Data la natura contrattuale e non legale della prelazione statutaria è del tutto pacifico in giurisprudenza che il socio prelazionario illegittimamente pretermesso non è titolare di un diritto di riscatto verso il terzo acquirente della partecipazione (tra le tante: Cass., n. 12370 del 2014; Cass., n. 24559 del 2015), sicché in ogni caso, e financo in astratto, non può essere concesso sequestro giudiziario della partecipazione ceduta non essendo configurabile una controversia sulla proprietà o possesso della stessa.
Il creditore pignoratizio, in caso di inadempimento, può soddisfare la sua pretesa con due modalità differenti: può promuovere l’esecuzione forzata ordinaria, ovvero può in alternativa procedere all’esecuzione “privata” prevista dall’art. 2797 c.c. che costituisce una forma di autotutela esecutiva a carattere negoziale.
Il giudice competente a conoscere della domanda proposta dal creditore pignoratizio di assegnazione della cosa in pagamento fino alla concorrenza del debito (art 2798 cod. civ.) è il giudice competente in sede di cognizione ordinaria e non il giudice dell’esecuzione forzata.
Se il pegno ha ad oggetto quote di una s.r.l. ed è stato costituito in seno ad un accordo volto a determinare la cessione delle quote di una s.r.l., trova indubbia applicazione l’art. 3, comma 2, lett. b), del d.lgs. n. 168 del 2003, come sostituito dall’art. 2, comma 1, lett. d), del decreto legge del 24 gennaio 2012 n. 1 convertito con modificazioni nella legge 24 marzo 2012, n. 27, che attribuisce alla competenza delle Sezioni specializzate tutte le controversie relative “al trasferimento delle partecipazioni sociali o ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti” a queste ultime, per le quali il Tribunale decide in composizione collegiale.
L’opposizione all’esecuzione può essere proposta anche dal terzo con l’intento di sottrarre all’esecuzione il bene sul quale il terzo vanta un diritto di proprietà o altro diritto reale. Mediante l’opposizione alla vendita della cosa pignorata, prevista dall'art. 2797 c.c., il debitore od il terzo datore di pegno possono far valere non solo eventuali vizi procedurali, ma anche eccezioni di merito relative al rapporto obbligatorio a garanzia del quale fu concesso il pegno.
Ai sensi dell'art. 2495 c.c., una volta cancellata la società dal registro delle imprese, i creditori sociali rimasti insoddisfatti possono far valere le loro pretese creditorie nei confronti del liquidatore se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questo.
L'azione di responsabilità contro il liquidatore di s.r.l. è un'azione di natura extracontrattuale, trattandosi di lesione di credito del terzo. Affinchè possa essere fatta valere la pretesa creditoria nei confronti del liquidatore è necessario provare: il mancato soddisfacimento del credito; una condotta dolosa o colposa del liquidatore; un nesso di causalità tra tale condotta e il mancato pagamento.
Ai fini della corretta individuazione della somma da corrispondere al creditore leso è necessario tenere in considerazione che il danno non corrsiponde necessariamente alla somma nominale del credito vantato dall'attore e non soddisfatto in sede di liquidazione ove l'attivo a bilancio non potesse consentire - in tutto o in parte- in ogni caso il soddisfacimento di tale posta. Su tale somma, da liquidare a titolo risarcitorio, è necessario computare gli interessi oltre alle spese di lite da riconoscere a carico del convenuto.
Nell’ambito di un procedimento cautelare, promosso per la tutela dei diritti di un produttore fonografico, la prova principale dell’esistenza del fumus bonis iuris, con riferimento alla qualifica di “produttore titolare dei fonogrammi”, ossia alla titolarità dei diritti connessi, può consistere nell’indicazione, riportata sulla copertina del CD, del nome della società produttrice dell’album, elemento valevole come presunzione semplice, ex art. 99-bis l.d.a., che può essere superata soltanto da prova contraria.
Ai sensi dell’art. 2367 c.c., quando il socio richiede la convocazione, il Consiglio di amministrazione deve provvedere “senza ritardo” ad indire l’assemblea, fissando la data dell’adunanza nel tempo minimo necessario all’espletamento delle formalità statutarie previste per la sua convocazione. Il notevole ed ingiustificato ritardo da parte degli amministratori nella convocazione dell’assemblea per il rinnovo delle cariche sociali richiesta dal socio unico, già di per sé sufficiente a rendere doverosa l’iniziativa suppletoria del Collegio sindacale, ai sensi dell’art. 2406, comma 1, c.c., costituisce, comunque, “fatto censurabile” di rilevante gravità, ai sensi dell’art. 2406, comma 2, c.c., traducendosi in un intollerabile ostacolo frapposto dall’organo amministrativo in prorogatio, privo di qualsiasi diritto a permanere nella carica, al diritto del socio unico, peraltro, esercente sulla società il potere di direzione e coordinamento, a nominare il nuovo organo amministrativo [nel caso di specie è stata rigettata l'istanza di sospensiva della delibera del collegio sindacale che aveva proceduto a convocare l'assemblea per la sostituzione dell'organo amministrativo, avendo il consiglio di amministrazione proceduto a convocare l'assemblea per una data troppo lontana nel tempo sull'assunto dell'interesse sociale a che gli stessi amministratori in prorogatio redigessero il progetto di bilancio].
