi integrato, la prestazione può consistere dunque nella distruzione di opere materiali o di prodotti in violazione dell’ordine di inibitoria emesso.

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Natura della consulenza tecnica di parte e preclusioni
La consulenza di parte è un atto difensivo, a prescindere dalla natura tecnica del documento stesso, sicché le censure che...

La consulenza di parte è un atto difensivo, a prescindere dalla natura tecnica del documento stesso, sicché le censure che attengono al contenuto delle deduzioni dell'ausiliare del giudice, costituendo mere argomentazioni difensive, non incontrano barriera preclusiva alcuna, a differenza delle contestazioni che concernono il procedimento della consulenza tecnica che invece sono assoggettate alla disciplina delle nullità relative di cui all'art. 157, comma 2, c.p.c.

Le osservazioni critiche alle conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio possono essere svolte per la prima volta in sede di comparsa conclusionale, in quanto è del tutto sufficiente al fine della corretta esplicazione del contradditorio la possibilità di controdedurre da parte della parte avversa nella sua memoria di replica, fatto salvo il potere del giudice di eventualmente rimettere la questione all'esame del CTU con le conseguenti statuizioni in merito all'imputazione delle relative spese.

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Il diritto di controllo del socio di S.r.l. che non partecipa all’amministrazione
Il diritto di informazione e di accesso alla documentazione sociale, espressamente riconosciuto ai soci di società a responsabilità limitata che...

Il diritto di informazione e di accesso alla documentazione sociale, espressamente riconosciuto ai soci di società a responsabilità limitata che non partecipano all'amministrazione dall'art. 2476 co 2 c.c., si configura quale manifestazione di un potere di controllo individuale in capo ai singoli soci, di per sé non subordinato ad alcuna dimostrazione di specifico interesse perché l'interesse è il controllo sulla gestione in sé; potere che si esplica in due direzioni: (i) diritto di avere informazione attraverso l'acquisizione di notizie dall'amministratore sullo svolgimento degli affari sociali; (ii) diritto di consultazione diretta della documentazione sociale. L'oggetto del controllo, sia con riferimento alle informazioni, sia con riferimento alla documentazione sociale, ha uno spettro ampio. Il perimetro del potere di indagine conoscitiva del socio che non partecipa alla gestione nella S.r.l. si può dire che abbia ad oggetto i documenti e/o le informazioni di cui l'organo amministrativo dispone per una corretta gestione della società, non ravvisandosi nella norma alcuna limitazione se non che l'esercizio del diritto deve uniformarsi al rispetto dei principi di buona fede e correttezza. Consegue che possono riconoscersi restrizioni al contenuto di tale potere del socio nelle ipotesi in cui sorgano esigenze di riservatezza della società che possono trovare fondamento, per esempio, in particolari rapporti di concorrenza con il socio o nell’assunzione in determinati contesti di posizioni contrapposte tra società e socio o nell’esigenza di tutela di segreti industriali.

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