La tutela cautelare inibitoria ante causam nei confronti di un socio - inerente la modalità di espressione del diritto di voto da assumere in una data assemblea - diretta ad impedire l’assunzione di una data deliberazione, può essere oggetto di riconoscimento, purché il provvedimento intervenga prima della assemblea cui si riferisce, venendo meno in caso contrario l’interesse ad agire e, quindi, al provvedimento cautelare richiesto.
Non è proponibile ed è inammissibile in sede cautelare la domanda di risarcimento volta alla condanna nei confronti dell’amministratore di società per fatti inerenti la gestione, stante la natura di domanda condannatoria esperibile esclusivamente nel giudizio di merito.
L’accordo negoziale con cui i paciscenti intendano definire tutti i rapporti inerenti alle partecipazioni in due società di famiglia con cessioni reciproche di partecipazioni sociali e regolamentazione non solo dei rapporti tra soci, ma anche di tutti i rapporti e i diritti, attivi e passivi, inerenti al rapporto di ciascun socio con ciascuna società riguarda anche i crediti per la restituzione di finanziamenti effettuati dai precedenti soci a favore della società, atteso che i soci cedenti hanno autorizzato le società a sostituire ad esse i soci cessionari in tutti i rapporti pendenti nei confronti delle società. Ne deriva che alcuna pretesa creditoria per restituzione di finanziamenti infruttiferi effettuati a favore della società dai precedenti soci può essere riconosciuta.
La produzione in giudizio del provvedimento n. 55 del 2005 della Banca d’Italia è sufficiente a provare la sussistenza dell’intesa restrittiva della concorrenza e, di conseguenza, la nullità parziale di una fideiussione stipulata nell'anno 2000, costituendo le conclusioni assunte dall’AGCM, se non impugnate o passate in giudicato a seguito del relativo contenzioso dinanzi al giudice amministrativo, “prova privilegiata” in relazione alla sussistenza del comportamento accertato, anche se ciò non esclude la possibilità che le parti possano offrire prove a sostegno di tale accertamento o ad esso contrarie.
L’accertamento della Banca d’Italia si riferisce allo schema contrattuale elaborato dall’associazione di categoria per le fideiussioni omnibus, senza investire il settore delle fideiussioni rilasciate a garanzia delle obbligazioni derivanti da specifiche operazioni bancarie. Infatti, il punto 2 e il punto 9 del provvedimento n. 55 del 2005 precisano che “l’istruttoria riguarda lo schema contrattuale relativo alla fideiussione a garanzia delle obbligazioni bancarie, che disciplina la prestazione della garanzia fornita da un soggetto (fideiussore) a beneficio di qualunque obbligazione, presente e futura, del debitore di una banca”.
La mancata dimostrazione di un’intesa relativa alle fideiussioni specifiche volte a falsare la libera concorrenza e la carenza di strumenti probatori utili a dimostrarne la sussistenza, anche solo a livello indiziario, comportano il rigetto della domanda di declaratoria della nullità parziale.
L'amministratore delegato che conclude contratti per conto della società a costi superiori rispetto a quelli necessari, percependo indebitamente denaro tramite provvigioni, si espone a un'azione di responsabilità sociale nei suoi confronti ai sensi degli artt. 2392 c.c. e 2393 c.c. per mala gestio.
In aggiunta al risarcimento danni dovuto alla società interessata, è possibile stimare un risarcimento legato alla perdita di immagine e di reputazione commerciale ai sensi dell'art. 2059 c.c., che ammette il ristoro del danno non patrimoniale nei casi previsti dalla legge e, dunque, anche nei casi di fatti lesivi costituenti reato o che incidano su una situazione giuridica soggettiva della persona, sia essa fisica o giuridica, tale da pregiudicare i diritti fondamentali costituzionalmente garantiti.
Il rimedio processuale tipico volto ad ottenere la cancellazione dell’iscrizione di una società dal Registro delle Imprese è il procedimento regolato dall’articolo art. 2191 c.c., in forza del quale: “Se un’iscrizione è avvenuta senza che esistano le condizioni richieste dalla legge, il giudice del registro, sentito l’interessato, ne ordina con decreto la cancellazione”. Orbene, dal momento che non può trovare applicazione in tutti i casi in cui l’ordinamento prevede un rimedio processuale “tipico” per ottenere il medesimo risultato, il procedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., avente ad oggetto detta domanda di cancellazione dell’iscrizione della società, è inammissibile per difetto del presupposto della residualità.